di Romeo Lucci
«Compatrioti che ci ascoltate e ci guardate dall’intero territorio della patria, fratelli venezuelani in tutto il mondo, alle ore 16:45 di oggi, 5 marzo, abbiamo ricevuto l’informazione più dura e tragica che avremmo mai potuto riferire al nostro popolo. Il comandante presidente Hugo Rafael Chávez Frías è deceduto».
Con queste parole Nicolás Maduro, vicepresidente e successore del “caudillo”, annuncia con voce affranta ciò che la storia ricorderà come la fine di un’era. «Quelli che muoiono per la vita non possono essere chiamati morti», conclude commosso. Il comunicato, trasmesso a reti unificate dalle emittenti venezuelane, giunge in ogni angolo del Paese e spinge la gente a riversarsi immediatamente nelle strade. La notizia si diffonde come un “virus” in una Caracas che sembra impazzita, tra isterismi, lacrime e, viceversa, manifestazioni di vera e propria esultanza.
Paladino dei poveri e delle classi più deboli per alcuni. Dittatore e golpista senza scrupoli secondo altri. Chávez è uno di quegli individui in grado di spaccare in due opinione pubblica e sentimenti.
Insediatosi al potere nell’ormai lontano 1998, il leader bolivariano è divenuto l’indiscusso protagonista di quello che numerosi analisti internazionali hanno definito un regime autoritario “ibrido”. Un apparato complesso costruito sulle solide fondamenta del petrolio, del militarismo e dell’ideologia.
L’“oro nero”, di cui il Venezuela detiene le maggiori riserve al mondo, gli ha consentito di aumentare costantemente la spesa pubblica a sostegno di ingenti programmi sociali, conosciuti come “misiones”. Le migliaia di abitazioni dignitose, l’assistenza sanitaria pubblica, la riduzione dell’analfabetismo, i numerosi programmi rivolti ai giovani ed un concreto supporto economico sono elementi di un quadro che si è rapidamente tradotto in consenso elettorale.
Il sostegno dell’esercito, elemento di rilevanza storica nell’ambito del continente latinoamericano, è legato invece alle stesse origini del suo percorso. Colonnello dei paracadutisti, ha iniziato a far parlare di sé nel 1992 proprio indossando le vesti del militare golpista. Il tentativo fallito di abbattere il governo di Carlos Andrés Pérez non lo ha consegnato alla storia come un pericoloso ribelle, ma, al contrario, ha contribuito a delineare i contorni di un personaggio che, grazie ad un indiscutibile carisma, avrebbe vinto poi le elezioni presidenziali nel 1998.
Il pensiero politico, infine, ha fatto da sfondo al suo grande sogno: il “socialismo del XXI secolo”. Un’alternativa concreta al modello di sviluppo dei rivali statunitensi portata avanti con fierezza, grazie anche al granitico legame con Cuba ed i fratelli Castro. Un pensiero ed una filosofia rivolti altresì alla storia ed all’indimenticato nome di Simón Bolívar, il “libertador” attorno al quale Chávez ha rilanciato, ed in taluni casi addirittura trasformato, l’immagine della patria e della fratellanza dell’intero “Cono Sur”.
Accanto alla rilevanza dei fattori sinora elencati, ne emerge un quarto, forse ancor più significativo: le libere elezioni. Il costante e democratico ricorso alle urne (sono circa 20 le tornate elettorali che hanno avuto luogo durante l’era Chávez) ha svolto un ruolo determinante tanto a livello nazionale, quanto nell’ambito dell’intero scacchiere mondiale. All’interno del perimetro dei confini venezuelani, il presidente ha utilizzato il tema della sua netta supremazia per giustificare la progressiva concentrazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo, da lui guidato. È riuscito, in questo modo, perfino ad eliminare i limiti previsti dalla carta costituzionale relativi al suo incarico. Parallelamente, le regolari consultazioni hanno contribuito a tenere a bada le perplessità della Comunità Internazionale, donando al Venezuela un’immagine di democrazia autentica.
Qualunque sia la valutazione politica che verrà offerta in futuro di Hugo Chávez, emerge una sola grande certezza: la sua figura è destinata ad entrare nella storia. Si chiude un ciclo, quello di un uomo che ha avuto senza dubbio il merito di saper parlare al popolo come pochi altri hanno saputo fare. I suoi infiniti discorsi, in grado di protrarsi anche per più di 10 ore, le sue parole ed i suoi gesti, avevano la capacità di coinvolgere soprattutto quei venezuelani che per decenni si sono sentiti completamente esclusi dalle dinamiche del loro Paese.
Al tempo stesso, però, il suo ricordo resterà macchiato dall’incapacità di gestire una corruzione dilagante in seno a tutti gli strati della società, dal velo di ipocrisia attorno a concetti chiave quali democrazia, libertà e diritti umani, ma, soprattutto, dagli allarmanti livelli di violenza e criminalità. Una sfera assolutamente fuori controllo, ormai già da molti anni, che ha prodotto un numero incalcolabile di morti.
A poche ore di distanza dalla sua scomparsa, la terra di Bolívar vive una nuova tappa, di innegabile e straordinaria importanza per il destino dei venezuelani tutti. Sintetizzare questo momento in una sola espressione, significa discutere di un “chavismo” orfano del suo stesso creatore e delle possibilità concrete legate alla sopravvivenza di questo fenomeno negli anni a venire.
Difficile, se non addirittura impossibile, fare delle previsioni. Il sogno del “socialismo del XXI secolo” sembra sfumare in assenza di quella figura carismatica che ha saputo, con l’intelligenza e con la forza, tenere unite le fila dei propri seguaci. Vi è inoltre il rischio concreto che delle lotte intestine allo stesso partito possano ulteriormente deteriorare un quadro già di per sé instabile. Resta infine da considerare il ruolo che in questa complessa partita giocherà l’opposizione, animata dal desiderio di assestare la “spallata” decisiva.
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