di Renata Gravina

Stallo alla belga o Conventio ad Excludendum della grande politica riformatrice declassata da decenni di ingovernabilità? E’ questo il dilemma che si pone al termine di una sfida elettorale italiana i cui postumi echeggiano di ipotesi e confronti tanto più efficaci quanto più lontani dal reale.

Ecco allora che il Belgio riemerge quale icona di ingovernabilità e viene preso a tal proposito in prestito dagli italiani per avallare l’ipotesi che non sempre l’assenza di un governo sia da considerarsi un male assoluto.

Dopo 541 giorni di nebulosa intesa come assenza di una maggioranza di governo, il risultato belga della crisi politica che ha investito il paese nell’arco 2010-2011 sembra per alcuni essere positivo. L’arco ingovernato del Belgio vanta a ben vedere l’approvazione di una finanziaria, la nazionalizzazione della principale banca, un buon semestre di presidenza della Ue, operazioni militari in Libia e la miglioria di quasi tutti gli indicatori economici, dal debito al Pil.

Il paragone con l’Italia può essere utilizzato però al massimo come antitesi di contraddittorietà, escludente ogni terzo termine. La condizione italiana è in realtà affatto diversa da quella belga.

Il carattere più marcato che discrimina il paragone tra Italia e Belgio risiede nel federalismo belga che non ha che esteso le sue modalità di estrinsecazione dagli anni Settanta in poi. Il paese, costituito da municipalità, province e regioni ha un assetto tripartito in Comunità e bipartito in realtà linguistico-culturali di valloni e fiamminghi.

Proprio l’assetto federale garantisce in Belgio una ripartizione di competenze talmente fitta da non permettere vuoti – se non altro amministrativi – così gravi quali quelli che potrebbero investire l’Italia nell’ipotesi di un caos ingovernato.

Quelle tribù litigiose separate da una delle forme più grette di nazionalismo vecchia maniera si sono date una riforma costituzionale come autoriforma del sistema politico. Come denuncia il costituzionalista Wilfried Dewachter il federalismo ha portato ad una moltiplicazione di astuzie e sottigliezze, rendendo la situazione interna sempre sul filo di un’implosione. Sembra potersi delineare una notevole distanza fattuale dell’Italia dal Belgio e nel contempo doversi scongiurare un’ipotesi ideale di caso belga in Italia.Oltre al federalismo, la situazione dei due paesi si differenzia attualmente anche per lo scenario politico.

N-VA è il secondo partito in Belgio che, in quanto partito fiammingo di centrodestra, rivendica l’indipendenza delle Fiandre; in ciò esso varrebbe un’assimilazione con il nostro partito leghista prima maniera, quello della Lega Nord che nel 1996 ha proposto la secessione della Padania dal resto d’Italia.

L’attuale Movimento 5 stelle invece, per quanto sia altamente rappresentativo di un forte disagio della società civile, rappresenta – come confermano i politologi – più un movimento a direzione trasversale, da fenomeno pigliatutto. Ciò a discapito di identità comuni e caratterizzazioni che lo rendano realmente radicato nel territorio e nell’animo dei cittadini, ipotesi che può verificarsi viceversa in casi di nazional populismo o secessionismi di tipo territoriale o linguistico.

Infine, la differenza con l’Italia è chiarita dal traino che il Belgio subisce dalla presenza di Bruxelles capitale come laboratorio di sperimentazione di convivenza tra fiamminghi e valloni ma soprattutto quale scudo difensivo contro disastri economici e finanziari dato dall’attrattività mediatica che l’Unione europea porta con sé.

In definitiva, in Italia sembra che il paragone vada piuttosto fatto tra il primo tempo e il secondo, sperato, tempo di una grande politica riformatrice, la cui assenza rischia di rendere la situazione politica italiana vittima di un circolo vizioso alternantesi tra governabilità e ingovernabilità più simile allo stallo alla greca che allo stallo alla belga.

 

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