di Danilo Breschi

Parafrasando il testo di una fenomenale canzone di Battisti-Mogol, si può dire che la Rete, ovvero la comunicazione via internet, sta “alimentando l’ignoranza, fingendo di servirsi della scienza” o, meglio, dei miti della democrazia diretta e della trasparenza. Gli assiomi dell’ideologia imperante nella Rete sono: se è controcultura è cultura vera, buona e giusta, se è controinformazione è informazione vera, buona e giusta, se è paradossale o surreale è vero, buono e giusto!

Non c’è niente di più opaco e pseudo-democratico della Rete. Bisogna con forza sottolineare questo dato di fatto. A meno che per democrazia non si intenda una sorta di Grand Hotel con milioni e milioni di anonimi individui, gente che va e gente che viene, frullata dentro un’enorme porta girevole senza nemmeno la presenza di un facchino né di un portiere alla reception. O a meno che per trasparenza non si intenda il luccichio e la brillantezza dello schermo di un iPad, o iPhone, o personal computer che sia.

Sia chiaro: la diseducazione che mistifica o allontana dal civismo, dalla politica – e da molto altro ancora – non passa solo tramite internet, poiché la televisione è stata e resta la prima sorgente di devastazione mentale e culturale della nostra nazione, al pari di quel che sta accadendo in tutto l’Occidente. Né questa diseducazione civica si rovescia solo sui giovani strettamente intesi. Anzi, questi – intesi come teenager o ventenni – possono ancora giovarsi di un’istruzione scolastica e universitaria che, convenzionale e tradizionale quanto si vuole (ma non è affatto detto, dipende dagli istituti e dai docenti considerati…), assicura uno standard minimo di controllo sulla attendibilità delle fonti, il ragionamento critico e comparato su di esse, e una buona e sana dose di corporeità. Anche questa conta: fisicità dei docenti e dei discenti, di professori e studenti.

La vecchia cara classe scolastica. Qui, sì, che giace un vero potenziale di democrazia praticabile, e anche in molti casi effettivamente praticata. Faticosa convivenza, ma anche allegra (specie col senno di poi dello studente che fu…), quella da realizzare dentro un’aula scolastica. Convivenza tra diversi per età e ruolo, uno (o più: l’intero corpo docente) che insegna, i molti che imparano, ma con la possibilità, talora la necessità, che i ruoli si invertano, perché l’insegnante può apprendere, anzi apprende continuamente, se sa porsi in ascolto senza perdere il timone, e la calma propria di un arbitro che deve essere anche il giudice capace ora di premiare ora di sanzionare, a seconda dei casi.

Tutto questo da compiersi quotidianamente con molta sensibilità e senso della misura, ché anche questo concetto, la “misura”, è da tramutare in valore da trasmettere e incarnare. Da recuperare, e valorizzare, il concetto e la pratica di quell’autorevolezza che può nascere solo dall’esempio vivente di serietà, impegno e capacità professionale. Non si capisce perché tale figura (sovente presa nel solo aspetto giudicante, raramente anche in quello educativo) debba essere apprezzata, o comunque in voga, sui media, da “Italia’s Got Talent” a “X Factor”, da “Amici” a “The Voice of Italy” a “Ballando con le stelle”, ecc. E non debba, invece, essere pienamente riconosciuta e legittimata nelle sedi più appropriate.

Il mondo della scuola e dell’università deve cominciare a fare i conti con questa realtà, nuova ma che ha già preso largamente piede tra le generazioni più giovani. Non tanto inseguendo la corrente, ma continuando a svolgere il proprio mestiere: insegnare a leggere la realtà, ogni realtà, dotare degli strumenti utili ad esercitare un uso critico e pubblico della ragione anche sul nuovo dogma, quello della Rete come veicolo di libertà e democrazia. E soprattutto insegnare che la realtà è ancora fatta di donne e uomini in carne ed ossa, che si incrociano, si scontrano e incontrano come anima e come corpo. Bisogna mettere a nudo e denunciare quanto individualismo autistico e voyeuristico, ipernarcisistico e dissimulante, persino un po’ masturbatorio, covi dietro i nickname delle chat, dei twitter, dei “mi piace” di facebook.

Nella Rete circola una nuova versione dell’antica visione manichea delle cose del mondo. Fuori da ogni visione e dentro la realtà, noi sappiamo invece che, al pari del bene, il male è qui e là, e dunque anche nella Rete. Una enorme potenzialità conoscitiva e comunicativa, ma anche un’abbagliante bottega degli orrori e degli errori, spacciati a buon mercato, questo è la Rete. Educare all’uso consapevole e (auto)critico del mezzo, come si sarebbe detto e si dice di altri ambiti, ecco cosa è opportuno fare, soprattutto da parte dei docenti e di chiunque abbia pubbliche responsabilità, ad ogni livello. Solo così salveremo e faremo crescere davvero la democrazia, sottraendola alla sua parodia e svalutazione e infine negazione; a quella sua versione caricaturale che la Rete accredita, riducendo l’agorà, ora digitale e virtuale, a ricettacolo della più stantia e vieta poltiglia complottista e dietrologista, qualunquista e moralista, che mai si sia vista nella storia occidentale dell’intolleranza e della violenza, oggi visiva e verbale, domani fisica. Rete è la traduzione dell’inglese web, che vuol dire anche ragnatela. Attenzione, dunque: cerchiamo di non fare la fine dell’insetto.

 

Commenti (2)

  • mas
    mas
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    Credo che tra le principali responsabili della diseducazione dilagante vadano citate anche le persone che per esprimersi sentono il bisogno di usare frasi come

    “Bisogna mettere a nudo e denunciare quanto individualismo autistico e voyeuristico, ipernarcisistico e dissimulante, persino un po’ masturbatorio, covi dietro i nickname delle chat, dei twitter, dei “mi piace” di facebook”

    che sulla rete -questa mistica sconosciuta responsabile di ogni male o, punti di vista, unica soluzione dei problemi moderni- proprio non riescono a trovare spazio, risultando ridicole e fuori dal tempo.

    Se voi sapeste lontanamente come comunicare con un utente medio di Internet avreste probabilmente un riscontro positivo e riuscireste, di conseguenza, a fare informazione. Salvando qualcuno dal complottismo dilagante, forse, e dalla tendenza a credere a tutte le assurdità che si possono leggere quotidianamente.

    Ma voi non ci riuscite.
    Non solo perché la rete è un mondo che non vi appartiene, ma anche perché da anni continuate a scrivere solo per voi stessi: articoli pieni di belle parole che suonano molto bene, ma sono vuote. Trite e ritrite.
    Parlate di educare ma non sapete da dove cominciare e dove mettere le mani. Lo stato attuale dell’istruzione e dell’università lo dimostrano chiaramente.
    E, cosa peggiore, in tutte le analisi non c’è mai un singolo momento dedicato all’autocritica. E’ questo il problema. Non una proposta positiva.
    Qui non si scrive che la rete è opaca perché nessuna presenza credibile riesce a prendere piede.
    Qui, all’opacità antidemocratica della rete, non si trova niente di meglio da contrapporre che la vecchia cara classe scolastica.
    E poi ci si lamenta che sono le idee assurde ad avere successo?
    Comunicazione -questa mistica sconosciuta-

  • Alessandro Lattarulo
    Alessandro Lattarulo
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    Hai colto, come quasi sempre ti accade, nel segno. Bersaglio centrato. Condiviso l’articolo sulla…”Rete”!

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