di Giuseppe Balistreri

In un mio articolo precedente ho cercato di evidenziare i motivi di principio e di convenienza del rifiuto di Grillo alle avances di Bersani. Qui vorrei ora viceversa immaginare quel che avrebbe potuto (e forse possa ancora) fare Bersani per stanare Grillo.

La posizione attuale di Grillo e Casaleggio, i due “non-leader” del M5S (come essi si definiscono), appare al momento quella del più cieco fanatismo, consistente nell’essere indifferente a qualsiasi logica del meno peggio, e dunque nell’andare dritti per la propria strada di assoluta estraneità al sistema politico e di contestazione globale. Insomma, una sorta di riedizione aggiornata del grido sessantottino “lo Stato borghese si abbatte e non si cambia”. Finora questa intransigenza sì è rivelata vincente e quindi i due grandi timonieri non vedono perché dovrebbero cambiarla. Essi sono convinti che, qualsiasi cosa succeda, non solo non può scalfirli, ma finisce per andare a loro vantaggio. E dunque, tanto peggio tanto meglio: più sarà grande l’impasse politico, più il M5S avrà chances di dare la spallata definitiva al sistema (cosa che in definitiva è il suo obiettivo prioritario). Si arriverebbe allora ad una dittatura extra-parlamentare di Grillo e Casaleggio mascherata da democrazia diretta e assembleare di nuovo tipo, il cui modello sarebbero i social network (in una finora non sperimentata variante autoritaria), aggiornata quindi all’epoca di internet.

Rifiutando la proposta Bersani, Grillo e Casaleggio hanno scelto di rimanere minoranza ininfluente, piuttosto che maggioranza con un esponente dell’acerrimo nemico (e cioè il sistema dei partiti), nella convinzione che, più il sistema si avvita su se stesso, più l’alternativa 5S si farà allettante. Tuttavia, proprio questa indomita intransigenza avrebbe potuto e certo potrà ancora rivelarsi come la loro trappola, nel momento in cui la gente vorrà vedere risultati concreti, piuttosto che un infruttuoso arroccamento (In politica le cose non sono tutte bianche o tutte nere, ma da bianche diventano nere e da nere bianche).

Giusta era pertanto l’idea di Bersani di rivolgersi innanzitutto a Grillo (e Casaleggio). Avrebbe però potuto spingere ancora di più la sua proposta, chiamare in lizza i nostri due cavalieri dell’apocalisse e dirgli: “Signori, volete la fine del mondo? Possiamo fare un pezzo di strada insieme e alla fine entrare in singolar tenzon per decidere chi debba essere il vincitore”. Così facendo Bersani avrebbe potuto lavorarsi ancor meglio ai fianchi i grillini, facendo leva sul ragionamento per cui essi, come affermano, sono in parlamento solamente per l’attuazione del loro programma. Pertanto, laddove si presentasse qualcuno disposto a realizzarlo, essi non dovrebbero aver nulla in contrario, dovrebbero anzi dare il loro aperto consenso (infatti finora Grillo ha detto anche: se una proposta è buona, da qualsiasi parte provenga noi la faremo nostra).

Il M5S, ci viene detto, non è un partito, è un movimento di cittadini il cui scopo è quello di entrare nelle istituzioni rappresentative e governative del paese per realizzare un determinato programma. In attesa che il movimento venga a coincidere con lo Stato (secondo quel che pare essere l’obiettivo di Grillo, sicuramente ignaro del carattere autoritario di tale proposito), esso potrebbe comunque appoggiare subito iniziative tese alla realizzazione del programma. Il PD, che aspira ai voti grillini, ha sbagliato finora a presentarsi davanti a questi come se si trattasse di un partito come gli altri. Il PD non può pensare di sedersi con il M5S al tavolo delle trattative, come se il problema fosse quello di arrivare ad una sorta di alleanza bipartitica, basata su un accordo col bilancino da entrambe le parti (ecco perché, mi pare, tutte le avances sono state finora nettamente respinte). Fino ad ora cioè è sembrato che i grillini dovessero riversare il loro peso elettorale su Bersani in cambio di qualcosa, agendo insomma nella vecchia logica del do ut des (che comunque è un’onesta logica politica che permette il compromesso e quindi di evitare l’impasse: senza di questo non avremmo neppure la nostra tanto lodata Costituzione). Ma proprio la logica del compromesso è quello che i grilllini vogliono evitare, e mantenersi così distanti dalla logica partitica.

Il M5S secondo quanto da esso stesso dichiarato, è un movimento portatore di istanze e non intende essere un partito politico. Prendiamo per buono che il M5S vuole essere un movimento non-politico e non-partitico di cittadini impegnati a far attuare con la loro presenza politica determinate richieste di interesse generale. Di fronte ad un movimento del genere un partito politico di vecchio stampo può scegliere la strada della disponibilità, farsene interlocutore e addirittura può farsi carico di tali richieste (Vendola è molto propenso in questo senso). Certo, la natura stessa delle cose vuole che un partito non puo però farsi dettare la sua agenda politica da un qualsiasi movimento. Esso, generalemente, in caso di disponibilità, ascolta, accoglie, ma anche spunta, elimina, rielabora, cerca di mediare tra richieste sociali e compatibilità politiche. Ma questo è proprio quello che il M5S rifiuta ed inoltre il rapporto qui è tale che non c’è un movimento bisognoso di un partito che lo rappresenti, ma un movimento capace di rappresentare se stesso. Abbiamo un movimento capace di dettare le sue condizioni al partito. E dunque, laddove il PD voglia avere i voti del movimento, bisogna per così dire che si faccia movimento esso stesso. Bersani deve stare al gioco di Grillo, accettarne la posta, vedere e rilanciare. Ovvero, reculer pour mieux sauter. Il PD, di sua iniziativa, doveva o deve adottare pari pari una fetta del programma del M5S, recepire le istanze che questo movimento di cittadini pone, e proporglielo così com’è chiedendo in cambio i suoi voti per la fiducia al governo (almeno solo al senato, se ci si vuole lasciare in parte le mani libere; alla camera potrebbero anche soltanto astenersi). A queste condizioni l’ostilità del M5S avrebbe perso senso e sarebbe stata difficilmente compresa dagli elettori; in caso di reiterato rifiuto, Grillo avrebbe subito un calo di credibilità e forse anche più o meno numerose defezioni interne tra i suoi parlamentari, per alcuni dei quali deve certo valere ancora il buon vecchio calcolo della massaia, secondo cui è meglio un uovo oggi che una gallina domani. L’intransigenza apocalittica non fa parte del nostro carattere nazionale.

 

 

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