di Francesca Varasano
L’attuale situazione economica internazionale ha contribuito a mettere in risalto la necessità di efficienza e trasparenza nella gestione del denaro pubblico e delle donazioni private.
Si inserisce in questo contesto una rinnovata attenzione ai fondi che i governi e le organizzazioni internazionali destinano a paesi in via di sviluppo e all’implementazione di progetti da parte di organizzazioni non governative (ONG) e consulenze. Nel Regno Unito, le inchieste del Times e del Guardian hanno alimentato il dibattito e chiamato il Dipartimento per lo sviluppo internazionale (DFID) ad un uso oculato delle risorse pubbliche. In Italia, il settore è regolamentato da leggi datate e non manca di ombre: su alcune di queste, fra gli altri, si è recentemente soffermato il volume L’industria della carità (ed. Chiarelettere).
Il tema della solidarietà è complesso e già tradizionalmente sottoposto a costante scrutinio pubblico e finanziario: la società è comprensibilmente interessata a conoscere la provenienza dei fondi e soprattutto il loro destino – specie quando questi siano frutto di campagne di beneficenza, come per molte ONG -, ma anche gli stipendi del settore e le modalità di selezione del personale.
La cooperazione allo sviluppo in particolare è certo un sistema imperfetto, frutto di contraddizioni e compromessi: tuttavia sembra essere la ricetta migliore, se non l’unica, che la comunità internazionale abbia fin ora formulato per la gestione delle relazioni fra paesi con gradi di industrializzazione diversi. Nei decenni scorsi, questo sistema è stato messo in discussione dalle organizzazioni internazionali e riformato sotto l’impulso di nuove esigenze e slanci, fino ad arrivare alla sua formulazione contemporanea: sostenibilità dei programmi, sviluppo delle competenze locali, assistenza alle istituzioni nazionali per aumentarne l’affidabilità finanziaria e rafforzare le capacità di intervento autonomo, monitoraggio costante dei progetti per assicurare che procedano in linea con i risultati da ottenere, valutazioni indipendenti dei risultati ottenuti, programmi concordati attraverso partenariati e formulati ad hoc per le necessità specifiche del paese.
La cooperazione è anche il frutto della stratificazione di più anime della storia, e su questo si fonda parte del dilemma che la compone: il colonialismo, la ricerca di soft power (o capacità di influenzare la politica estera attraverso l’esportazione di un’immagine positiva del paese), l’idealismo che promuove la giustizia sociale, il concetto – convincente nel suo utilitarismo – che si trae un vantaggio globale dalla pace, dalla stabilità economica, dalle trattative con classi dirigenti non corrotte e preparate.
Un sistema così variegato e costantemente attivo a livello globale non può che fondarsi sulle interdipendenze di diversi attori del proscenio internazionale, che si relazionano in un delicato equilibrio e costituiscono una rete capillare in termini geografici, di competenze ed obiettivi.
Il lavoro di organizzazioni no profit ed ONG prende oggi per lo più le forme di collaborazioni con organizzazioni internazionali in un complesso sistema di fondi e finanziamenti disciplinato da regolamenti minuziosi e codici sull’approvvigionamento. La Commissione Europea ad esempio, uno dei maggiori fornitori di aiuti a livello mondiale, si avvale di un dettagliato e corposo manuale in materia di contratti ed approvvigionamenti (Practical Guide o PRAG), cui s’affiancano norme che regolano gli specifici stanziamenti di bilancio.
Queste pratiche mirano anche a costruire un sistema di finanziamenti trasparente e produttivo, competitivo ed efficiente che tende a concludersi con valutazioni dei risultati, rendiconti e revisioni finanziarie. È nell’interesse delle Organizzazioni Non Governative o di quanti facciano domanda di sovvenzioni dimostrare di avere le credenziali per ottenerli e la capacità di portare a termine con successo progetti simili, perciò la comunicazione ha un ruolo importante nella ricerca del raggiungimento degli scopi dell’organizzazione.
Gli stipendi del settore sono spesso pubblici: certamente lo sono per le organizzazioni internazionali ma, spesso, i dati sono disponibili anche per le ONG più affermate. Una rapida ricerca di mercato rivelerebbe che si tratta di stipendi dignitosi ma non di cifre oltraggiose, quando in posizioni dirigenziali equiparabili a quelli percepiti in aziende di grandezza simile. Se è doveroso pretendere che non si speculi sulla povertà, è lecito chiedere che la professionalità sia retribuita anche se la si esercita per un fine di utilità sociale.
La selezione del personale, similmente, avviene per lo più attraverso annunci pubblici: con l’eccezione di posizioni d’entrata e volontariato, sono richieste, in genere, competenze linguistiche, esperienza in paesi in via di sviluppo e spesso la disponibilità a viaggiare con scarso preavviso anche in aree di crisi.
Al netto dei questuanti che raccolgono denaro brandendo la foto di un bambino gracile e riparandosi dietro qualche logo sbiadito, la cooperazione allo sviluppo è un sistema in cui i governi mondiali hanno deciso di riporre fiducia e, per questo, in molti casi serrato i controlli. Organizzazioni affermate hanno affinato la trasparenza delle proprie procedure ed accettato l’obbligo di rispondere della provenienza e gestione dei fondi, sia pubblici che privati: nel Regno Unito ed in diversi paesi europei il settore è dettagliatamente regolamentato a norma di legge.
La cooperazione italiana con i paesi in via di sviluppo è regolata principalmente dalla legge 49 del 1987 e da specifiche norme successive come il decreto legislativo 163/2006 sugli appalti di lavori, forniture e servizi. Investita da scandali già oggetto di una commissione di inchiesta parlamentare negli anni ’90, non è stata ancora riformata in modo puntuale come auspicato da molti addetti ai lavori.
A livello mondiale, la cooperazione non ha che beneficiato del crescendo di regolamentazione che l’assimila ad altre industrie di settore nella ricerca di risultati misurabili che non lasciano spazio all’approssimazione, nell’uso efficiente del denaro, nella trasparenza in materia di contabilità.
La povertà nel mondo, le catastrofi naturali ma anche lo sviluppo economico per cui le soluzioni contemporanee hanno risultati così ambigui nei paesi industrializzati sono eventi il cui tentativo di gestione è gravoso per l’animo umano. La risposta più concreta a questo tentativo è il compromesso fra procedure collaudate, efficaci e minuziose e gli ideali che le animano, in un equilibrio garantito da controlli reciproci e strutture ben delineate ma funzionali.
È anche nell’interesse dei professionisti del settore promuovere riforme del sistema qualora questo lo necessiti ed offrire trasparenza nella gestione di denaro pubblico ed offerte private, a margine di un dibattito informato e non banale.
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