di Alia K. Nardini

Nonostante gli esperti concordino che la prospettiva di un conflitto nucleare tra Corea del Nord e Stati Uniti sia decisamente improbabile, l’attuale situazione nel Pacifico non manca di sollevare apprensioni. Difatti, la contrapposizione diplomatica e strategica che vede da un lato Pyongyang (con possibile appoggio dell’Iran, anche in seguito al patto per la cooperazione tecnologica e scientifica stretto tra i due paesi nel settembre 2012), e dall’altro Stati Uniti, Europa, Russia, Cina (queste ultime almeno secondo le posizioni ufficiali), e praticamente ogni altra nazione rilevante a livello mondiale, condurrà ad un riallineamento globale degli equilibri di potere, così come delle priorità degli Stati Uniti, con un potenziale aumento di instabilità a livello sistemico.

Alcune riflessioni rilevanti a riguardo:

– Prima di tutto, seppur sia difficile comprendere appieno le intenzioni di Kim Jong-un, è evidente che i recenti test missilistici, a cui sono seguiti la paralisi delle comunicazioni, delle frontiere e delle relazioni diplomatiche nordcoreane, lo “stato di guerra” con Seoul, ed infine le minacce di “colpire con testate nucleari la Corea del Sud e le basi americane a Guam e alle Hawaii”, costituiscono principalmente un dimostrazione di forza. In questo senso, sono da tenere in considerazione non solo l’acerba quanto incerta età di Kim Jong-un (il leader più giovane del mondo a controllare un arsenale nucleare); bensì anche la sua relativamente breve presenza al potere (dal dicembre 2011) e la sua poca esperienza politica e diplomatica. Per questo motivo, sarebbe più opportuno leggere l’“esibizione di forze” della Corea del Nord più come la necessità di riaffermare il controllo su una situazione nazionale frammentata e instabile, per reprimere rivalità politiche e conflitti sociali (e forse ancor più la volontà di posporre indefinitamente i lavori per l’unificazione con la Corea del Sud), piuttosto che l’intenzione di provocare gli immensamente più potenti Stati Uniti.

– In secondo luogo, è opportuno smentire certe voci che affermano come l’America stia unicamente cercando una scusa per aprire il fronte di una nuova guerra, una volta terminato il ritiro dall’Afghanistan nel 2014. Gli Stati Uniti nel terzo millennio vengono spesso descritti, tracciando una linea di continuità che va da Bush a Obama, come pronti al confronto militare per rimpiazzare le dittature ostili agli interessi statunitensi con sistemi democratici e aperti al libero mercato; ciò nonostante, il Presidente Obama non è certo disposto ad aumentare le spese militari (pagando, realisticamente, anche un alto prezzo in termini di popolarità), in un momento di delicata ripresa economica per l’economia americana come quello odierno.

– Infine, è necessario ricordare che il pivot sul Pacifico, dettagliatamente proposto dalla Casa Bianca già nell’autunno 2011, non prevede nuovi scontri, ma – almeno per parte statunitense – occasioni di incontro con le potenze emergenti (Cina e India) attraverso istituzioni regionali multilaterali, per un “bilanciamento di forze” nella macrozona Asia-Pacifico. In quest’ottica si collocano i recenti accordi per congiunte esercitazioni militari con la Cina e con l’India, il riposizionamento di truppe statunitensi in Australia, Singapore e Guam, nonché la richiesta statunitense di mediazione rivolta alla Cina, per mediare nella contrapposizione con la Corea del Nord.

Sulla base di tali considerazioni vanno letti l’appello degli Stati Uniti a “ridimensionare le minacce nordcoreane”, l’apprensione generalizzata per gli inconcludenti tentativi di mediazione del Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, l’insofferenza della Russia verso la mancanza di conformità di Pyongyang alle direttive ONU (che metterebbero Putin seriamente in difficoltà, in caso di un nuovo voto per sanzioni aggiuntive alla Corea del Nord al Consiglio di Sicurezza) e, non da ultimo, le preoccupazioni nei confronti di una potenziale disputa tra Cina e Vietnam per il controllo del petrolio nel Mare Cinese Meridionale – proprio mentre il Vietnam sembra aver trovato nuove sinergie con gli Stati Uniti.

La posizione della Corea del Nord nella situazione geopolitica attuale preoccupa i leader mondiali e complica le relazioni economiche, militari e diplomatiche in una macroregione in cui si gioca la partita per la sicurezza e la stabilità del mondo nel terzo millennio. Come ha affermato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Victoria Nuland, le affermazioni di Kim Jong-un sono pura retorica. Ma retorica a che fine? Seppur l’interesse di Pyongyang sia rivolto allo scenario politico e sociale nazionale, e non rifletta certamente le vere intenzioni del paese (e su questo punto i media dovrebbero fare più attenzione a infiammare gli animi), gli Stati Uniti sono costretti a prendere precauzioni, seppur all’interno di un più vasto spostamento e bilanciamento di forze che era comunque in programma. Non è chiaro se questi movimenti strategici potranno condurre ad una potenziale convergenza tra America, Cina e Russia; né se eventuali progressi in questa direzione possano avere conseguenze positive a lungo termine. In ogni caso, saranno gli sviluppi nel Pacifico a determinare i nuovi parametri della geopolitica globale, al momento estremamente volatili – e che, in quanto tali, vanno approcciati con estrema cautela.

 

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