di Giuseppe Balistreri

È stato impressionante sentire il nome di un signore mite e cordiale come Stefano Rodotà, brandito come una clava e scandito dagli scranni di Montecitorio da parlamentari inneggianti come agguerriti tifosi allo stadio. Grillo se ne è servito come di un’arma per creare sbandamento dentro il Pd e bisogna dire che c’è riuscito. Rodotà era per la sinistra un nome rispettabile, ma che non portava da nessuna parte. Ci è cascato Vendola, per il quale contano di più le questioni di schieramento che quelle di governabilità, anche in una situazione di caos come quella che stiamo vivendo e che qualsiasi irrigidimento necessariamente aggrava.

Grillo non ha proposto un nome per la presidenza, ha confermato il modo di procedere adottato subito dopo le elezioni: prendere o lasciare. Volete il governo? Dateci i voti che lo facciamo noi. Volete il presidente della repubblica? Dateci i voti che lo facciamo noi. Grillo non tratta, pone degli ukase. O si fanno le cose come dice lui, o non se ne fa niente. Convinto di avere il consenso del popolo e di interpretare la sovranità popolare, per come essa si esprime nei suoi blog, Grillo di fatto impone tendenzialmente la sua dittatura. Peccato che non abbia potuto nominare lui stesso personalmente Rodotà come presidente della repubblica e che invece si sia dovuti passare per il voto del parlamento. Se fosse successa la prima cosa, si sarebbe trattato di una procedura democratica, nel secondo caso invece si è attuato un colpo di stato.

Grillo sta conducendo una guerra contro i partiti e dunque è ovvio che non voglia venire in loro soccorso. Non ritiene che bisogna trattare con il nemico, quando è possibile attendersi una resa incondizionata. Sente che deve continuare il suo attacco e non dar tregua ai partiti. Di fatto Grillo rende impossibile la formazione di un nuovo governo, ma questo è funzionale alla sua strategia. Infatti in questo modo costringe i partiti ad allearsi e lui allora potrà gridare ai quattro venti di aver avuto ragione, e cioè che destra e sinistra pari son, in quanto in realtà si tratta di due varianti dello stesso sistema spartitorio, della stessa banda che ha deciso di svaligiare il paese. Rendendo indisponibili i suoi voti, Grillo costringe gli altri due maggiori partiti ad allearsi. E sempre in questo modo, Grillo aggrega il fronte dei suoi nemici per poterli colpire meglio. Egli può così continuare a mantenersi sullo stesso terreno di attacco anti-sistemico che lo ha tanto enormemente premiato alle ultime elezioni. Il tempo gioca a suo favore, sa che presto si andrà a nuove elezioni e qui spera di battere i suoi avversari. Se accondiscendesse a più miti propositi, la sua immagine di castigatore del malcostume pubblico ne risulterebbe intaccata. Grillo è perciò costretto a recitare il suo ruolo fino in fondo, a insistere su quel radicalismo irremovibile che lo ha finora ampiamente ricompensato. L’unico interesse di Grillo è dunque starsene fuori. Posizione che paga, e che comunque non ha alternative. Che il comportamento dei 5S possa danneggiare il paese, a Grillo non interessa minimamente, perché nella sua visione totalitaria il bene del paese coincide con l’affermazione monopolistica del suo movimento. Lo sfascio riguarda gli altri.

Per Grillo non si trattava di eleggere il miglior presidente possibile della Repubblica. Se avesse voluto il miglior presidente, avrebbe dovuto accordarsi con gli altri, partecipare alle trattative, offrire delle disponibilità, cedere qualcosa, in cambio della scelta reputata migliore. Ma Grillo non voleva niente di tutto questo. Grillo voleva umiliare il Pd e mettere fuori gioco il PdL. Ma è chiaro che il Pd non poteva abbassarsi le brache fino al punto di regalargli i suoi voti e questo Grillo lo sapeva benissimo. Segno che a lui di Rodotà non importava un bel niente e dispiace che un uomo come Rodotà gli abbia detto di sì, lasciandosi coinvolgere in questo gioco al massacro. Rodotà è stato per Grillo il classico specchietto per le allodole. Possibile che Rodotà non se ne sia reso conto? E che dire allora di Vendola? Dilettanti allo sbaraglio. Com’è che un comico politicamente analfabeta è riuscito a mettere tutti nel sacco? Dopo aver creato divisione nel Pd e resosi praticamente indisponibile per qualsiasi dialogo sulla nomina del presidente, Grillo ha praticamente raggiunto quello che voleva, e cioè che uscisse fuori un candidato gradito tanto alla destra quanto sinistra in modo da poter gridare all’inciucio, che è la cosa che maggiormente gli interessava, e cioè farsi rifornire dagli stessi nemici i pezzi di artiglieria che poi lui gli scaglierà contro. Il volume di fuoco addirittura si è alzato al punto di parlare di golpe. Come se l’elezione di Napolitano fosse avvenuto con una marcia su Roma (cosa che invece si apprestavano a fare i grillini) e con l’occupazione manu militari del Parlamento. Giacché questo e non altro significa l’espressione “colpo di stato”. Se poi, anche in una questione così delicata, si intende parlare per metafore e per iperboli, allora siamo alle parole in libertà. In questo però Grillo non inventa nulla nuovo, egli continua quella irresponsabilità verbale a cui ci hanno abituato Bossi e Berlusconi. Da questo punto di vista Grillo è la continuazione di chi in tutti questi anni ha barbarizzato il linguaggio politico e ne rappresenta a sua volta la nemesi storica.

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