di Chiara Moroni
In un Paese come l’Italia, in cui la sensazione quotidiana è quella della deriva individuale e collettiva, il sistema politico continua a distinguersi per la sua autereferenzialità e per la permeabilità che mostra nei confronti di quelle azioni che sole possono mettere in moto il necessario processo di cambiamento.
Se da un lato abbiamo una società confusa, che non trova l’appiglio giusto nel sistema istituzionale e politico che le permetta di salvare il Paese con la volontà e il buon senso che in altri momenti cruciali della nostra storia sono stati il motore dello sviluppo e della crescita, dall’altro lato abbiamo un sistema politico che non ha compreso quale sia oggi il più grave limite di questa nostra Repubblica – prima, seconda o terza a questo punto è irrilevante – indebolita nei sui fondamenti democratici, maltrattata nei sui presupposti ideali.
Ad essere in crisi, con conseguenze gravi, è il fondamento stesso del sistema democratico: il principio della rappresentanza. Perché la delegittimazione della classe politica e il rifiuto del suo ruolo da parte della società, da un lato, e le continue dimostrazioni di mancanza di assunzione di responsabilità da parte dei politici, dall’altro, non fanno che negare la validità e la funzionalità della rappresentanza politica.
È chiaro che se l’idea più diffusa tra i cittadini è che la classe politica non serva a nulla, ma a sua volta essa costituisce l’incarnazione del principio di rappresentanza, per una semplice quanto inevitabile proprietà transitiva, indirettamente si dichiari l’inutilità del principio di rappresentanza stesso.
Il successo del Movimento 5 stelle è basato soprattutto sul tema che per primo e in modo caratterizzante ha segnato il messaggio politico di Grillo: la questione della rappresentanza, ed è proprio questa questione che ha funzionato da discrimine, trasversale alle appartenenze politiche, nella scelta degli elettori. Essi hanno concesso il voto al Movimento soprattutto in base al fatto che Grillo poneva una delegittimazione, verbalmente violenta e priva di qualsiasi possibilità di remissione, del principio stesso secondo il quale la classe politica ci rappresenta e rappresenta gli interessi dei cittadini. E questo ha certamente influito sulle scelte di voto più del programma elettorale stesso – tra l’altro piuttosto generico e non di rado impraticabile.
A fronte di questo attacco – che non è limitato agli uomini politici che incarnano le istituzioni, ma è rivolto al sistema democratico e alle istituzioni stesse che lo definiscono e lo strutturano – la politica ha cercato prima di ignorare la questione, liquidando il Movimento di Grillo come un mero fenomeno mediatico privo di sostanza; quindi, di fronte all’enormità concreta del suo successo, ha cercato di blandirlo per ricondurlo alle logiche e alle prassi consolidate della peggior politica nostrana, senza mai riflettere su come rendere inutile la contestazione grillina e inefficace il suo attacco alle fondamenta del nostro sistema democratico.
Certo, l’incapacità manifesta degli uomini politici che oggi chiedono la nostra fiducia, non aiuta a sostenere la legittimità e l’irrinunciabilità del principio rappresentativo e dell’esistenza di una classe politica che lo incarni.
La prima riforma, inevitabile e urgente, che la politica dovrebbe mettere in cantiere e rapidamente approvare è la riforma della legge elettorale, e questo ancor prima delle riforme costituzionali. È infatti necessaria una legge elettorale che dia il potere agli elettori di scegliere davvero la classe politica, costruendo un rapporto reale, costante e sempre verificabile tra eletti ed elettori. I sistemi elettorali che sono stati prodotti fin qui hanno realizzato l’esatto contrario: il proporzionale puro della Prima Repubblica, il Mattarellum e il Porcellum producevano come effetto quello di bloccare le scelte degli elettori nei meccanismi di potere precostituiti e dai quali essi sono totalmente esclusi. Cambiare la legge elettorale è urgente tanto quanto lo sono i provvedimenti di politica economica, perché ridare valore alle istituzioni rendendole effettivamente rappresentative, non solo permette di garantire l’esistenza della democrazia stessa, ma aiuterebbe anche ad affrontare la crisi economica che in Italia, più che altrove, è anche strutturale, e che costringere chi governa a scegliere tra interessi fondamentali tutti ugualmente meritevoli di sostegno. Di fronte a scelte tanto difficili che incidono profondamente nel quotidiano dei cittadini, la politica non può far da sé, risolvendo le questioni nel segreto delle stanze del potere, ma deve continuamente chiedere legittimazione e sostegno ai cittadini che però oggi, data la situazione, mostrano o acquiescenza e disinteresse o atteggiamenti di ribellione, non di rado violenti.
Per evitare questi estremi comunque infruttiferi, e la sopravvivenza del nostro sistema-paese – istituzionale, politico, economico e sociale – è necessario costruire istituzioni davvero rappresentative, partiti credibili e meccanismi che garantiscano una costante riaffermazione della legittimazione dell’eletto da parte dell’elettore.
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