di Angelica Stramazzi

In un articolo pubblicato su “Il Foglio” lo scorso 21 maggio, e successivamente su queste colonne, il Professor Alessandro Campi si chiedeva se – e in che termini – fosse ancora possibile la (ri)costruzione della destra italiana a fronte delle varie disgregazioni che si sono verificate in questi ultimi anni, tra cui la quasi scomparsa delle anime post-missine dall’arco parlamentare alle recenti elezioni politiche di febbraio, se non fosse per la presenza di Fratelli d’Italia, movimento che nel suo interno conta esponenti che nel Msi e in Alleanza Nazionale sono cresciuti e si sono formati. Lo stesso Campi, focalizzando l’attenzione sul contesto locale, in vista delle elezioni amministrative del prossimo 26 e 27 maggio, si domandava se una possibile vittoria – e riconferma – del sindaco uscente Gianni Alemanno potesse costituire per gli eredi di Almirante l’inizio di un nuovo percorso di rinascita per la destra postfascista, una sorta di nuovo “sdoganamento” in grado di conferire luce e dignità ad un gruppo dirigente attualmente smarrito e privo di adeguata rappresentanza.

Ammesso e non concesso che Gianni Alemanno risulti vincente dalle urne – il responso popolare è sempre difficile da prevedere, nonostante gli istituti demoscopici continuino a propinarci sondaggi in cui la certezza supera la previsione e la prevedibilità – occorre chiedersi se la sua persona possa essere vista (e scelta) come guida delle diverse anime che in Alleanza Nazionale trovarono la giusta – e naturale – collocazione. In altri termini, verrebbe da chiedersi se i vari La Russa, Meloni, Rampelli e compagnia cantante, potrebbero dirsi favorevoli ad una ricomposizione dei loro valori e principi, affidando tale operazione al sindaco di Roma Capitale. Ma sarebbe ancora più opportuno domandarsi se lo stesso Alemanno possa prestarsi ad una operazione del genere. Non è un mistero che l’ex Ministro alle Politiche Agricole abbia da tempo scelto di collocarsi nell’area del centrodestra, restando fedele ai principi ispiratori del Popolo della Libertà, di cui egli resta uno degli esponenti di spicco. Parlare infatti di rifondazione della destra italiana senza tener conto che gran parte di essa è presente all’interno del movimento berlusconiano del Pdl potrebbe generare alcune perplessità, non fosse altro per il fatto che uno degli errori commessi dagli ex missini è stato proprio quello di volersi costruire attorno un recinto che li proteggesse dagli attacchi – e dalle influenze – esterne. E’ stata forse proprio questa autoghettizzazione esasperata a contribuire alla scomparsa di un certo gruppo dirigente, al netto degli errori – clamorosi ed evidenti – commessi da Gianfranco Fini.

Non sarebbe invece più opportuno, anche in vista di una modernizzazione del linguaggio e delle modalità di confronto tra partiti e tra diverse anime di uno stesso partito, puntare su una riunificazione che prescinda dal passato e che si fondi invece su una comune condivisione di valori e principi aggiornati alle esigenze della nostra società e alle criticità che vive il Paese?

 

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