di Simone Ros

Nel giorno in cui una donna ha perso il suo trono, un’altra ha forse iniziato la scalata verso l’Olimpo del governo. Luogo della caduta e della repentina ascesa: Salisburgo. Protagoniste: Gabi Burgstaller ed Eva Glawischnig. Le due non potrebbero essere più diverse. Gabi “la rossa” è la monumentale pasionaria socialdemocratica della città di Mozart, espressione da mastino e corpo generoso fasciato dai suoi leggendari tailleur rosso fuoco. La carismatica ed affascinante Eva, fisico sportivo e sorriso alla Julia Roberts, è la leader dei Verdi austriaci, oggi sulla cresta dell’onda.

La Burgstaller sapeva di giocarsi il tutto per tutto ripresentandosi alle elezioni regionali del Land salisburghese: da longeva governatrice uscente, travolta dal fango di uno scandalo finanziario a fine 2012, aveva già preventivato le dimissioni irrevocabili in caso di sconfitta. Tutto si è svolto secondo copione: “Gabi la rossa è storia, nessuno sa ora che cosa faranno i rossi” titolava sprezzante la popolare Österreich il giorno dopo la catastrofe (lunedì 6 maggio). La SPÖ della Burgstaller è infatti crollata al 23,8 % (quasi sedici punti percentuali in meno), mentre la rivale ÖVP franava al 29%, mantenendo comunque il primo posto. La vera sorpresa sono stati i Verdi della Glawischnig, guidati da Astrid Rössler: terzo posto soffiato alla destra estrema della FPÖ, un boom di consensi che li ha fatti schizzare al 20% a livello regionale e raggiungere la vetta nel capoluogo, dove hanno agguantato il primo posto. Al di là della mera vicenda personale di una controversa protagonista della politica locale e nazionale (avevano fatto scalpore le sue posizioni riguardanti il discusso referendum sulla leva obbligatoria, a gennaio 2013) la stangata assestata alla SPÖ riapre i giochi in vista delle sospirate elezioni parlamentari di fine settembre. SPÖ ed ÖVP, scalpitanti partner di governo, intendono lanciare alla cancelleria i rispettivi leader: il Cancelliere uscente Faymann e il suo Vice Spindelegger. Gli outsider sono disposti a tutto pur di rovinare lo festa: i Verdi della Glawischnig, portavoce di un’Austria giovane, urbana, secolarizzata ed eco-sensibile; la FPÖ nazionalista ed euroscettica dello spregiudicato Heinz Christian Strache, erede di Haider; il neonato Team del miliardario Frank Stronach, pimpante ottuagenario austro-canadese determinato a strappare alla FPÖ il ruolo di megafono del dissenso. Salisburgo è solo una tappa di un percorso ad ostacoli avviato a marzo 2013.

La sfida si è aperta con le consultazioni elettorali in Austria inferiore, inassediabile roccaforte nera (cioè ÖVP). I socialisti sono rimasti a malapena a galla, i Verdi hanno raggranellato il consueto 8%, l’eterno governatore uscente Erwin Pröll (una sorta di Galan) ha mantenuto la maggioranza assoluta a discapito dei furenti attacchi dello sfidante Stronach, sceso in campo in prima persona. Nonostante la scontata vittoria a mani basse di Pröll, il neofita Stronach ha retto brillantemente la prova: assestando pirotecnici colpi bassi all’ex sodale (“Erwin Pröll non essere un codardo! Abbi il coraggio di confrontarti con me!” gridava Stronach dai manifesti con ringhio da squalo, accusandolo di sperperare denaro pubblico in speculazioni) è riuscito nell’epica impresa di sfiorare la soglia del 10%. Deludente la prova dell’ammaccata FPÖ, rappresentata dalla pasionaria (ex candidata alle presidenziali) Barbara Rosenkranz. Il secondo round si è giocato in Carinzia, nello stesso giorno (3 marzo): un Land squassato dagli scandali, deciso a liberarsi una volta per tutte dall’ingombrante spettro di Jörg Haider. E così è stato, superando le più rosee aspettative degli avversari del governatore uscente Dörfler: mortificante crollo del 30% per la destra estrema al governo, ottima performance del Team Stronach (schizzato all’11,3), successo strepitoso della SPÖ, volata al 37, 1 % grazie alla rivoluzione gentile del candidato Kaiser (nomen omen, soprattutto in Austria). Tutto secondo copione: uno a uno per la coalizione governativa, tonfo drammatico del luciferino Strache e debutto tonante per Stronach, evidentemente in grado di erodere consensi a suon di populismo casareccio (ben lontano dalla sinistra xenofobia della FPÖ). Non dimentichiamo che i risultati di St. Pölten e Klagenfurt vengono letti e interpretati a Vienna, nelle case madri dei partiti di governo: la SPÖ, per ora in testa a livello nazionale, vuole mantenere l’entusiasmo della base dopo la doccia fredda del referendum; la ÖVP, stanca del secondo posto, crede nella rimonta a suon di vittorie locali.

Il sostanziale pareggio si è però capovolto già il 29 aprile, con il trionfo di Platter (ÖVP) a pochi passi dall’Italia, in Tirolo. Nonostante la risicata partecipazione ai minimi storici (uno stridente 56,09%) le urne hanno ampiamente premiato la compagine popolare, confermando con uno squillante 40% la ÖVP del galvanizzato Spindelegger. Modesti i numeri della SPÖ (il Tirolo è colorato di nero fin dal 1945), buona la perfomance dei Verdi (primi a sorpresa nel capoluogo Innsbruck), catastrofica la prova di FPÖ e Team Stronach. Unanime la stampa: la favola di Stronach comincia a rivelarsi un incubo. Curiosa le coincidenza: nelle stesse ore Debora Serracchiani, nonostante la scarsa partecipazione, vinceva sul filo di lana in Friuli battendo sul campo l’apparentemente invincibile movimento grillino. Il Tirolo si è rivelato il Friuli del miliardario stiriano, seppur in proporzioni enormemente più eclatanti: archiviati i successi precedenti, il Team Stronach si inabissa ad un bruciante 3,4 %, pagando lo scotto di umilianti diatribe interne. Il meccanismo si è inceppato? Se Atene piange, Sparta non ride: la FPÖ di Strache, ancora tramortita dalla Götterdämmerung carinziana, elemosina un umiliante 9,6. La sfilza di sconfitte continua, azzoppando la corsa di Strache verso la sfida autunnale.

L’apertura delle urne salisburghesi ha dunque ulteriormente complicato la matassa: un colpo al cuore per la SPÖ, che sperava fino all’ultimo di difendere la corona di Gabi la rossa (scoppiata in lacrime di fronte al Consiglio regionale quando lo scandalo finanziaria venne portato alla luce); un trionfo inaspettato per la ÖVP, che vede nel successo del grigio e mite Haslauer un presagio della possibile vittoria della force tranquille di Spindelegger; un sospiro di sollievo per la FPÖ e per il Team Stronach, tornati a percentuali onorevoli; un vento nuovo per i Verdi, che in molti identificano come possibili partner di governo (una novità assoluta nel panorama politico austriaco). A Vienna, nella Cancelleria, Faymann attende dubbioso l’evolvere della situazione, affidandosi alla poderosa macchina elettorale approntata dal suo spin-doctor, l’ex ministro della Difesa (prima vittima del fallimentare referendum) Norbert Darabos. Spindelegger si è lasciato invece andare a facili entusiasmi: ha definito il 2013 “l’anno della ÖVP” e conta di cavalcare la volata delle Regionali per scalzare dal trono proprio quel Faymann di cui è, volente o nolente, l’eterno Vice. “Mi candido per essere primo, naturalmente” ha dichiarato dopo Salisburgo. Governissimo o no, la sfida è aperta.

 

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