di Alessandro Campi

Il problema non è il prof. Paolo Becchi, quel barbuto signore che da alcune settimane è assurto a gloria mediatica per le sue prese di posizione, come dire?, piuttosto eccentriche, dalle sparate contro i banchieri e l’Europa all’annuncio di un’imminente rivolta sociale, ma chi – giornali, televisioni, radio – lo ha preso sul serio sino a farne l’ideologo o l’ispiratore intellettuale di non si sa bene che cosa, visto che anche il M5S e Grillo, che in passato gli avevano dato spazio e lo avevano accreditato come loro interprete o esegeta, sembrano averlo brutalmente mollato al suo destino.

Il problema insomma è un sistema dell’informazione ormai totalmente sfuggito di mano, senza regole o filtri, famelico di notizie sempre nel segno del sensazionalismo e di personaggi – come appunto il Nostro – sempre nuovi e per quanto possibili esagerati, debordanti, estremi, di quelli che basta una parola o un sospiro e ti permettono di imbastire una campagna di stampa, di innescare una polemica furibonda, di fare un titolo a tutta pagina, e di andare avanti in questo modo per giorni e settimane.

C’è – a parziale giustificazione della fama cui è assurto Becchi dopo alcuni decenni in cui nessuno se l’era filato in virtù dei suoi studi universitari – il bisogno da parte dei media di saperne di più su un movimento come quello fondato e guidato dal comico genovese, originale e per molti versi spiazzante. Cosa pensano i grillini, quali sono le idee che alimentano la loro battaglia politica, da dove hanno tratto i loro slogan e programmi, chi ne ispira le posizioni? Abituati a pensare, per ragioni storiche legate alla nostra formazione umanistica, che sono le idee politiche a produrre l’azione politica (in realtà spesso avviene il contrario, le idee giustificano ex post le azioni) ci si è chiesti chi fosse il motore ideologico del radicalismo grillino. E alla fine ci si è accontentati, in mancanza di altro e visto che Casaleggio, con i suoi deliri apocalittico-esoterici, funziona male dal punto di vista dell’informazione, di puntare i riflettori sull’incendiario Becchi.

Un po’ la stessa cosa era accaduta, vent’anni fa, con la Lega di Umberto Bossi, che non si poteva immaginare – rozzo e sbrigativo com’era sin dall’aspetto quest’ultimo– che avesse creato lui da solo un movimento politico praticamente da zero, che ora sbarcava in Parlamento con centinaia di deputati e senatori (esattamente come oggi i grillini). Chi era l’ispiratore di quei barbari giunti dal Nord, che predicavano la secessione dall’Italia e la rivolta fiscale contro Roma? Anche in quel caso, spuntò dal nulla – visto che sino al giorno prima lo conoscevano solo gli addetti ai lavori – un eccentrico professore, dalle idee piuttosto originali e controcorrente, che rispondeva al nome di Gianfranco Miglio.

Orecchie puntute, cranio lucido, sguardo vagamente luciferino, parlantina forbita ma a tutti accessibile, Miglio divenne ben presto una star: più le sparava grosse – contro i meridionali, contro Berlusconi, contro un Parlamento composto da ladri e incompetenti, contro le istituzioni della Repubblica, e anche lui si trovò a evocare fucili e sparatorie e ad annunciare rivolte e guerre civili – più i mass media se lo contendevano per un’intervista o una dichiarazione, sapendo che sarebbe bastata una sua parola per scatenare una polemica il giorno dopo. Finì – dopo alcuni mesi di grande esposizione mediatica del “prufessur” – che Bossi si stancò di Miglio, forse ne era geloso, e lo espulse dal movimento, dopo avergli preferito nel ruolo di ministro del primo governo Berlusconi uno steward dell’Alitalia, tale Speroni, definendolo con una frase rimasta da antologia del cattivo gusto politico: “Miglio è una scorreggia nello spazio”.

Sennonché – bisogna chiarirlo – il Miglio di ieri sta al Becchi di oggi esattamente come, su un altro piano, Meryl Streep sta a Flavia Vento: entrambe donne di spettacolo, ma diciamo che la prima è un tantino più brava della seconda. Miglio, oltre ad essere un grande tecnico delle istituzioni e un politologo di valore internazionale, aveva anche il pregio di essere cinicamente ironico e di mostrasi irriverente per il gusto di scandalizzare le anime belle, e dunque non si prendeva molto sul serio, sapeva perfettamente di star partecipando ad una sorta di gioco. Becchi, filosofo del diritto che grandi tracce scientifiche sinora non sembra aver lasciato, è invece uno che lo vedi essere tutto preso nella sua parte di profeta del “mondo nuovo” grillino, incazzoso non c’è male, pronto a infastidirsi se qualcuno lo contraddice, mosso al tempo stesso dal rancore e da una ambizione tanto più tdifficile da controllare quanto più essa è giunta tardiva.

Ma non è questo il punto, come dicevamo. Il punto è che in un mondo non perfetto ma minimamente più serio di quello in cui viviamo, Becchi si sfogherebbe su un blog personale, distillerebbe la sua rabbia e le sue invettive sul proprio profilo facebook, come fanno tutti i lunatici e gli estremisti di questo mondo. E invece ad uno che dice – senti tu quanto è originale! – che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, che prima o poi qualcuno prenderà i fucili, che i politici sono tutti ladri, si offrono tribune televisive, si fanno interviste radiofoniche, si chiede di precisare meglio il proprio pensiero. Gli si dà, tanto per mostrarsi sobri, del guru e dell’ideologo, nemmeno fosse Sorel o Gramsci, si paragona la sua barba a quella di Karl Marx, e magari ci si chiede anche come mai non ci si sia accorti prima dell’esistenza in Italia di un pensatore tanto profondo.

Ovvio che la moda di Becchi passerà, specie ora che Grillo l’ha sconfessato alla sua solita maniera, con una mezza frase lanciata in rete. E magari si scoprirà, spenti i riflettori, che nei suoi studi accademici non è nemmeno tanto male, anche se da uno che ha scritto un libro intitolato “Anatomia del dolore” parlando delle sue fistole anali non ci si può aspettare granché. Il problema è chi ne prenderà il posto nel sistema dell’informazione, a chi ci si rivolgerà per sentirla sparare sempre più grossa. Perché, ormai dovreste averlo capito, non sono le idee cha fanno notizia e colpiscono l’attenzione del lettore o del pubblico, ma la loro trasfigurazione urlata, non pagano i pensieri ragionati e ragionevoli, ma i pensieri tagliati con l’accetta e le invettive. E poi ci si chiede perché in Italia le cose non vanno?

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