di Antonio Mastino
Il 5 giugno scorso le forze di sicurezza del Puntland hanno catturato il leader di al-Shabaab (la milizia islamista somala affiliata alla rete di al-Qaida), Abdikafi Mohamed, a seguito di un’operazione militare che ha visto l’uccisione di un soldato e il ferimento dello stesso. Il raid è avvenuto nella città di Bosasso, un porto del nord del Puntland vicino alle alture del Galgala dove al-Shabaab mantiene una base operativa.
Il Puntland è la regione semi-autonoma del Nord-Est del Corno d’Africa, formalmente sotto l’autorità di Mogadiscio, che negli anni, dopo il fallimento dello Stato somalo e il controllo di questo da parte dei guerriglieri di al-Shabaab, ha ottenuto un discreto grado di autonomia e stabilità.
Il crollo del regime delle Corti Islamiche e l’avvento di al-Shabaab ha reso la Somalia la prima causa di instabilità di tutta l’area del Corno d’Africa, soprattutto a causa delle imponenti minoranze somale presenti in tutti i Paesi confinanti. Da un lato, infatti, è rientrata nell’ambito del conflitto asimmetrico tra Etiopia e Eritrea, con Asmara che ha giocato un ruolo chiave per il successo dei qaidisti per far sì che essi alimentassero il secessionismo somalo nella regione etiope dell’Ogaden. Dall’altro lato, la penetrazione di al-Shabaab in Kenya ha portato a ripetuti sequestri ai danni di turisti occidentali, rappresentando una seria minaccia a tutta la loro economia turistica che da sola vale circa il 14% del PIL di Nairobi. Inoltre, la continua penetrazione dei guerriglieri nel poroso confine Kenya-Somalia rappresenta un ostacolo alla realizzazione dell’hub portuale keniota di Lamu, che si trova a ridosso di una fascia di popolazione di etnia somala.
A seguito dei successi delle missioni coordinate di Etiopia, Kenya e della missione AMISOM dell’Unione Africana, guidata dall’Uganda e sotto l’ombrello ONU, al-Shabaab ha perso posizioni nel Sud della Somalia. La perdita del porto di Kisimayo e del corridoio che collega Mogadiscio alla città di Baidoa (già raggiunta dalle truppe Etiopi) ha tagliato in due l’area controllata dalle milizie islamiste. Ciò ha tolto ai guerriglieri importanti hub di collegamento con l’esterno e i flussi di denaro provenienti dal controllo dei guadagni del settore della pesca e dal passaggio degli ostaggi provenienti dalla pirateria.
A seguito di queste perdite, al-Shabaab ha concentrato parte delle sue azioni nel Puntland, rappresentando una seria minaccia alla stabilità di una regione che ha un governo legittimo e democraticamente eletto, un buon livello – come già detto – di stabilità interna, nonché un certo grado di sviluppo economico dovuto in particolar modo agli stessi introiti provenienti dalla pirateria.
In generale, il cambiamento dello scenario ha portato al-Shabaab a variare la propria strategia d’azione. Oltre ad aver spostato l’epicentro delle proprie operazioni verso il Puntland, ha modificato il tipo di approccio nel Sud. Ha, infatti, intrapreso una tattica di destabilizzazione già utilizzata dalla guerriglia qaidista in altri scenari – come il Mali – ovvero quella di mescolarsi tra la popolazione locale per poi mettere a segno alcuni attacchi terroristici, in particolare a Mogadiscio. L’ultimo attacco nella capitale è avvenuto la mattina del 19 giugno ai danni di una sede del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo ha causato 22 morti e diversi feriti. È, questa, una tattica attendista volta a mantenere alta la tensione, nella speranza che alcune condizioni possano cambiare e rendano possibile una controffensiva, per la quale sarebbero immediatamente pronti.
Un cambiamento dello scenario, per esempio, potrebbe verificarsi a seguito del ritiro annunciato dei 10 mila soldati etiopi dal confine Nord-Ovest entro agosto. Qualora però le forze governative somale fossero in grado di avvicendarsi a quelle di Addis Abeba e mantenere il controllo dell’importante hub di Baidoa, l’attesa per al-Shabaab. potrebbe rivelarsi fatale.
In generale, quindi, al-Shabaab, oltre ad aver subito la decapitazione dei propri vertici, è stretta su più fronti e la mancanza di nuove fonti di sostentamento economico e logistico potrebbe destinarla a un rapido declino e, quindi, a una sconfitta. La disfatta, inoltre, potrebbe essere favorita anche da una sostanziale perdita di appeal nei confronti delle tribù locali, dove la loro presenza – prima percepita come un fattore di sicurezza – sta ora diventando soffocante. Questo perché, dove ancora vige il loro dominio, si è passati da una forma di pseudo-tassazione degli introiti provenienti dalle economie tribali (che garantiva ai clan una certa stabilità e libertà di azione e ad al-Shabaab l’appoggio delle milizie locali) all’estorsione e alla sostituzione in mercati strategici, come quello dello zucchero.
Il tessuto sociale somalo, che ruota tutto attorno alle dinamiche claniche, in generale non basa la propria fedeltà ai regimi in vigore su questioni di legittimità, bensì di mera utilità per la tribù. Ad esempio, ad aprile 2012 la milizia di Ras Kamboni, il cui leader era inizialmente uno dei fondatori di al-Shabaab, ha successivamente cambiato campo ed è stata un fondamentale supporto alle truppe keniote per la conquista di Kisimayo poiché al-Shabaab aveva unilateralmente stabilito di modificare a loro vantaggio la ripartizione degli introiti provenienti alla pesca.
Le estorsioni e la concorrenza in settori di commercio strategici, dunque, sono contemporaneamente un segnale del declino dei qaidisti, un indizio di come nel medio periodo può risolversi il conflitto a loro svantaggio e, infine, un monito per le forze governative in caso di vittoria definitiva.
Infatti, qualora il legittimo governo somalo dovesse riuscire a sconfiggere la guerriglia di al-Shabaab, dovrà riuscire nel breve periodo a trovare un buon compromesso con le tribù che consenta ad esse di mantenere i propri privilegi. Contemporaneamente a questo, dovrà lavorare nel lungo periodo su una serie di interventi in campo economico, di contrasto alla corruzione e di smilitarizzazione delle tribù. Occorrerà, in sintesi, scardinare il sistema vigente e ottenere quella legittimità che ora manca, perché bisognerà scongiurare il rischio che al-Shabaab venga semplicemente sostituita da un’altra organizzazione in grado di garantire i privilegi clanici.
Una situazione del genere, cioè una sostanziale incapacità della Somalia di darsi da sola una stabilità interna, potrebbe in definitiva portare alla ricerca di una soluzione definitiva da parte dei Paesi confinanti. Uno scenario in cui la Somalia dovesse rimanere uno Stato fallito, infatti, potrebbe indurre Etiopia e Kenya a considerare un’occupazione stabile delle aree di confine per creare delle aree cuscinetto in territorio somalo che, nel lungo periodo, porterebbe a una sostanziale balcanizzazione di quella che era la Somalia.
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