di Fabio Polese

Beirut – Durante i bombardamenti israeliani del 2006 in Libano, gli studi di Al Manar, il canale televisivo di Hezbollah, il partito sciita libanese, vennero completamente distrutti. Con grande sorpresa le trasmissioni televisive tornarono in onda dopo alcuni minuti. «Per motivi di sicurezza non posso parlare di come abbiamo fatto tecnicamente» mi dice il direttore di Al Manar, Abdallah Kassir, nel suo studio a Beirut sud. Nel settembre del 2004 Al Manar veniva messa nella lista delle organizzazioni terroristiche, e così, spiega Kassir è «come se avessero dato l’autorizzazione agli israeliani per attaccarci. Noi ci siamo regolati di conseguenza e abbiamo dato un segnale forte». Quale segnale? «Abbiamo fatto vedere che, nonostante i bombardamenti, eravamo ancora lì al lavoro». Poi aggiunge, «gli israeliani possono risparmiare le loro bombe, noi andremo comunque avanti».

Durante la guerra dei 33 giorni del 2006, Al Manar è sempre andata in onda e i cinque bombardamenti che hanno subito gli studi della televisione del Partito di Dio, non hanno provocato nessun morto. «Chi non ti uccide ti rende più forte», è questo quello che è successo ad Al Manar mi dice il direttore. Questi bombardamenti «ci hanno dato la forza per lavorare con maggiore entusiasmo. Bisogna fare delle minacce una opportunità per andare avanti».

Al Manar è la televisione più seguita in Medio Oriente dopo Al Jazeera. Con più di 400 dipendenti e 15 inviati esteri, trasmette dai primi anni ’90. Il 40% dei corrispondenti sono donne e la conduzione dei programmi di politica è quasi una loro esclusiva. La televisione di Hezbollah fa parte del Consiglio delle Tv e delle Radio arabe e anche della Federazione delle Tv e delle Radio islamiche. «Nel 1991 è nata Al Manar perché avevamo bisogno di una voce che parlasse della resistenza contro gli israeliani che avevano occupato il nostro Paese nel 1982».

Al Manar negli anni è stata censurata anche da diversi Paesi occidentali. Le trasmissioni di Al Manar «sono state oscurate nel 2003 in Europa e nel 2004 negli Stati Uniti». «Abbiamo seguito attentamente il caso – prosegue il direttore – e siamo arrivati alla conclusione che lo slogan occidentale della “libertà dell’informazione” è uno slogan falso, vuoto. Soprattutto quando si tocca Israele». «Abbiamo avuto problemi anche in Australia, ma lì hanno affrontato la situazione in maniera diversa». In che modo? «Hanno esaminato la programmazione di Al-Manar per tre mesi, e dopo aver analizzato il contenuto dei nostri programmi hanno capito che non c’era nessun tipo di irregolarità rispetto le normative australiane che riguardano i media». «Sappiamo che ogni media – continua Kassir – ha le sue influenze e non è diretta al 100%. Noi, al contrario, cerchiamo di essere sempre onesti nelle informazioni che diamo, anche quando non siamo d’accordo».

Al Manar è stata la prima televisione presente nella città siriana di El Quseir, dove uomini di Hezbollah, insieme all’esercito siriano, hanno liberato la roccaforte dei ribelli. «Che i combattenti di Hezbollah abbiano partecipato nella battaglia al fianco dell’esercito siriano non è un segreto. Stanno combattendo contro i terroristi che attaccano quotidianamente i villaggi libanesi lungo il confine». Il Fronte al Nusra (legato ad Al-Qaeda) che combatte insieme ai ribelli siriani contro il presidente Assad, «è inserito nella lista nera dei gruppi terroristici ma è finanziato e sostenuto da Stati Uniti, Israele, Qatar ed Arabia Saudita. Non è strano?».

C’è tempo ancora per un ultima domanda. Mi conferma il ritrovamento ad El Quseir di armi israeliane in mano ai ribelli? Sorride, «secondo me no». Poi aggiunge, «forse sono state trovate poche e piccole cose dove c’erano scritte in ebraico…».

 

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