di Andrea Falconi
Il conflitto tra le etnie Hutu e Tutsi, sorto a seguito della fine del colonialismo europeo nell’Africa centrale, sta continuando a destabilizzare vari Stati della zona dei Grandi Laghi, come la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda, il Burundi e l’Uganda. Oltre ad aver determinato i genocidi in Burundi (1972, 1993) e Ruanda (1994), la divisione tra le due popolazioni di etnia Bantù continua ad avere importanti ripercussioni sulla stabilità di tutti i Paesi dell’area.
In particolar modo, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, il Nord Kivu, le milizie pro-Tutsi dell’M23 stanno portando avanti una lotta senza quartiere alle popolazioni Hutu ivi presenti, generando una forte instabilità in tutta l’area. L’esercito regolare, anche a fronte di evidenti connivenze con la milizia, non è finora riuscito a sradicare il movimento dalla zona, al punto di dover richiedere l’intervento di una forza militare sotto mandato dell’ONU.
Nei primi giorni di giugno è stata raggiunta una tregua tra l’esercito congolese e le milizie dell’M23, resasi necessaria a seguito della recrudescenza delle violenze attorno alla città di Goma, nei pressi del confine con il Ruanda. Il 20 maggio, infatti, si erano verificati importanti scontri tra le forze governative congolesi e i ribelli dell’M23 a circa 12 km a nord della città di Goma. Tale attacco ha rivestito un’importanza particolare, in quanto è stato il primo vero e proprio scontro armato verificatosi dagli accordi di cessate il fuoco tra l’M23 e Kinshasa siglati nel dicembre 2012, che avevano comportato il ritiro delle milizie ribelli dalla città di Goma, occupata dai ribelli un mese prima.
La milizia dell’M23, acronimo di “Movimento del 23 marzo”, è stata creata nel 2012 a partire da vari combattenti del NCDP (National Congress for the Defence of the People), forza pro-Tutsi che si opponeva al movimento Hutu del DFLR (Democratic Forces for the Liberation of Rwanda) operante nel Congo orientale durante il conflitto del Kivu (2004-2009), crisi che ha provocato in pochi anni decine di migliaia di morti e oltre 250.000 sfollati.
Al termine delle ostilità gran parte dei membri del NCDP sono stati assorbiti dalle forze regolari congolesi, ma una parte di questi, scontenti delle condizioni economiche concesse da Kinshasa, hanno scelto di proseguire la guerra e di costituire la milizia dell’M23, anche grazie al supporto economico e militare offerto dal Governo ruandese, espressione della minoranza Tutsi. Il Rwanda, infatti, la cui popolazione è a maggioranza Hutu, mantiene un interesse fondamentale nel contenere i movimenti Hutu presenti all’esterno dei propri confini, come il DFLR, che potrebbero tentare di rovesciare il fragile equilibrio istituzionale instauratosi al termine della Guerra Civile ruandese (1990-1994).
Allo stesso tempo, all’interesse politico ruandese di controllare un territorio che potrebbe essere utilizzato come retrovia dai fuoriusciti Hutu ruandesi, fa eco la volontà di voler estendere la propria mano su un’area ricchissima di materie prima, quale la regione del Kivu. In tale area, infatti, sono presenti vari giacimenti minerari ancora non sfruttati, oltre ad una ricchezza potenziale derivante dalla foresta equatoriale e terreni vulcanici particolarmente fertili.
Secondo le fonti governative congolesi, gli attacchi di maggio e giugno dimostrerebbero la volontà dell’M23 di impedire il dispiegamento nell’est del Paese di un contingente ONU di 3000 unità, appartenente alla missione MONuRSO (Mission de l’Organisation des Nations Unies pour la Stabilisation en république démocratique du COngo), creata nel 1999 con il fine di contrastare e disarmare le milizie ribelli congolesi.
Il perdurare del conflitto riflette anche un fondamentale cambio degli equilibri di potere in seno alla stessa milizia. Nel marzo del 2013, infatti, il leader dell’M23, il generale Bosco Ntaganda, aveva scelto di consegnarsi alle autorità della Corte Penale Internazionale, probabilmente a seguito dell’ascesa alla leadership del movimento da parte di Sultani Makenga, ex leader dell’ala militare dell’M23.
Pertanto, la riapertura degli scontri dell’ultimo mese testimonia l’inasprimento delle posizioni dell’M23 e la probabile fine dei canali di dialogo instaurati tra Kinshasa e la milizia Tutsi sotto la leadership di Ntaganda. Come successo già in passato, un eventuale allargamento del conflitto avrebbe pesanti ricadute in tutti quei Paesi dove perdura il contrasto tra le due etnie Bantù degli Hutu e dei Tutsi, come il Ruanda, l’Uganda e il Burundi.
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