di Michele Marchi
La Francia è senza dubbio in crisi. Il tasso di crescita del primo trimestre 2013 ha fatto segnare un meno 0,2%, che significa recessione tecnica. Il livello di disoccupazione del mese di giugno ha raggiunto il 10,4%, mai così alto dal 1998. In più il sistema Paese sembra oramai soffocato da conti pubblici fuori controllo e da un’ipertrofia burocratico-amministrativa che il socialismo al potere (dal 2012 il controllo è totale, dall’Eliseo alle due camere passando per le 21 regioni su 22, la maggioranza dei dipartimenti e le municipalità più grandi) non fa altro che perpetrare. Con il budget 2014 presentato da pochi giorni François Hollande sembra aver preso atto della situazione, inaugurando tagli imponenti in quasi tutti i settori. Da un lato bisognerà valutare l’impatto sociale di questi tagli e la risposta di un’opinione pubblica non preparata, anche da un punto di vista pedagogico, a rimettere in discussione i benefici di un welfare generoso e capillare. Dall’altro lato Hollande e il suo partito saranno costretti ad andare ben oltre nella loro opera di riforma, toccando due dei tabù dello zoccolo duro del loro elettorato: l’età pensionabile e i trattamenti pensionistici, ma non solo, dei dipendenti pubblici.
Insomma il sistema economico-sociale è sull’orlo del baratro, ma cosa dire di quello politico-istituzionale? Sarebbe ridondante ripetere che grazie al genio costituzionale della coppia de Gaulle-Debré, la Quinta Repubblica può contare su architravi solide: quella struttura che per molti aspetti è il vero tratto distintivo rispetto all’Italia, quella solidità che porta gli investitori a guardare alle elezioni di Parigi con la serenità di chi sa che, all’indomani del voto presidenziale, ci saranno un presidente in grado di governare per cinque anni e una solida maggioranza all’Assemblea nazionale pronta a sostenere le sue scelte politiche. Il passaggio da sette a cinque anni del mandato presidenziale ha sgomberato il campo dall’ipotesi coabitazione, oggi davvero remota. Insomma il meccanismo semipresidenziale funziona ancora piuttosto bene, ma questa continuità istituzionale non è al riparo da possibili turbolenze provenienti dall’evoluzione del sistema partitico.
La Francia è tra i Paesi dell’Europa centro-meridionale quello che probabilmente ha vissuto in maniera meno traumatica la fine dello scontro tra i due blocchi, perlomeno a livello di sistema politico. Il carattere peculiare della sua destra gollista e il lavoro di costruzione di un primato a sinistra da parte del socialismo mitterrandiano hanno garantito un passaggio senza particolari traumi al mondo post-bipolare. La crisi della rappresentanza democratica in larga parte veicolata dalla rimessa in discussione del concetto di sovranità nazionale sta però da alcuni decenni agendo anche nel contesto francese. I livelli di astensionismo sempre più elevati, che recedono solo in occasione del voto presidenziale e il rigetto sempre più accentuato delle decisioni assunte dalla classe politica sui temi legati alla cessione di sovranità all’Ue (già evidente con il referendum su Maastricht e clamoroso con quello del 29 maggio 2005) sono solo alcuni dei sintomi di questo malessere democratico.
Esiste un termometro forse ancora più importante per certificare malessere e insoddisfazione nei confronti della classe di governo, sia essa di destra o di sinistra come nell’attuale fase di dominio socialista: si tratta dei successi elettorali, e non solo, del Front National oggi guidato da Marine Le Pen, figlia dello storico fondatore e ancora oggi presidente onorario, Jean-Marie.
Pur non ritenendo che forza e debolezza del FN debbano essere automaticamente e direttamente legati allo stato di salute del sistema democratico transalpino, è fuor di dubbio che l’evoluzione del FN, perlomeno a partire da inizio anni Ottanta, è un ottimo angolo di osservazione per riflette in maniera più complessiva sul quadro politico e partitico francese.
Partendo dalla contingenza politica, la cronaca di queste settimane parla di un nuovo exploit frontista in un’elezione legislativa parziale, per sostituire cioè un deputato dimissionario. A marzo nel dipartimento dell’Oise (siamo nel nord, regione Picardia) i riflettori si erano accesi sull’eliminazione del candidato socialista al primo turno e sul conseguente ballottaggio UMP-FN, vinto dalla destra repubblicana, sull’onda della chiamata al “barrage du front républicain”, cioè l’unione di sinistra e destra contro la minaccia frontista. Due domeniche fa è toccata alla circoscrizione di Villeneuve-sur-Lot (siamo nel sud-ovest, a metà strada tra Bordeaux e Toulouse) vedere un ballottaggio UMP-FN. Anche questa volta la vittoria è andata al candidato della destra post-gollista, ma sono giunte anche alcune utili indicazioni per affrontare un’analisi più approfondita sull’evoluzione del Fn, del suo elettorato e giungere poi a qualche generalizzazione sullo stato di salute del sistema politico francese.
Innanzitutto il seggio in palio nel dipartimento del Lot-et-Garonne non era un seggio qualsiasi. Si trattava di quello del ministro del bilancio di Hollande Jerome Cahuzac, costretto alle dimissioni a seguito dello scandalo relativo all’occultamento di un conto in Svizzera. Il caso ha fatto molto rumore in Francia e non solo. Cahuzac era un fedele del Presidente, ma soprattutto era un eletto socialista radicato sul territorio. Basti pensare che nel 2008, in occasione delle municipali, la lista da lui guidata aveva vinto al primo turno con oltre il 60% dei voti. Alle legislative del 2012 lo stesso Cahuzac aveva battuto il candidato UMP Costes (ora eletto deputato nella suppletiva), eliminandolo al primo turno con un secco 61,5% di voti. Non essere riusciti a far passare al secondo turno il proprio candidato a scapito di quello frontista è dunque per il PS una sconfitta cocente e non puramente ascrivibile agli effetti del “caso Cahuzac”. Peraltro la base militante socialista del dipartimento non ha mai smesso di sostenere il proprio eletto e non ha per nulla apprezzato la candidatura scelta dai vertici per sostituirlo.
Vi è poi un secondo elemento di estrema importanza emerso dal voto di Villeneuve-sur-Lot. Come hanno furbescamente affermato sia Marine Le Pen, sia il candidato FN sconfitto, a Villeneuve si è certificata la morte del “front républician”. E questo essenzialmente perché il 62% degli elettori che al primo turno ha votato a sinistra, al ballottaggio si è astenuta, il 15% ha votato FN e solo il 23% ha optato per il candidato UMP. Costes è riuscito a vincere essenzialmente perché tra il primo e secondo turno ha mobilitato una parte del suo elettorato tradizionale che al primo non era andata al voto (la partecipazione tra il primo e il secondo turno è salita di 6 punti percentuali, dal misero 45% ad un, comunque imbarazzante, 51%). In definitiva l’idea del “barrage” nei confronti del FN, costi quel che costi, non sembra essere attrattiva, in particolare a sinistra. Importante è chiedersi perché? Per l’attrattiva antisistema del Fn? Perché oramai molte delle sue idee e dei suoi programmi sono accettabili da una larga parte dell’opinione pubblica? Per la svolta modernizzatrice di Marine Le Pen?
Il terzo dato è direttamente legato al candidato FN a Villeneuve. Etienne Bousquet-Cassagne, che ha ottenuto oltre 7 mila voti in più tra il primo e il secondo turno, ha 23 anni ed è figlio di un notabile in vista nel dipartimento, il presidente della Camera dell’Agricoltura. È il candidato ideale del nuovo corso di Marine Le Pen. Giovane e lontano dalla tradizione sulfurea e identitaria del FN delle origini, ma allo stesso tempo ben radicato sul territorio. L’idea di Marine Le Pen è quella di riproporre il modello EBC alle municipali del marzo 2014, anteprima locale del decisivo voto delle europee del giugno successivo. Si punta ad un doppio risultato: da un lato riuscire a creare un solido ancoraggio locale, rendendo effettivo quel frontisme municipal mai pienamente dispiegatosi nonostante gli exploit del 1995-1997. Dall’altro tallonare e addirittura superare il PS e l’UMP nel voto europeo (il proporzionale favorisce naturalmente il FN) per fare un passo ulteriore verso la trasformazione del FN da movimento di protesta e antisistema a partito di governo. Proprio su questi punti si concentreranno le prossime due analisi.
(continua)
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