di Angelica Stramazzi

Non si è mai in ritardo quando si decide di raccontare un’emozione, un’avventura, una circostanza particolare; non si è mai fuori luogo quando si sceglie di mettersi a nudo, di proiettare all’esterno i numerosi drammi che la vita ci mette di fronte. Ma soprattutto, non si è mai troppo adulti per scoprirsi. Per raccontare qualcosa di sé – e del proprio vissuto – che altri ignorano. È quanto ha fatto il noto editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista ne La fine del giorno, testo edito da Rizzoli in cui il giornalista narra principalmente il dramma della scomparsa della moglie. Di questo testo vi è stato dato conto su queste colonne, attraverso un articolo di Leonardo Varasano già pubblicato sul Giornale dell’Umbria e poi ripreso da questo sito. L’importanza di tornare su un simile argomento quindi scaturisce dalla necessità, anzitutto per chi scrive, di sottolineare come, in un’epoca in cui ciascuno di noi è costretto a correre dietro all’effimero e al superfluo, la bontà dei sentimenti è la cosa che dovrebbe essere, più di ogni altra, preservata. Ciò che Battista fa nel suo libro è infatti un’operazione degna di encomio, non fosse altro perché il giornalista si mette a nudo, si spoglia della sua – o delle sue – identità, per mostrarsi al pubblico (di lettori) sotto un’altra veste: quella della purezza di spirito, della lucidità di analisi (e di giudizio) e dell’assenza di condanna, in un contesto in cui sono davvero pochi i motivi e le ragioni per gioire. Eppure Battista non si è perso d’animo; ha raccontato a tutti che è possibile ripartire, metabolizzare un trauma, un lutto, trasformarlo in qualcosa di nuovo, anche se la perdita di una persona cara tale resta, e nulla – e nessuno – potrà mai restituirci ciò che abbiamo perduto.

Così, mentre diminuiscono sempre più coloro che sono in grado di scrivere e raccontare aspetti bui dell’esistenza umana, aumentano a dismisura quelli che, per contro, si affannano a sfornare testi sulla necessità di essere – e mostrarsi – felici a tutti i costi, raggianti nonostante tutto, sorridenti anche se non c’è niente che ci faccia sorridere. Ora, dire questo non significa sminuire l’effetto terapeutico, su anima e psiche, dell’essere ottimisti: lamentarsi infatti non giova a nulla, e il cervello finisce per abituarsi alle parole che noi ripetiamo (e ci ripetiamo) con ostinazione e con forza. Ma è davvero indispensabile apparire piuttosto che essere? È così necessario mostrarsi senza ombre, senza macchie? O il pudore, la vergogna, la tenerezza, il bisogno di essere compresi e valorizzati a volte devono essere esposti?

Ecco, mentre la maggior parte delle persone (politici compresi) trascorre il proprio tempo nell’analisi rigorosa di numeri e date, di tabelle e schemi di valutazione, coloro che si dimostrano essere in controtendenza meriterebbero un premio. Sì, un premio al coraggio; un tributo alla capacità di dissentire e di esporre le proprie ferite, i propri traumi, i propri imbarazzi. Battista è uno di questi; speriamo che ne seguano altri.

 

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