di Francesca Varasano

“Qui dalla natura siamo stati destinati / a spalancare una finestra sull’Europa”: così riflette Pietro il Grande nel poema di Puškin Il cavaliere di bronzo, in cui si racconta di quando, come in un incubo, durante l’alluvione di San Pietroburgo la statua dello Zar prese vita ed inseguì Evgenij, l’uomo comune che si misura con il potere a lui distante ed ostile.

Cambiano gli scenari economici, politici e diplomatici; sono caduti gli imperi e sono cambiati i rapporti fra stati: l’interesse ad un’apertura all’esterno dei propri confini rimane costante, la conquista è sostituita dall’integrazione politica o dagli scambi economici.

Lo scorso primo luglio la Croazia è diventata il ventottesimo membro dell’Unione Europea in quello che è stato il primo allargamento UE a seguito delle aperture ad est del 2004 e del 2007, nonché il secondo paese della ex Jugoslavia a completare i negoziati di ingresso. L’accessione del paese balcanico avviene in un contesto complesso per l’Unione, messa alla prova dalla crisi economico -finanziaria e da un crescendo di umori euroscettici.

Il processo d’adesione si è svolto in un decennio segnato da tappe non rapide ma significative.

In seguito alla firma del patto di stabilizzazione ed associazione, la Croazia avanzò richiesta di entrare a far parte dell’Unione Europea nel 2003; i negoziati, agevolati dalla piena collaborazione del paese con il Tribunale penale internazionale della ex-Juguslavia, si protrassero dal 2005 al 2011, culminando con la firma del trattato di adesione nel dicembre dello stesso anno. All’inizio del 2012, un referendum popolare sostenne con oltre il 66% di voti favorevoli l’ingresso del paese nell’UE, ratificato all’unanimità dal parlamento croato pochi mesi dopo.

L’acquisizione dello status di membro comporta naturalmente una progressiva revisione delle relazioni con l’Unione: il sostegno attraverso lo strumento di assistenza alla preadesione (IPA), fin ora gestito in maniera decentralizzata, è destinato a terminare, mentre la Delegazione dell’Unione Europea ha già chiuso per lasciare spazio alla rappresentanza della Commissione, come negli altri stati membri.

I Balcani costituiscono oggi il fulcro della politica di allargamento e la nuova frontiera dell’Europa unita, presentano sfide diplomatiche di lunga data non soltanto per l’Unione ma già per i paesi membri.

Sono paesi candidati la Macedonia (o FYROM, Former Yuguslav Republic of Macedonia, secondo il nome imposto dalla querelle con la Grecia preoccupata di possibili irridentismi sulla Macedonia greca), la Serbia (segnata dalla propria aspirazione storica a “Piemonte dei Balcani”, poco propensa ad accettare le pretese di indipendenza del Kosovo), il giovane stato di Montenegro e la Turchia, eterna candidata per via della questione cipriota e affaticata dall’impasse con la Francia. L’Albania e la Bosnia Erzegovina sono candidati potenziali segnati da problemi di difficile risoluzione – il Kosovo, appunto, che interessa direttamente l’Albania, ma anche temi più ampi e diffusi nella regione: minoranze, corruzione, economie in difficoltà.

L’Europa non può che nutrire un naturale interesse per i Balcani occidentali, scacchiere tradizionalmente importante in diplomazia e teatro di alcune delle più grandi crisi di età contemporanea, vicino prossimo con vocazione ed entusiasmi europeisti: per gli stati europei le politiche di allargamento, più caute dopo la rapida espansione del 2004, sono in questo senso un risultato efficace della politica estera dell’Unione.

I maggiori benefici degli allargamenti, come messo in luce dalle adesioni dei 12 paesi dell’Europa centro-orientale, si registrano in termini di crescita economica, competitività ed incremento dei livelli di occupazione, in senso particolarmente favorevole ai nuovi membri. Il successo dei processi di integrazione rafforza l’immagine dell’Europa unita, contribuendo alla sua credibilità politica ed economica, rendendola un attore indispensabile alle consultazioni della comunità internazionale. Se l’attuale crisi economico-finanziaria ha creato un crescente euroscetticismo presso le opinioni pubbliche europee, anche attraverso classi politiche che hanno interesse a spostare l’attenzione dalla gestione nazionale alla più lontana Bruxelles, l’entusiasmo dei paesi candidati e dei membri più recenti è una risorsa importante per l’Unione.

Tuttavia, e nonostante alcuni indubbi vantaggi concreti come quelli appena ricordati, lo stesso allargamento ad est del 2004-2007 è stato spesso percepito come una decisione estemporanea se non dannosa, risollevando la questione della distanza fra la le istituzioni europee e i cittadini degli stati membri. La gestione dell’allargamento aveva inoltre effettivamente sollevato perplessità: si trattava di un processo di adesione imponente, fra paesi eterogenei per cultura ed economia quando non in presenza di risentimenti storici mai sopiti. L’inflazione, la migrazione, l’integrazione a più velocità erano sembrate cogliere l’UE impreparata.

Per queste ragioni, l’adesione della Croazia è un banco di prova importante per i futuri allargamenti dell’Unione Europea, per le politiche di adesione nei Balcani e per l’auspicato riaccendersi di passioni europeiste.

 

 

Commento (1)

  • Andrew Carey
    Andrew Carey
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    Such an interesting and informative article about the challenges Croatia faces as a member of the European Union. I am already looking forward to Ms Varasano’s next publication. Grazie mille!

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