di Federico Donelli

Nei giorni successivi alla deposizione del Presidente egiziano Mohamed Morsi è arrivata dal governo turco una dura condanna di quello che viene giudicato a tutti gli effetti un colpo di Stato militare, volto a rovesciare l’esito della libera scelta del popolo egiziano. L’esecutivo turco, guidato dal Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan, ancora oggi si rifiuta di riconoscere come legittimo il governo ad interim egiziano, continuando a considerare come legale rappresentante il deposto Morsi.

È rimasto celato alle cronache per diverse settimane il viaggio, tuttora avvolto nel mistero, compiuto dal capo dei servizi segreti turchi (MİT) Hakan Fidan al Cairo pochi giorni prima dell’ultimatum lanciato dai militari ai Fratelli Musulmani. A dieci giorni dalla deposizione Fidan ha partecipato ad un lungo summit con i vertici della Fratellanza, compreso lo stesso Morsi, avvertendoli del possibile e quanto mai imminente intervento dei generali. Secondo quanto trapelato da ambienti molto vicini al Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu, mentore nonché primo grande sostenitore di Fidan, durante l’incontro il capo dell’MİT non avrebbe solamente allertato Morsi dello scoppio di una nuova escalation di proteste di piazza, appoggiate dai vertici militari, ma avrebbe anche suggerito una serie di scelte utili a placare i malesseri della popolazione e della componente oligarchica.

Nonostante l’estremo tentativo si sia rivelato fallimentare, non riuscendo ad ammorbidire le posizioni di Morsi e della Fratellanza, esso ha costituito solo l’ultima azione di grande rilevanza politica compiuta da Hakan Fidan. L’iniziativa ha evidenziato la fiducia cieca riposta da Erdoğan nei suoi confronti tanto da far moltiplicare le speculazioni giornalistiche che lo indicano come suo delfino, predestinato a succedergli alla carica di Primo Ministro in caso di approvazione del complesso disegno di riforma costituzionale. Un progetto che vedrebbe, a partire dal 2015, Erdoğan Presidente della Repubblica con ampi poteri, simili a quelli del semipresidenzialismo francese, e, per l’appunto, Hakan Fidan Primo Ministro.

Tralasciando questi aspetti per ora unicamente di gossip politico, il dato rilevante è che Fidan, pur mantenendo un basso profilo lontano da eccessive apparizioni pubbliche, è senza dubbio uno degli uomini più influenti e fidati della cerchia vicina ad Erdoğan.

Quarantacinque anni, musulmano praticante, Hakan Fidan è cresciuto in ambienti universitari molto vicini alla influente comunità mistica di Fethullah Gülen, all’interno della quale ha avuto occasione di conoscere e instaurare amicizie con diversi dei futuri esponenti di spicco dell’AKP. Tra il 1986 e il 2001 ha servito le forze armate turche e, approfittando di un periodo in Germania nei reparti di reazione rapida della NATO, ha coltivato i rapporti privilegiati con importanti colleghi europei ed americani. Nel 2003, con l’ascesa al governo dell’AKP, è stato chiamato a dirigere la TIKA (Agenzia per la Cooperazione e lo Sviluppo) il principale strumento di soft power governativo in campo estero, volto ad incrementare soprattutto i rapporti con i Paesi della regione. In pochi anni è riuscito ad estenderne il raggio d’azione dell’agenzia, tanto da farla diventare un elemento cardine della politica estera di Davutoğlu conosciuta come “zero problemi con i vicini”. Nei quattro anni al vertice della TIKA, Fidan è riuscito a guadagnare il rispetto dei militari membri del Consiglio di Sicurezza Nazionale; una fiducia reciproca risultata determinante nelle delicate settimane in cui venne sventato il complotto ai danni dell’AKP da parte della rete occulta Ergenekon.

Negli stessi anni è riuscito ad avvicinare e legare ulteriormente l’AKP all’importante componente imprenditoriale anatolica, rappresentata in campo estero dalla confederazione di aziende TUSKON con la quale la TIKA ha iniziato una vastissima serie di progetti economico-umanitari in Paesi musulmani e africani. Nel 2010 per volontà di Erdoğan è stato nominato capo dei servizi segreti MİT, suscitando la diffidenza di Israele che vede in Fidan il principale artefice della linea dura nei confronti dello Stato ebraico a seguito dell’incidente della Mavi Marmara. Al vertice dell’intelligence turca, godendo di carta bianca da Erdoğan e fiducia da parte della componente militare, egli ha potuto curare in prima persona le delicate trattive con il leader del PKK Abdullah Öcalan, sfociate negli storici accordi di cessate il fuoco della scorsa primavera.

In tutti questi anni Fidan ha saputo costruirsi un fitto network di rapporti con esponenti di primo piano delle diverse anime della Turchia. Una qualità che non è passato inosservata anche durante i giorni di protesta in piazza Taksim, quando, secondo indiscrezioni, pare sia stato lo stesso capo dei servizi segreti a placare l’ira di Erdoğan verso i manifestanti suggerendo una contromanifestazione pacifica dei propri sostenitori e mediando tra l’esecutivo e la componente di partito più vicina al movimento di Gülen.

Hakan Fidan, quindi, gode della fiducia piena di Erdoğan, il quale è consapevole delle sue abilità e, allo stesso tempo, è conscio che questi non rappresenti una seria minaccia alla propria leadership, a differenza invece del vecchio amico e compagno Abdullah Gül con cui sembra avvicinarsi la definitiva resa dei conti.

 

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