di Andrea Capati
Gli equilibri in seno alla Giunta elezioni e immunità del Senato si sono (pare) consolidati su posizioni che le parti non intendono trattare. L’accordo per il calendario dei lavori è stato raggiunto dopo ore fitte di tensione; e porterebbe al voto conclusivo sulla decadenza di Silvio Berlusconi entro (e non oltre) mercoledì.
La strategia diplomatica approntata dagli ambasciatori del Cavaliere sembra non aver prodotto i frutti sperati, tanto che lo stesso Berlusconi starebbe già pensando agli sviluppi politici legati alla «spinta» del Pd, rispetto ai quali gioca un ruolo di primo attore. Le «colombe» insistono sulla linea dell’appeasement, paventando – in caso di rottura – un effetto boomerang esiziale: agli occhi dell’opinione pubblica non ci vorrebbe molto per passare da vittima (della giustizia) a carnefice (del Paese), «occorre garantire stabilità». Un agguerrito Alfano sembra invece vellicare l’istinto bellicoso dell’ex premier, anche in vista della partita alla leadership di Forza Italia, le cui tende stanno per essere tirate: «Se il Pd ci considera avversari, la cosa è reciproca».
Dal canto suo, il Partito democratico rimane inamovibile sul fronte della decadenza, e ribadisce che non farà sconti «perché la legge è uguale per tutti»; del resto, una vera apertura in questo senso non c’è mai stata, e sembra difficile poter immaginare un passo indietro di resipiscenza. «Non siamo un quarto grado di giudizio», si sono limitati a rispondere gli esponenti democratici a chi gli imputava l’onta della caduta del governo: «Arriverà un giorno in cui, votando sulla fiducia all’esecutivo, si vedrà chi taglierà la spina».
Nell’ipotesi in cui il Cavaliere non si dimettesse spontaneamente dal seggio parlamentare – atto con cui eviterebbe insieme lo scempio dell’epurazione e la rottura (attendibile) dell’asse governativo – avrebbe luogo la prima applicazione a livello nazionale della «legge Severino», sebbene costituzionalisti e figure di calibro istituzionale abbiano eterogeneamente puntato il dito contro la «retroattività delle norme penali e amministrative».
L’ultima spiaggia, in un modo o nell’altro, risiede nell’assemblea: sarà il voto plenario del Senato della Repubblica a decretare le sorti di Silvio Berlusconi. I numeri non darebbero adito a scorciatoie; ma lo scrutinio segreto, previsto nel caso e che le opposizoni e parti del Pd vorrebbero rendere palese, stimolerebbe valutazioni tutte da considerare.
Per vedere come andrà a finire, dopo le fibrillazioni di queste settimane, non ci resta che attenderee poche ore.
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