di Alessandro Campi

La decisione di far dimettere i propri ministri dal governo Letta senza nemmeno avvisarli anzitempo, senza passare da una discussione con i vertici del suo partito, presa da Berlusconi ad Arcore insieme ad alcuni fedelissimi, non poteva che suscitare malumori e polemiche all’interno del Pdl e in particolare tra coloro che, in rappresentanza di quest’ultimo, più si erano spesi per sostenere l’esperimento delle larghe intese. Un malessere acuito dalle modalità con cui tale decisione è stata resa nota: da una telefonata ultimativa di Ghedini ad un incredulo e stizzito Alfano.

Fabrizio Cicchitto, a caldo, ha considerato sbagliato un simile metodo, stigmatizzando il fatto cha una mossa politicamente tanto importante non sia stata preceduta da un confronto aperto con il gruppo dirigente del Pdl. Ma è parsa francamente una reazione ingenua o frutto di ricordi e abitudini che risalgono, con ogni evidenza, all’antica militanza socialista di Cicchitto. Quando mai il Cavaliere, nei passaggi politici più delicati, ha tenuto conto degli umori e delle determinazioni del suo partito? Piuttosto si è sempre affidato ai consigli dei famigliari, dei suoi amici più fidati e dei suoi storici collaboratori in azienda.

Ciò non toglie che le reazioni maturate nella giornata ieri abbiano fatto pensare a molti che qualcosa di inedito e forse di dirompente potrebbe stavolta verificarsi all’interno del centrodestra. Al netto dell’involontariamente comica definizione coniata da Angelino Alfano – che si è definito un “diversamente berlusconiano” nel tentativo di prendere le distanze dai falchi del suo partito – stavolta i moderati del Pdl-Forza Italia hanno deciso di alzare la voce. Non ci stanno a militare in un partito che sembra aver imboccato una deriva estremistica e radicale (“una Lotta Continua di destra”, l’ha definito icasticamente Gaetano Quagliariello). Non se la sentono di avallare una strategia – che punta, caduto il governo, alle elezioni anticipate il prima possibile – che potrebbe rivelarsi pericolosa per l’Italia e per lo stesso centrodestra.

Ieri è circolata a più riprese la prospettiva di una vera e propria scissione. Allorché Enrico Letta si presenterà alle Camere – per verificare l’esistenza di una maggioranza che possa ancora sostenere il suo governo – potrebbe materializzarsi un nuovo gruppo politico “centrista”, all’interno del quale dovrebbero appunto confluire i dissidenti del berlusconismo, ormai in rotta di collisione con il loro mondo di provenienza.

Ma si parla anche della possibilità, per evitare una rottura definitiva con il Cavaliere, di dare vita a due partiti all’interno del campo di centrodestra: una Forza Italia di lotta e d’opposizione, guidata dal tandem Verdini-Santanché; e un Popolo della libertà di governo, schierato su posizioni riformiste e moderate, affidato ad Alfano e nel quale confluirebbero tutti i ministri dimissionari e tutti coloro che, in polemica con i falchi, accetteranno di definirsi da oggi in poi “diversamente berlusconiani”.

Si tratta, con ogni evidenza, di due prospettive diverse, ma egualmente difficili da praticare. La creazione di un nuovo partito di centro, che doveva comprendere anche esponenti berlusconiani intenzionati a non avallare i toni populisti e aggressivi del Pdl e convinti che la parabola del Cavaliere fosse giunta al termine, fu già tentata nel tardo autunno del 2012, all’epoca della “discesa in campo” di Mario Monti e della nascita di Scelta civica. Si era ad un certo punto creato un raggruppamento, denominato Italia popolare, composto in gran parte dalle stesse persone che anche oggi vengono accreditate come pronte a mollare Berlusconi: Alfano, Quagliariello, Lupi, Fitto, Formigoni (ma all’epoca l’operazione coinvolgeva anche Frattini, Alemanno e Mauro, quest’ultimo l’unico poi effettivamente passato con Monti).

Il tentativo, per mancanza di coraggio politico dei suoi protagonisti, andò a vuoto. Difficile immaginare che possa essere ripetuto oggi, tanto più che nel frattempo il centro si presenta come una realtà al suo interno assai divisa e priva di un chiaro profilo progettuale. Senza contare l’appannamento (dovuto anche al non felice esito elettorale) della leadership di Monti, che col passare dei mesi ha peraltro rivelato un carattere spigoloso e accentratore che poco lo rende adatto ad un’operazione di tessitura come quella che alcuni immaginano sia in corso in queste ore. Resta poi da capire se chi non dimostrò coraggio in quella circostanza possa dimostrarlo in questo frangente non meno drammatico.

Quanto alla possibilità di due partiti che dovrebbero entrambi rispondere a Berlusconi, o comunque avere quest’ultimo come punto di riferimento, ma schierandosi uno al governo e uno all’opposizione, sembra una soluzione più comica che furba. Il solo fatto che se ne parli come di una cosa seria e praticabile dimostra a quale livello di eccentricità politica è ormai giunta l’Italia.

E allora come debbono intendersi i malumori che si sono registrati ieri: di Alfano, ma anche della Lorenzin, di Quagliariello, di Lupi e della De Girolamo? A leggere con attenzione le loro dichiarazioni, si scopre che il duro dissenso nei confronti dei falchi è stato accompagnato da grandi professioni di fedeltà a Berlusconi. Se ne deduce che non sono tanto le posizioni di quest’ultimo la radice del loro disagio, ma il potere che all’interno del partito hanno ormai assunto gli intransigenti del berlusconismo. L’impressione è che i moderati (un’eccezione andrebbe fatta per la posizione di Quagliariello, l’unico che in queste ore appare seriamente tentato dalla possibilità di strappare) non siano impegnati in progetti di scissione, non stiano cioè valutando di lasciare la casa madre per aderire a nuovi progetti più o meno velleitari, che peraltro li esporrebbero ad accuse di tradimento e a veleni di ogni tipo (Fini docet). Stanno piuttosto giocando una partita interna molto dura, che al momento li vede in grande difficoltà. Chi comanderà davvero nella nuova Forza Italia? È un problema di organigrammi e di catena di comando che naturalmente si porta dietro anche un problema di linea politica, ma difficilmente questa contesa prelude ad una diaspora o ad una rottura. Semmai alla definizione di nuovi equilibri.

L’unica fortuna, rispetto a una situazione tanto confusa, è che sapremo presto la piega che prenderanno gli eventi. Basta aspettare martedì, quando Letta si presenterà in Parlamento e tutti gli esponenti del fronte berlusconiano – falchi o colombe – dovranno venire allo scoperto.

* Apparso si “Il Mattino” di Napoli del 30 settembre 2013 con il titolo No, è soltanto un regolamento dei conti interno.

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