di Fabio Polese
Negli ultimi mesi, attentati e scontri hanno insanguinato il Libano. Frange radicali legate ad al-Qaida hanno attaccato i posti di blocco dell’esercito libanese, prima nelle vicinanze di Sidone, a sud del Paese, e poi, più recentemente a Baalbek, a nord. Due bombe, una a luglio e una ad agosto, hanno colpito – causando numerose vittime civili – i quartieri di Beirut Sud dove Hezbollah – movimento di resistenza sciita libanese – gode di un importante consenso. Della situazione attuale nel Paese dei Cedri e del ruolo della crisi siriana in una possibile nuova guerra civile nel martoriato Libano, ne parliamo con Matteo Bressan, giornalista e autore di Hezbollah. Tra integrazione politica e lotta armata (Datanews).
Crede che l’obiettivo del caos che si è venuto a creare in Libano sia quello di indebolire la resistenza libanese di Hezbollah?
È chiaro che i riflessi della guerra in Siria giungono in Libano ed anzi, se vogliamo, colpiscono aree dove Hezbollah ha un consenso politico. Come è noto, i gruppi legati ad al-Qaida hanno più volte minacciato il Partito di Dio per il suo coinvolgimento in Siria. Non sarei così convinto che azioni di questo tipo siano in grado di indebolire o intaccare il consenso di Hezbollah.
Che ruolo ha il conflitto siriano in Libano?
Diciamo subito che storicamente la Siria ha sempre svolto un ruolo chiave negli affari interni del Libano. Sappiamo bene che durante gli anni della guerra civile libanese la Siria di Hafez Assad è stato uno dei principali attori internazionali che insieme ad Israele ha orientato le sorti dei partiti politici libanesi. Sostanzialmente la Siria ha quindi cercato di gestire, alternando anche alleanze, le varie realtà che di volta in volta emergevano in Libano. Con il ritiro della presenza militare dal Libano, nel 2005, in seguito all’omicidio di Rafiq Hariri, la Siria ha mantenuto, tramite Hezbollah, una forte capacità di influenzare molti aspetti della politica libanese. Oggi se vogliamo fare una considerazioni in termini generali possiamo dire che la crisi siriana si colloca nell’agenda politica libanese dividendo ancora una volta in due grandi blocchi, la coalizione del 14 marzo e la coalizione dell’8 marzo, il Paese dei Cedri. Nulla di nuovo, sotto il profilo delle alleanze politiche, rispetto alle tensioni che hanno attraversato il Libano dal 2005 al 2011, ma certamente con un conflitto come quello siriano alle porte e la difficoltà a formare un Governo che guidi il Paese verso le elezioni del 2014, aumentano i rischi.
Ufficialmente Hezbollah è entrato militarmente nel conflitto siriano nella battaglia di Al Qusayr, cittadina siriana vicino al confine con il Libano dove abitano molti cittadini sciiti libanesi. Secondo lei, attualmente, che ruolo ha il Partito di Dio in Siria?
Hezbollah è entrato nel conflitto siriano nell’ultimo anno, come ha anche ricordato il responsabile delle relazioni internazionali Sayyed Ammad Al-Mussawi, in un convegno svoltosi a Cagliari lo scorso sabato. Le milizie di Hezbollah hanno certamente svolto un ruolo importante per riequilibrare le sorti del conflitto anche se forse è eccessivo sostenere e pensare che da sole abbiano determinato un capovolgimento dei rapporti di forza sul campo. Va anche detto che, secondo le opposizioni siriane e alcuni partiti libanesi avversari di Hezbollah, i caduti del Partito di Dio in Siria sarebbero di più rispetto alla guerra del 2006 contro Israele. Non è un mistero che un comandante di Hezbollah, intervistato a metà settembre da Rainews 24 abbia confermato la forza e le capacità militari di alcuni gruppi islamisti presenti in Siria.
L’ala militare di Hezbollah è stata messa nella lista delle organizzazioni terroristiche, dividendo di fatto il partito – che ha i suoi ministri e i suoi deputati all’interno del Parlamento libanese – dalle milizie armate. Cosa ne pensa?
Questa è una questione sulla quale le opinioni personali contano poco e si rischia spesso di perdere di vista una realtà, quale è appunto Hezbollah, molto complessa. Il Partito di Dio, per la sua struttura, è in grado di svolgere diversi compiti all’interno della società libanese, sopperendo ad alcune mancanze delle stesse Istituzioni. Pensiamo all’assistenza sanitaria, alle scuole e alle fondazioni gestite dal Partito di Dio che hanno contribuito a ricostruire i quartieri di Beirut e di numerosi villaggi nel Sud del Libano dopo la guerra del 2006. Anche su questo punto, come lei sa bene, non c’è nessuna unanimità di vedute. Non a caso ho parlato di sopperire alle carenze delle Istituzioni libanesi, da altre parti si direbbe che Hezbollah rappresenta uno Stato nello Stato. La stessa “ala militare” è considerata da una parte del popolo libanese parte integrante e fondante della resistenza. Sul concetto di resistenza non riusciremo mai a trovare una convergenza di tutti gli attori presenti in Libano e fuori dal Libano. Non è un mistero che anche alcuni esponenti politici dello schieramento del 14 marzo abbiano ipotizzato una convivenza tra esercito regolare e l’apparato militare di Hezbollah, purché però questo sia sotto il controllo di un’autorità centrale. Se poi vogliamo cercare di capire meglio il Partito di Dio dobbiamo sempre ricordarci che il vertice decisionale e strategico è la Guida Suprema Iraniana, fermo restando l’indiscusso ruolo e il carisma del Segretario Generale di Hezbollah Hasan Nasrallah. In conclusione le posso rispondere che c’è ovviamente una differenziazione degli apparati interni di Hezbollah ma che, in ogni caso, il vertice decisionale è uno.
Dal 2006 ad oggi, nonostante la presenza del contingente Unifil in Libano, sono state registrate 11 mila violazioni israeliane. Pochi giorni fa, una imponente esercitazione militare israeliana ha simulato un attacco lungo il confine libanese, proprio adiacente alla Porta di Fatima. La missione Unifil, che è considerata molto importante da Hezbollah, potrebbe fare di più?
Anche su questo dobbiamo fare chiarezza. Noi non possiamo pensare che ogni volta che ci si ricorda delle tensioni lungo il confine tra Libano e Israele o del rischio di guerra totale che si è sfiorato ai primi di settembre tra gli Stati Uniti e forse qualche alleato europeo e la Siria, sostenuta dalla Russia, si scateni un dibattito spesso poco serio sul ruolo dell’Unifil.
Non dimentichiamoci mai che i militari dell’Unifil operano sotto un preciso mandato. Un mandato che prevedeva un ruolo chiave del Governo e delle Forze Armate Libanesi. É vero che ci sono stati sconfinamenti e anche scontri a fuoco tra da entrambe le parti. È altrettanto vero però che sarebbe troppo facile criticare l’Unifil non riconoscendo che dal 2006 ad oggi vi è stata una relativa stabilità su uno dei confini più a rischio del pianeta.
L’Unifil può rappresentare ancora uno strumento utile per la stabilità del Libano sia per fronteggiare le nuove emergenze, su tutte il dramma dei profughi siriani che stanno entrando nel Paese dei Cedri, sia per consentire a quei paesi che fanno parte della missione di poter incidere in una delle aree di crisi più strategiche del Medio Oriente.
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