di Simone Ros

Domenica 29 settembre 2013 i cittadini della Repubblica Austriaca si sono recati alle urne per scegliere indirettamente il nuovo Bundeskanzler. Qualche numero per inquadrare la situazione, fornito dal quotidiano gratuito Heute (uno dei più letti su questo versante delle Alpi): gli aventi diritto al voto erano poco più di 6 milioni, di cui circa 350.000 tra i 16 e i 20 anni; le donne costituivano la maggioranza (poco più di tre milioni). I posti messi in palio: 183 seggi nel Nationalrat, equivalente al nostro Parlamento, di cui 37 spettanti all’Austria Inferiore e 33 alla città di Vienna. Per cogliere il “peso” della capitale, basti pensare che un Land storico come la Stiria invia a Vienna 27 rappresentanti, mentre il piccolissimo e periferico Burgenland solamente 7.

La battaglia elettorale si è svolta principalmente su due livelli: un duello frontale a due e, dietro le quinte, lo scontro serrato tra gli altri partiti comprimari per accaparrarsi la manciata di voti in grado di fare la differenza. I due rivali: Werner Faymann e Michael Spindelegger. Faymann è il Cancelliere socialdemocratico uscente, a capo di un governo di Grosse Koalition rosso-nero (socialdemocratici e popolari). Spindelegger, vicecancelliere e Ministro degli Esteri, ha galvanizzato la sua ÖVP (Partito Popolare d’Austria) con due precisi ed ambiziosi obiettivi: agguantare finalmente il primo posto e soffiare ai socialdemocratici della SPÖ la poltrona di Cancelliere. La campagna elettorale è stata dunque prevalentemente impostata sulla vitale necessità di tagliare per primi il traguardo, assicurandosi la golden share sulla futura compagine governativa. Ecco dunque il fascinoso Faymann sorridere da enormi manifesti rosso fuoco, assicurando che l’Austria era “in mani sicure in tempi tempestosi”. Un richiamo, nemmeno troppo velato, al valore della stabilità e della continuità (come non pensare alla medesima strategia messa in campo da Frau Merkel?), con una spruzzata di riferimenti identitari indirizzata ai militanti storici. Abituati ad una sinistra italica sovente in crisi di identità o impegnata a dissimulare le radici post-comuniste dietro una rassicurante coltre liberista/riformatrice, stupisce non poco una socialdemocrazia consapevole e fiera dei propri valori fondativi e mobilitanti: è stata questa la strategia scelta dallo spin-doctor Norbert Darabos, passato più che volentieri dagli uffici ministeriali alle stanze di partito. “Il Partito del Lavoro” è stato il leitmotiv della campagna, dispiegato su un fondo rosso acceso. Quando l’identità è salda e radicata, le facce diventano secondarie, quasi un inutile orpello. Più spregiudicata la campagna del rivale popolare, febbrilmente impegnato a convincere gli elettori (e se stesso) di essere pronto per la Cancelleria, in grado di lasciarsi alle spalle la scomoda sindrome da “eterno numero due”. Spindelegger non si è risparmiato, facendosi ritrarre con giovani sorridenti in manifesti inneggianti al futuro o prestandosi a goffe gigantografie accompagnate dalla dichiarazione “Cancelliere per l’Austria”. L’intento era chiaro: trasformare un grigio e poco carismatico comprimario in un temerario e deciso protagonista. Come vedremo, l’obiettivo non è stato raggiunto.

Il secondo livello è stato invece affollato da una selva di aspiranti protagonisti, improntato ad una personalizzazione feroce e quasi spietata della tenzone elettorale. Se i due cancellieri in pectore potevano permettersi di far leva su appartenenze radicate o addirittura inscritte nel DNA familiare degli elettori, gli altri hanno dovuto puntare tutto sul cavallo migliore: se stessi. In pole position, lo spregiudicato e temutissimo Heinz – Christian Strache, a capo del partito di estrema destra FPÖ. Chiare le sue posizioni: rigetto dell’immigrazione e dei suoi frutti, insistenza ossessiva su politiche sociali rigorosamente selettive (“prima gli austriaci”), conclamato euroscetticismo diretto sia verso Bruxelles sia verso i PIGS del Mediterraneo, nazionalismo rosso-bianco-rosso senza se e senza ma. Il tutto condensato nella frase “Il partito sociale della patria” e nello slogan, considerato tra i più azzeccati della campagna elettorale: “Amore per il prossimo”. Ecco dunque emergere una destra apparentemente senza bava alla bocca, dalle forte tinte socialisteggianti, contraddistinta da un cristallino e sincero patriottismo. Il mix perfetto per sfondare nei settori più ricettivi dell’elettorato. Alle spalle dell’ardimentoso Strache, i Verdi guidati da Eva Glawischnig. Slogan accattivanti (“Ambiente pulito, politica pulita”), accurata selezione dei temi-cardine per gli elettori di riferimento (niente pericolose incursioni in campo fiscale come il collega tedesco Trittin), una iper-personalizzazione giocosa e leggera giocata sull’indubbio fascino della leader verde. “Adesso Eva”, sentenziavano i manifesti, presentandola bucolicamente immersa nella natura. Se c’è un maestro nel campo dell’autoreferenzialità, quello è il miliardario austro-canadese Frank Stronach. L’ottuagenario “salvatore della patria” calato a Vienna lo scorso settembre con l’obiettivo di cambiare la politica alla radice, aspirante autore di una svolta storica. Eccolo quindi fondare dal nulla il suo Team Stronach, formare un gruppo autonomo in Parlamento con transfughi di altri partiti, lanciarsi a testa bassa nelle consultazioni regionali in primavera (con alterne fortune). Tutto con un solo obiettivo: sparigliare le carte il 29 settembre. Da ultimi, i perdenti annunciati e i vincitori inattesi. Da una parte la BZÖ di Joseph Bucher, il partito arancione erede del compianto Haider. Diretto verso un tracollo annunciato da mesi, Bucher ha tentato di proporsi in modo accattivante sfoderando cavalli di battaglia dal sapore liberista (“Giù le tasse!”) e facendosi portavoce del settore imprenditoriale (legato solitamente ai popolari). Dall’altro lato i NEOS, acronimo inneggiante ad una Nuova Austria. Il partito rosa guidato dal simpatico Matthias Strolz si è lanciato nella disputa invitando gli elettori ad essere sufficientemente spregiudicati (“Devi avere coraggio!”) da votare una compagine liberale/libertaria, decisa a rompere le vecchie logiche proponendo soluzioni alternative (per esempio in campo scolastico e pensionistico). Eredi di uno schieramento che era già transitato in Parlamento qualche anno fa, hanno rappresentato la vera novità di queste elezioni.

Ecco dunque il risultato delle consultazioni (fonte Die Presse sabato 5 ottobre 2013, valori definitivi): la SPÖ di Faymann perde più del 2% ma si attesta saldamente al primo posto con il 26,8% dei suffragi; la ÖVP dell’ambizioso Spindelegger resta inchiodata al secondo posto (24%) e arretra anch’essa di un 2% tondo. I partiti di quelle che in Italia definiremmo “larghe intese” tengono, ma con il fiato corto. Il vero vincitore è HC Strache, che trascina i blu al 20,5% (in crescita di uno squillante 3%). Parlare di “miracolo blu” è forse azzardato, ma rende bene l’idea. Quarti i Verdi, che arrancano al 12,4. Seppur in crescita del 2%, mancano clamorosamente la soglia del 15% indicata dalla leader Glawischnig, galvanizzata dai trionfi nelle consultazioni regionali della scorsa primavera (basti pensare che nel Land di Salisburgo il partito aveva triplicato i consensi!). Deluso e amareggiato (è volato in Canada subito dopo il conteggio delle schede) l’arzillo Frank Stronach, che vede il suo Team galleggiare su un poco lusinghiero 5,7. Un risultato di tutto rispetto per un partitino-azienda raffazzonato e dai contenuti vaghi che è però ben lontano dalla fastosa cavalcata immaginata dal miliardario. Secondo vero vincitore Matthias Strolz, animatore della rivoluzione “pink”: i NEOS riescono infatti, al primo colpo, a raggranellare il 5% necessario per entrare in Parlamento. Nell’inferno extraparlamentare, con un misero 3,5%, la BZÖ di Bucher: 7,2% dei suffragi si sono volatilizzati, ponendo una seria ipoteca sul futuro del partitino haideriano e di una destra moderata ormai attratta da altri lidi.

Ad oltre una settimana dal voto, il panorama è il seguente: Faymann, rimasto in sella nonostante gli scossoni, riceverà con tutta probabilità l’incarico dal Presidente. Spindelegger, smarrito e scosso, è in balia degli alterni pareri dei compagni di partito (alcuni rifiutano la riedizione della grande coalizione). Strache, da vincitore, tende la mano ai socialdemocratici proponendo una “strana maggioranza” resa impossibile dalla pregiudiziale antifascista della SPÖ. Stronach è sparito dai radar, Bucher si è dimesso, la Glawischnig rimane dietro le quinte, Strolz si propone come ago della bilancia. Ora come non mai, l’Austria appare gentilmente condannata alle larghe intese perenni.

 

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