di Davide Parascandolo
Il 28 e il 29 novembre avrà luogo a Vilnius il terzo vertice del Partenariato Orientale che vedrà la partecipazione di Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina. Il Partenariato, snodo essenziale della Politica Europea di Vicinato, sarà al centro di un summit indebolito ancor prima di iniziare dal rifiuto ucraino di proseguire il cammino intrapreso verso quello che sarebbe dovuto essere l’Accordo di associazione con l’Unione Europea. Dopo la bocciatura da parte della Rada, il parlamento ucraino, di ben sei proposte di legge finalizzate a permettere la liberazione dell’ex primo ministro Julija Tymošenko e a consentirne le cure in Germania (conditio sine qua non posta dall’UE per siglare l’accordo), il governo ucraino, guidato dall’attuale primo ministro Mycola Azarov, ha sospeso con un decreto l’iter che avrebbe dovuto far approdare il paese verso le sponde europee.
Il porto nel quale il presidente Janukovyč (nella foto insieme al presidente russo) sembra voler attraccare sembra invece essere ancora una volta quello della grande madre Russia di Putin. Secondo molti analisti, più che una madre benevola, quest’ultima agirebbe piuttosto come una matrigna, brandendo le leve delle ritorsioni energetiche e commerciali per impedire all’Ucraina di perseguire una politica autonoma e indipendente. In effetti, provvedimenti restrittivi sono già stati adottati nei confronti di alcuni prodotti ucraini, accompagnati inoltre da ulteriori minacce che paventerebbero l’attuazione di misure protezionistiche a danno del vicino in caso di liberalizzazione del regime doganale derivante da un eventuale accordo con l’Unione Europea. Tali ritorsioni hanno suscitato peraltro la disapprovazione della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo, la quale ha ravvisato gli estremi di una violazione del diritto internazionale e delle regole della World Trade Organization, della quale la Russia è da poco divenuta membro. Occorre altresì ricordare come l’Ucraina sia un paese dall’economia sfibrata ed energeticamente dipendente dalle costose forniture russe, che pesano sul suo fabbisogno totale per circa il 90%. Ma essa è anche e soprattutto il principale canale di trasporto del gas russo verso l’Europa; non è un caso che Gazprom stia cercando di rafforzare ed ampliare il suo controllo sulla rete di gasdotti che attraversano il paese. Le pressioni russe sono inoltre incentivate dalla presenza nel sottosuolo ucraino del cosiddetto shale gas, una particolare tipologia di gas naturale non convenzionale, risorsa che i paesi europei potrebbero sfruttare per diversificare l’approvvigionamento energetico, derivante per un quarto dalle forniture di gas naturale provenienti dalla Russia.
La portata del discorso non può tuttavia ridursi a tali considerazioni, seppur necessarie per comporre un mosaico che è molto più complesso e che investe le relazioni tra la Russia e l’Occidente. Il vero obiettivo russo sembra essere di più ampio respiro: il bilanciamento su larga scala dell’espansionismo euro-atlantico verso Est, cui fa da sfondo la ferrea volontà di riconquistare centralità nel panorama delle relazioni internazionali, senza contare la necessità, sul fronte opposto, di contenere la forza d’urto politica ed economica del gigante cinese. In questo quadro, i primi due avamposti strategici per arrestare l’avanzata occidentale, perseguita con l’allargamento a Est dell’Unione Europea e con la confluenza nella NATO di diversi paesi una volta ricompresi nella sfera di influenza sovietica, sembrano essere proprio Bielorussia e Ucraina, quest’ultima indicata come un partner prioritario dalla stessa Strategia di Politica Estera della Federazione Russa.
Lungi dal fare perno su qualsivoglia ideologia come in passato, i russi hanno scelto la via del pragmatismo e, paradossalmente, lo strumento più indicato per assurgere ad un nuovo ruolo egemonico sembra essere quello della costituzione, in stile europeo, di una solida unione sovranazionale dove la Russia non vesta i panni di un padrone onnipotente, ma cerchi piuttosto di apparire come una sorta di guida illuminata. A tal fine, l’obiettivo apertamente dichiarato da Putin è la costituzione, entro il 2015, di una Unione Euroasiatica, la quale altro non sarebbe che l’evoluzione in senso politico dell’Unione Doganale costituita nel luglio del 2011 con Bielorussia e Kazakistan ed evolutasi, dal 1° gennaio 2012, nello Spazio Economico Comune, al quale sono in procinto di aderire anche altri paesi dell’ex blocco sovietico, Tagikistan e Kirghizistan in primis. L’Ucraina è il crocevia imprescindibile per favorire e accelerare questo processo e costituisce un mercato irrinunciabile per gli interessi russi, rappresentando un tassello fondamentale per la sicurezza geopolitica di Mosca. È dunque un alleato indispensabile per la Russia, determinata a perseguire l’ambizioso progetto di poter divenire, proprio attraverso l’Unione Euroasiatica, un ponte ineludibile tra l’Occidente e il fiorente continente asiatico.
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