di Alessandro Campi
E adesso? Si naviga a vista, nella speranza che la situazione non precipiti. Nessuno ha chiare le idee su quel che potrà accadere da qui alle prossime settimane o mesi. L’unica certezza è che dalle 17.42 del 28 novembre 2013 Silvio Berlusconi non è più senatore della Repubblica. Si chiude una storia ventennale, dicono tutti, ma non si sa bene quale altra storia stia per aprirsi. E se fosse più tortuosa e gravida d’incognite della precedente?
La verità è che ci si è talmente concentrati su questo storico passaggio, vissuto alla stregua di uno psicodramma da tutti gli schieramenti, caricato di attese politiche e valenze simboliche persino esagerate, da non aver trovato il tempo e la voglia di ragionare sul dopo, sulle conseguenze di un passaggio politico-parlamentare che forse si sarebbe potuto gestire diversamente e con altri tempi e che rischia di lasciare una strascico velenoso alla fase nuova che si vorrebbe aprire. Forse si è sperato sino alle fine che Berlusconi, per evitare l’umiliazione del voto di decadenza e con “beau geste” da statista prossimo alla pensione, si facesse volontariamente da parte. Ma non è accaduto e di questo, non dei propri auspici, bisogna tenere conto.
Adesso, con Berlusconi che resta in campo mosso dal desiderio di rivincita e da una rabbia persino legittima, si aprono diversi scenari, nessuno dei quali tranquillizzanti. Per il governo, innanzitutto, che dopo l’uscita dalla maggioranza di Forza Italia deve aspettarsi un cammino sempre più accidentato: ci sarà pure più coesione politica tra i ministri in carica e la loro base parlamentare, ma i numeri al Senato di cui esso dispone sono a dir poco risicati. C’è poi da considerare la futura agenda dell’esecutivo: davvero Alfano, come ha annunciato ieri, pensa di poter obbligare il Partito democratico a varare una radicale riforma della giustizia ora che non c’è più l’alibi del Cavaliere a renderla impossibile? O non sarà piuttosto la sua pattuglia di dissidenti del centrodestra a dover subire la controffensiva programmatica della sinistra richiesta a gran voce da Renzi come condizione per non fare cadere Letta? E in questo secondo caso che ci si inventerà per non passare agli occhi dell’elettorato moderato come degli inutili gregari?
Il rischio, già paventato dai berlusconiani ortodossi, è quello di una guerriglia parlamentare quotidiana, in attesa dell’incidente che porti alla caduta del governo e quindi alle elezioni anticipate, ormai volute da uno schieramento trasversale che si va facendo sempre più agguerrito. Tra l’altro, in caso di crisi nessuno più crede ormai alla possibilità di raffazzonare una diversa maggioranza contando sui malumori di qualche parlamentare grillino.
Ma sono gli effetti politici generali quelli che dovrebbero preoccupare di più. Da oggi il Cavaliere si aggiunge idealmente a Grillo e Renzi: i tre più seguiti leader politici italiani sono fuori dal Parlamento. Diversi tra di loro, hanno un punto in comune: la polemica contro il Palazzo e chi lo abita. Facile prevedere un dilagare di toni populistici e di denuncia e tensioni crescenti con il Presidente della Repubblica, polemicamente identificato da tutti e tre, seppure con toni differenti, come l’ultimo e ormai solitario difensore dell’equilibrio politico-istituzionale che ha fatto nascere le “larghe intese”.
In tutto questo c’è da considerare che il Cavaliere, come si è anche visto durante il suo discorso di ieri ai fedelissimi, è per davvero stanco e provato. In cuor suo sa di non poter rappresentare il futuro di questo Paese e forse nemmeno il suo presente. Ma c’è una stranezza destinata a galvanizzarlo e che la sinistra e tutti i suoi avversari non riescono a spiegare se non dimostrandosi sprezzanti nei confronti degli italiani: come fa, nel momento più basso della sua parabola politica, ad avere ancora così tanto consenso popolare? Se si votasse domani, la coalizione da lui guidata – stando a tutti i sondaggi e ferma restando la grande incognita degli indecisi – rivincerebbe le elezioni. Più che stupidi o ottusi, gli italiani che ancora lo sostengono forse vogliono capire cosa esattamente cosa sia il dopo-Berlusconi che tutti annunciano, prima di cambiare il loro orientamento. Da questo punto di vista Alfano e il suo nuovo centrodestra hanno ancora molto da lavorare per rendersi elettoralmente attraenti: di Berlusconi sappiamo chi è e cosa vuole, di chi vorrebbe raccoglierne l’eredità politica e i voti non è ancora chiaro chi esattamente siano e quali idee abbiano in testa davvero diverse da quelle del loro antico mentore.
Quanto alla sinistra, passata l’euforia (per quanto compassata o dissimulata) del voto di ieri, dovrebbe finalmente ragionare sul fatto che un voto parlamentare a maggioranza – non privo di un inconscio desiderio di vendetta sull’avversario di una vita – non bilancerà mai le sconfitte alle urne che Berlusconi le ha inflitto a ripetizione nel corso di un ventennio: prima di imbarcarsi nell’ennesima guerra intestina per far fuori l’ennesimo segretario e prima di immaginare di aver il Paese in pugno e di avere già vinto le elezioni, rifletta sul perché le sue idee non hanno mai convinto il grosso degli italiani.
Resta da dire su come Berlusconi è uscito di scena, visti i paragoni che si sono sprecati in queste ore con Craxi e Andreotti. Questi ultimi si consideravano parte di un sistema politico-istituzionale, e dunque hanno dato battaglia all’interno di esso, accettandone le regole del gioco. Berlusconi si è sempre considerato, non solo unico e il migliore, ma anche un alieno rispetto al classico teatro della politica, uno estraneo alle sue regole. La sua tribuna non è mai stata il Parlamento, ma la televisione. Inutile aspettarsi un discorso pugnace, guardando in faccia i suoi carnefici politici. Abituato per di più all’adulazione e all’applauso, insofferente di ogni critica, peggio di ogni attacco personale diretto, ha preferito un comizio scialbo ma in mezzo ai suoi sostenitori, insieme ai quali si è intenerito e commosso ma ai quali ha annunciato che la sua storia non è finita. Il che significa che, passato lo sconforto, qualcosa di eclatante si inventerà: tanto più eclatante se qualche procuratore, per passare alla storia, avrà la bella idea di chiederne l’arresto. Io, per quello che vale, lo prenderei in parola.
* Articolo apparso su “Il Messaggero” (Roma) e su “Il Mattino” (Napoli) del 29 novembre 2013.
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