di Andrea Falconi

Il 5 dicembre scorso, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione n. 2122, che prevede l’istituzione della missione multinazionale sotto comando dell’Unione Africana MISCA (Mission Internationale de Soutien à la Centrafrique Sous Conduite Africaine) nella Repubblica Centrafricana.

Tale decisione si è resa necessaria a seguito del tentativo di porre fine all’aumento delle violenze nel Paese da dicembre 2012, che hanno già provocato diverse centinaia di morti ed oltre 500 mila sfollati.

Dal 19 dicembre 2013, dunque, la missione assorbirà compiti e organici della FOMAC (Force Multinationale de l’Afrique Centrale), una delle cinque Brigate regionali su cui è articolata la African Standby Force (ASF) dell’Unione Africana, già presente sul campo con 3660 soldati di Cameroon, Ciad, Congo, Guinea Equatoriale e Gabon. Il 13 dicembre scorso, inoltre, il Consiglio Esecutivo dell’Unione Africana ha decretato il prossimo aumento a circa 6000 unità del proprio contingente.

A tale missione si affiancherà, con una linea di comando indipendente, il contingente francese di 1400 soldati, di cui 600 stanziati stabilmente a Bangui e altri 800 inviati recentemente dal Governo Hollande, con lo scopo formale di difendere i cittadini francesi presenti sul territorio e garantire la sicurezza dell’aeroporto.

L’Opération Sangaris, cui il Regno Unito e il Belgio forniscono supporto logistico per il trasporto aereo, rispettivamente con velivoli C-17 Globemaster III e Airbus 330, è mirata inoltre alla protezione degli interessi economici di Parigi nella Repubblica Centrafricana, laddove la multinazionale francese a controllo statale Areva mantiene la proprietà del sito minerario di Bakouma, nel sudest del Paese, con riserve stimate di uranio di circa 32.000 tonnellate.

Le forze multinazionali di peacekeeping dovranno riuscire nel difficile compito di arginare le derive del conflitto che sta insanguinando il Paese, e che sta assumendo sempre più i tratti di una guerra civile su base etnico religiosa. Attualmente, il principale confronto è quello tra le bande armate riconducibili alle milizie di Séleka (“la coalizione” in lingua Sango), in gran parte di fede islamica, e quelle di autodifesa istituite nei villaggi cristiani, significativamente denominate “Anti-Balaka” (“Anti-Machete”).

L’attuale crisi s’inserisce nel più generale contesto di instabilità del Paese, che non è riuscito, dopo anni di guerra civile, a creare un Governo di consenso esteso, ricomponendo la frattura tra una maggioranza cristiana (circa l’80% della popolazione), basata su conglomerati tribali di tipo sedentario e mediamente più ricca, ed una musulmana, presente nel nord est del Paese e principalmente dedica al nomadismo. Inoltre, la presenza straniera, tra cui quella dell’ex-potenza coloniale della Francia, rende più difficile l’istituzione di politiche autonome da parte di Bangui, relative soprattutto alla nazionalizzazione e al potenziale sfruttamento delle risorse energetiche del Paese.

La formazione delle milizie Séleka risale al 2003, quando l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa François Bozizé ha deposto con un colpo di Stato il primo Presidente eletto della storia della Repubblica, Ange-Félix Patassé. L’evento determinò lo scoppio della cosiddetta “Bush War”, in cui il Governo di Bozizé si trovò ad affrontare la ribellione di varie milizie, le quali formalmente combattevano per fedeltà a Patassé, ma in realtà miravano ad approfittare del caos del Paese per estendere il loro controllo sulle regioni minerarie del centro nord. Tra queste milizie, quella che risaltava per organizzazione e capacità era la UFDR (Union of Democratic Forces for Unity) comandata da Michel Djotodia, ex-Console in Sudan sotto il Governo Patassé, nonché esperto di economia formatosi durante dieci anni di studio nell’Unione Sovietica.

Tra il 2007 e il 2008, in seguito all’intervento da parte della Francia e dell’esercito del Ciad, si firmarono gli accordi di pace tra i ribelli e il Governo centrale, che prevedevano sovvenzioni di natura economica ai ribelli e la loro integrazione nelle Forze Armate del Paese.

Nonostante ciò, gli scontri proseguirono, poiché, secondo i ribelli, Bozizé non aveva onorato i patti del 2008. Le varie fazioni in lotta, tra cui gli UFDR di Djotodia, i CPJP (Convention of Patriots for Justice and Peace), gli A2R (Alliance for Revival and Rebuilding) e i CPSK (Patriotic Convention for Saving the Country) scelsero quindi di unirsi sotto la nominazione comune di Séleka e la leadership di Djotodia.

Nel febbraio 2013, Bozizé decise di tentare una mediazione tramite un rimpasto governativo, con il quale nominò Michel Djotodia Ministro della Difesa, assegnando la carica di Primo Ministro a Nicolas Tiangaye, avvocato e figura chiave di ogni processo di transizione della Repubblica Centrafricana.

Solamente un mese dopo, le milizie di Séleka, tramite un’avanzata che ha investito le città cristiane di Bria, Bambari, Ouadda, Ndélé, Batangafo, Kaga-Bandoro e Damara, sono giunte a Bangui. Nel tentativo di arginare le violenze, Djotodia si è autoproclamato Presidente della Transizione della Repubblica, carica confermata poi da un’Assemblea costituente, dichiarando di voler mantenere la carica solo fino alle elezioni del 2015.

Uno dei primi atti da Presidente è stato quello di cercare l’accordo con la Francia, in base al quale veniva riconosciuto come legittimo Presidente in cambio della dismissione delle milizie di Séleka. La richiesta del leader ai miliziani, tuttavia, ha avuto solo l’effetto di far esplodere la coalizione in diverse milizie locali dedite al banditismo e alle violenze contro la popolazione civile, in particolar modo su quella cristiana.

I villaggi cristiani hanno dunque organizzato le proprie milizie di auto difesa, le Anti-Balaka, le quali hanno contribuito a innalzare il livello della violenza in tutto il Paese, a causa delle continue incursioni e rappresaglie da ambo le parti.

La situazione è ulteriormente degenerata a causa dell’ingresso nel Paese dei miliziani del Lord’s Resistance Army (LRA), gruppo ugandese Acholi di estrazione cristiano-fondamentalista, i quali hanno iniziato ad affluire nella Repubblica Centrafricana dal Congo attraverso la zona del fiume Vovodo, nel sud est del Paese. La milizia comandata da Joseph Kony, infatti, ha intenzione di approfittare della situazione di caos nel Paese per sfuggire alla repressione subita in Uganda, cui si aggiunge anche una missione delle Forze Speciali statunitensi impegnate in una caccia all’uomo dello stesso Kony.

Le forze multinazionali, dunque, si troveranno ad affrontare una situazione di notevole instabilità, con varie milizie in lotta tra loro e un potere politico instabile, basato sulla fragile promessa di svolgere solamente un ruolo di transizione verso future elezioni.

Due fattori, tuttavia, potrebbero rappresentare il perno della costruzione della stabilità della Repubblica. Innanzi tutto, assume una notevole rilevanza il riconoscimento internazionale di cui gode Djotodia, determinato dal suo allontanamento dalle milizie Séleka e dalle pronte rassicurazioni rivolte alla Francia riguardo agli interessi economici di Parigi nel Paese. In secondo luogo, il mantenimento alla carica di Primo Ministro di Nicolas Tiangaye ha dato maggior credito alla promessa di Djotodia di voler assumere solo un potere transitorio, utile al ristabilimento dell’ordine nel breve-medio periodo.

L’ago della bilancia risulta essere, come in molti conflitti africani, la capacità del Governo di mediare tra gli interessi economici stranieri in gioco e il bisogno di un riparto della ricchezza nazionale che includa le diverse etnie del Paese.

Il sito minerario di Bakouma, infatti, risulta ancora non sfruttato, per il basso livello di rendimento che avrebbe per una multinazionale come la Areva. Tale risorsa, che potrebbe incidere invece notevolmente sul PIL della Repubblica Centrafricana, laddove fosse a disposizione di questa, rimane quindi congelata da accordi risalenti all’intervento francese nella Bush War.

Nel dicembre 2013 si sarebbero dovuti rinnovare gli accordi di sfruttamento tra la società francese e il Governo centrafricano. Ma le coincidenze temporali hanno deciso diversamente.

 

 

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