di Domenico Letizia
L’analisi delle formulazioni teoriche alla base dei movimenti della sinistra extraparlamentare durante il corso degni anni 70 può produrre notevoli spunti di ricerca sull’avanzamento dello stato di “ricerca sociale e politica” che tali movimenti producevano.
Potere Operaio è stato un gruppo della sinistra extraparlamentare italiana fortemente attivo fra il 1969 e il 1973. Si propose l’obiettivo di distinguersi per una analisi teorico-politica volta all’esplicitazione della cosiddetta “linea di massa” collegandosi alle lotte operaie in funzione della costruzione di una organizzazione autonoma dai partiti di sinistra della classe operaia. Nel settembre 1969, in seguito alla scissione in seno al Movimento operai-studenti di Torino, vi confluì il gruppo “Potere operaio di Venezia” attivo nel nord-est e in Emilia sin dal 1967, il “Potere Operaio veneto-emiliano”, diverso dal “Potere Operaio pisano” che invece faceva capo a Adriano Sofri da cui sarebbe nato poi il gruppo Lotta continua. Il gruppo ebbe un periodico (settimanale fino al 1971, per un brevissimo periodo quindicinale, poi mensile) legato al movimento e dal nome omonimo, che uscì per alcuni anni. Dopo la trasformazione in mensile si iniziò a pubblicare un foglio settimanale chiamato “Potere Operaio del Lunedì”. Il centralismo operaio e del mondo della fabbrica nel contesto metropolitano nell’azione politica di Potere Operaio è stato l’elemento distintivo del gruppo (insieme a Lotta Continua che, seppur con differenze, condivideva questa impostazione) dal resto della sinistra extraparlamentare, orientata da un lato ad impostazioni estreme-ortodosse del marxismo-leninismo, dall’altro all’influenza dei movimenti rivoluzionari internazionali, dal terzomondismo e alla rivoluzione culturale.
Potere Operaio fece proprie le tesi “trontiane” della lotta di classe interamente strutturata internamente al conflitto del mondo della fabbrica dell’operaio massa, soggetto operaio tipico del fordismo che in Italia si manifestò appieno solo nel decennio del boom economico, surclassando quel mondo industriale caratterizzato dall’operaio professionale che era stato bacino elettorale e soggetto sociale di riferimento del PCI. L’operaio-massa, descritto da Tronti come “rude razza pagana senza ideali, senza fede e senza morale”, era un soggetto slegato dal concetto di controllo dei mezzi di produzione proprio della tradizione comunista del movimento operaio, soggetto allo sfruttamento capitalistico e all’alienazione della catena di montaggio, spesso nel caso italiano emigrato e quindi straniero e senza radici affettive e culturali. Questo nuovo soggetto sarebbe stato in grado di destrutturare l’impalcatura immobilistica della rappresentanza sindacale e del riformismo dei partiti della sinistra portando all’interno della fabbrica, e fuori, una lotta spontanea che, una volta indirizzata politicamente, avrebbe configurato l’inizio di un processo rivoluzionario. Questo processo di autorganizzazione e di “spontaneismo” delle lotte prefigurava il concetto chiave di “autonomia operaia”, che insieme alla formula del “rifiuto del lavoro” costituiva l’impalcatura fondamentale dell’azione politica di Potere Operaio.
Sulla base di questo indirizzo gli slogan più utilizzati da Potere Operaio in relazione alle lotte operaie erano appunto legati alla questione del salario e al lavoro in termini di tempo e nocività: “Più soldi, meno lavoro” e “lavorare meno, lavorare tutti”. Parte dell’esperienza di Potere Operaio venne raccolta dalla nascente Autonomia Operaia. Giovanni Giovannelli descrive un profondo dibattito teorico all’interno di Potere Operaio: prospettive che meritano di essere analizzate e approfondite per comprendere i rapporti di potere e la creazione delle caste anche nella politica contemporanea.
Per Giovanelli, Potere Operaio era diviso in una “sinistra” e in una “destra” di movimento. La “sinistra” riteneva che fosse giunto il momento (siamo negli anni’ 70) del “partito”, la nuova organizzazione delle nuove avanguardie; e il “partito” doveva porsi il problema dello scontro armato oramai ritenuto alle porte. La “destra” era contro qualsiasi risurrezione del “partito” tanto da accettare il termine spregiativo pur di tenere viva la polemica: la diversa organizzazione capitalistica stava trasformando l’intera società in “fabbrica”.
Il nemico della “destra” non era il fascismo, ritenuto pura archeologia, ma il riformismo, ovvero il patto tra sindacati, partiti dell’arco costituzionale, cooperative, grande e piccola impresa per riconquistare consensi e rapporti di forza. Particolarmente interessante l’analisi che Potere Operaio svolse sulla creazione delle nuove caste clientelari, soprattutto nel panorama della sinistra riformista e all’interno della struttura e dello strapotere del Partito Comunista Italiano. Tali analisi danno “adito storico” alle contemporanee polemiche intorno alle “cooperative rosse” e alle “banche della sinistra istituzionale”: il tutto come si può intuire affonda le radici proprio negli anni precedenti e successivi al denominato “compromesso storico”.
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