di Danilo Breschi
“Dolce, quando nel mare immenso i venti sconvolgono le acque, contemplare dalla riva l’affanno grande di altri, non perché l’angoscia d’un uomo dia gioia e sollievo, ma perché è dolce vedere da che mali tu stesso sei libero. Dolce anche guardare grandi battaglie di guerra spiegarsi nel piano, senz’essere tu nel pericolo”. Così veniva sintetizzato un punto fondamentale dell’etica epicurea da un suo seguace, il più importante, ossia il filosofo latino Lucrezio (94 a.C. – 50 a.C.), nel suo celebre poema “De rerum natura”. Pochi versi dopo, perché di un poema appunto si tratta, il concetto è reso ancora più chiaro: “In che oscura esistenza e fra quali pericoli trascorre questo poco di vita che abbiamo! E come non vedere che nient’altro la natura ci latra, se non che dal corpo stia sempre lontano il dolore e nella mente essa goda d’un senso di gioia, libera da affanno e timore? Così vediamo che il corpo di ben poca cosa ha bisogno: di tutto ciò che lenisce il dolore e in tal modo può offrire anche molti piaceri squisiti”.
Insomma: quel che conta è fuggire il dolore e ricercare il piacere, quello del corpo, legato ai sensi. Altro non v’è. Un piacere che non di rado può essere pure perseguito e soddisfatto tramite astinenza e privazione, sempre e comunque praticate in ottica egoistica, diremmo probabilmente noi. E lo diremmo, e di fatto lo diciamo, perché tra Epicuro, Lucrezio e noi c’è stato l’evento che ha segnato la storia prima mediterranea, poi europea, dunque occidentale e infine mondiale. Sto ovviamente parlando della nascita e della diffusione del cristianesimo e dei suoi precetti religiosi ed etici.
Dal Vangelo secondo Luca (25-37): “Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così»”.
Da un lato, la compassione e l’amore, dall’altro, l’atarassia e l’eudemonismo. Altruismo da una parte, egoismo dall’altra. Per gli epicurei l’obiettivo di ogni vita, da perseguirsi tramite la saggezza appresa e praticata tramite la filosofia, è la felicità che, a sua volta, è piacere. Questo può essere in movimento, ed allora è gioia, o stabile, e dunque si manifesterà come assenza di dolore. Soltanto la totale assenza di dolore (aponia) e di turbamento (atarassia) sono accettabili dal punto di vista etico. In altre parole, sono esse a costituire la vera felicità. Per i cristiani il rovesciamento di prospettiva è integrale. È l’altro ad essere al centro della riflessione e dell’azione etica, tanto da poter essere persino indicato come l’Altro, con l’iniziale maiuscola. “Ama il prossimo tuo” è il comandamento dei comandamenti una volta che, come ha scritto Enzo Bianchi, si è compiuta l’umanizzazione di Dio in Gesù Cristo, perché “ciò che è autenticamente cristiano è anche autenticamente umano e quindi può riguardare tutti gli esseri umani”. Dunque, aggiunge il priore della comunità monastica di Bose, “la vita cristiana, di conseguenza, coincide con l’apertura di strade di autentica umanizzazione, con una prassi in cui l’amore è lo stile e il fine di un cammino di umanizzazione”. Sempre Bianchi sottolinea come “colui che ama muove il suo centro di gravità verso l’esistenza di un altro, pur conservando questo centro in se stesso”. L’insegnamento di amore verso il prossimo si trova già nella Bibbia ebraica, nel Levitico (19, 18) per l’esattezza, ma nelle parole di Gesù vi è la “richiesta di amare non solo l’altro, lo straniero che è con e per me, ma anche l’altro che è contro di me, ovvero il nemico, l’avversario, il persecutore, il calunniatore, il malvagio”, ci ricorda sempre Bianchi. La prossimità richiesta dal cristianesimo impone il sacrificio pieno di sé, l’annullamento di ogni distanza fino alla propria metamorfosi nell’altro-da-sé. Niente di maggiormente agli antipodi rispetto ai precetti epicurei e, più in genere, pagani.
Comunque la si pensi, si creda o meno in questo o quel Dio, o in nessuno, resta il fatto che l’insegnamento cristiano ha costituito una svolta epocale, irradiando nel mondo il principio di eguaglianza e un durissimo attacco all’ego coltivato dai miti e dalle filosofie precristiane. Ancora di più: ha introdotto un principio di solidarietà verso i deboli, quel che prende il nome di “caritas”, sconosciuta al mondo pagano. Nei secoli successivi all’avvento del cristianesimo si è ora percorsa in Europa la via della sintesi o dell’ibridazione tra esso ed il vario paganesimo, oppure si è sostenuta con tenacia e persino crudele intransigenza la netta separazione tra i due, e dunque una via a scapito dell’altra, in negazione dell’altra. Questa seconda opzione ha corrisposto a periodi di sanguinosa lacerazione dentro e intorno al continente europeo. La stessa “res publica christiana” si è dilaniata con lunghe guerre civili tra diverse confessioni dello stesso credo. Sovente più per estenuazione che per convinzione ideale si è cambiato rotta e imboccata la prima via, tentando l’ibridazione tra paganesimo e cristianesimo. Peter Gay ha definito i quattro secoli fra il 1300 e il 1700 come “l’età della cristianità pagana”. Altro che problema delle radici cristiane, o pagane (a seconda dei punti di vista), dell’Europa! Non si tratta solo di radici e di “imprinting” iniziale, ma di fecondazioni, anche reciproche, e di mescolamenti reiterati e durevoli nei secoli. Non solo radici, ma pure tronchi e rami, spesso intrecciati, ora secondo natura ora contro natura.
Come ricordava Nicola Abbagnano, la dottrina epicurea sorse all’interno del clima culturale ed etico dell’ellenismo, che dopo la delusione politica seguita alla caduta della democrazia ateniese “subordina tutta la ricerca filosofica all’esigenza di garantire all’uomo la tranquillità dello spirito”. Che qualcosa di simile stia colpendo l’etica di democrazie a dir poco in affanno tra crisi economica e crisi di rappresentanza, efficienza ed efficacia? E, questione preliminare, è poi corretto parlare di etica (al singolare) delle democrazie, o piuttosto dovremmo discorrere di etiche (al plurale) nella democrazia, singolarmente presa per storia e per cultura? Riprenderemo il discorso prossimamente.
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