di Giuseppe Balistreri
Nella vicenda che ha portato alle dimissioni di Cuperlo dalla presidenza del Pd, vengono fuori i limiti di Renzi, quegli stessi cioè che finora sono stati fattori di successo. Come sempre le debolezza si annidano proprio in quelli che sono i lati forti. Dimmi dove hai il punto di forza, e lì troverò anche il punto di debolezza. Ora il punto di forza di Renzi è la sua immediatezza. Ma è proprio questa che gli nuoce. Non sempre infatti si può essere immediati. Forse giova nel momento dell’attacco, per conquistare il potere, ma per amministrare il potere, poi serve mediatezza, è necessario cioè fare ricorso alle vie diplomatiche. Ad eccezione di Letta, che forse ne fa anche un uso eccessivo, nessuno al momento sembra più fare ricorso a questa antica virtù. Usare diplomazia con l’avversario vuol dire colpirlo nel punto debole, ma non direttamente, bensì senza farlo notare, e come se l’accusa fosse nell’ordine delle cose. Soprattutto evitare di ferire l’avversario nel suo onor proprio: questo te lo renderà acerrimo nemico, senza che tu vi abbia guadagnato qualcosa in più. Quindi sconfiggere l’avversario, ma potendo lasciargli sempre l’onore delle armi. Renzi invece è impaziente, vuole sbarazzarsi subito di tutti quelli che si trovano per la sua strada, e senza usare alcun riguardo.
Certo, sarebbe possibile anche che in questo ci sia del calcolo: e cioè imporsi nel proprio partito, in modo da non lasciare spazio ai suoi avversari interni, e quindi arrivare al suo pieno controllo, vale a dire mettersi l’intero partito sotto la propria indiscussa leadership, quella che Fassina chiama “visione padronale” del partito. Frase che richiama l’esperienza berlusconiana, ma che in realtà è solo un’esagerazione per attaccare Renzi. Quello che Renzi cerca è sì una propria affermazione assoluta all’interno del partito, ma comunque sempre di tipo anglosassone. Forte della sua investitura popolare alle primarie, Renzi vuole affermare il suo diritto a condurre la politica che egli ha in mente e di cui deve rendere conto solo alla fine, cioè quando si potrà vedere se ha avuto successo o insuccesso, e nel caso di insuccesso trarne tutte le conseguenze. Renzi, non vuole fare il segretario per un tempo più lungo possibile, cosa che lo porterebbe ad una gestione mediata del partito, dando un po’ ragione a tutti, in modo da barcamenarsi come è stato finora nel Pd a meno di clamorose sconfitte. Ma senza quelle sconfitte il segretario avrebbe potuto tirare a campare tranquillamente. Renzi invece non vuole tirare a campare e poco gli interessano gli equilibri interni del partito. La sua leadership non proviene infatti da un accordo interno tra i capi correnti, ma dall’enorme popolo che l’ha votato perfino contro i vecchi leader.
Tuttavia, se questa è la visione di Renzi riassumibile in una sorta di “lasciatemi fare e se sbaglio, sarò io a pagare”, quindi pieno di fastidio per coloro che non gli vogliono dare il via libera e che invece lo ostacolano, se dunque Renzi vuole non solo vincere al suo interno, ma stravincere per avere un partito malleabile è pronto a seguirlo nella sua battaglia per la conquista del governo, d’altra parte, un po’ di prudenza non guasta. Certo qui ritorna il vecchio dilemma machiavelliano se ad un principe convenga essere impetuoso o respettivo, e certamente Renzi ha imboccato la prima strada, l’unica del resto che può portarlo dove egli vuole arrivare. Ma è necessario anche risparmiarsi eccessi inutili e controproducenti, quali gli attacchi ad personam, i quali si portano dietro una scia di rancori e desideri di vendetta. A chi deve uscire sconfitto, bisogna lasciargli almeno la dignità. Ma nel suo essere impetuoso si ha l’impressione a volte che Renzi parli prima di pensare, che la lingua sia più veloce del pensiero. Certe battute, almeno pubblicamente, è meglio risparmiarsele, ma Renzi sembra non resistervi. Ritorna qui il difetto fondamentale dell’immediatezza, che sembra si sposerebbe bene con l’impeto, ma non è così, perché anche l’impeto in politica deve essere ragionato e calcolato.
Renzi sconta qui quel difetto affermatosi come qualità nella Seconda repubblica, consistente nell’aver reso il linguaggio politico un modo di espressione non diverso da quello quotidiano e per così dire a tu per tu. Ed invece non si può parlare in un consesso politico, come si parla al bar seduti ad un tavolino con un caffè o una birra davanti. E di tale circostanza è l’accusa lanciata da Renzi a Cuperlo di essersi fatto scudo della lista bloccata per farsi eleggere. Renzi ha commesso un grave errore di galateo politico (di cui negli ultimi anni abbiamo perso nozione). Egli aveva mille altri modi per dire all’incirca la stessa cosa in maniera più elegante, diplomatica appunto, ed inoffensiva, ma purtroppo, avendo ormai assunto un certo stile diretto e per così dire terra terra, si è lasciato trasportare dalle parole, dicendo apertamente e senza mezzi termini quello che pensava. Una cosa cioè che si fa solo tra intimi e non in un contesto in cui si parla da leader di partito ed in cui la posta in gioco è o convincere gli avversari interni o fornirgli un alibi per non nuocere.
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