di Danilo Breschi

napolitanoLe anticipazioni sul “Corriere della Sera” del libro di Alan Friedman (Ammazziamo il Gattopardo, Rizzoli), in cui si parla del ruolo avuto da Giorgio Napolitano nell’avvicendamento tra Berlusconi e Monti a palazzo Chigi nell’autunno 2011, hanno sollevato un bel vespaio. A dire il vero, e a voler essere onesti, non paiono rivelazioni così sorprendenti quelle secondo cui il governo dei tecnici rispose ad “un piano”, anzi “un grande piano di rilancio”, come lo avrebbe chiamato Corrado Passera, poi ministro dello Sviluppo economico, in un documento inviato nell’estate del 2011 al Capo dello Stato quale risposta alle pressioni dell’Ue nei confronti dell’ultimo governo berlusconiano. Forza Italia è insorta chiedendo al Capo dello Stato di dare “urgenti chiarimenti e convincenti spiegazioni”. Per qualche ora si è pure ipotizzata la creazione di un’asse con il Movimento Cinque Stelle per sostenere una formale richiesta di impeachment al Capo dello Stato. Napolitano ha subito replicato con una lettera indirizzata al quotidiano di via Solferino, in cui, tra l’altro, afferma: “Nessuna difficoltà, certo, a ricordare di aver ricevuto nel mio studio il professor Monti più volte nel corso del 2011, e non solo in estate […]. Egli appariva allora – e di certo non solo a me – una risorsa da tener presente e, se necessario, da acquisire al governo del paese”. Quindi, il “sempre più evidente logoramento della maggioranza di governo uscita vincente dalle elezioni del 2008”, i dissidi crescenti fra Tremonti e Berlusconi, le “dure sollecitazioni critiche delle autorità europee verso il governo”, la bocciatura, l’8 novembre 2011, da parte della Camera del rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato, tutto ciò avrebbe infine indotto il Presidente della Repubblica a sollecitare le dimissioni del presidente del Consiglio.

Matteo Renzi, dal canto suo, ha ricordato come il Capo dello Stato “agì nell’interesse esclusivo degli italiani”. L’altro diretto interessato, l’ex premier Mario Monti, ha conferma i contatti con il Quirinale. In un’intervista al Tg1 ha dichiarato: “Mi aveva fatto capire che in caso di necessità dovevo essere disponibile. Ma è assurdo che venga considerato anomalo che un presidente della Repubblica si assicuri di capire se ci sia un’alternativa se si dovesse porre un problema”. Insomma, la polemica è divampata, anche se non avremo alcuna procedura di impeachment, archiviata dopo la prima tappa della complessa procedura prevista dalla Costituzione. Il Comitato parlamentare, formato dagli esponenti della giunta di Camera e Senato competenti per le autorizzazioni a procedere, ha votato per l’archiviazione della richiesta di impeachment di Giorgio Napolitano presentata dal Movimento 5 Stelle. L’istanza è stata ritenuta “manifestamente infondata” con 28 sì. Per l’archiviazione hanno votato Pd, Ncd, Sel, Scelta Civica, Popolari per l’Italia e Socialisti. Contro i 5 stelle. Forza Italia, invece, non ha partecipato al voto. Polemica divampata, dunque, che però pone una questione ancor più delicata di quanto già non sia quel che avvenne tra l’estate e l’autunno del 2011. Non soltanto induce qualsiasi osservatore imparziale, e critico, ad attendere quale sarà la condotta adottata nei confronti del pericolante governo Letta. Si tratta di una questione ben più delicata, perché è di struttura, di sostanza istituzionale. Perché è evidente che, al di là della giustezza o meno dell’iniziativa del Capo dello Stato, qui si dovrebbe prendere atto di un’ormai evidente discrasia tra Costituzione in senso formale e Costituzione in senso materiale.

Il grande giurista Costantino Mortati (1891-1985), uno dei nostri padri costituenti, fu il primo a riflettere sull’esistenza di una Costituzione materiale ed una Costituzione formale. A proposito della lezione mortatiana è interessante quanto ha affermato a più riprese Alessandro Catelani, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Siena, nonché membro dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti. Catelani ha ricordato che “secondo Mortati esiste un dualismo tra Costituzione formale, intesa come complesso di norme, e Costituzione materiale, intesa come effettivo assetto istituzionale dell’ordinamento, ovvero l’insieme delle decisioni prese dalle forze politiche, sociali e sindacali, dalla giurisprudenza, dagli organi costituzionali. Questo è un concetto giuridico-filosofico d’importanza fondamentale. Si tratta di sapere qual è la Costituzione effettiva: se è soltanto quella che risulta dal testo scritto o se viceversa c’è anche qualcosa di più e di diverso per definire l’ordinamento”.

In un saggio specificamente dedicato a Costantino Mortati e le costituzioni moderne (2010), Catelani ha scritto: “La Costituzione materiale non è cosa diversa dalla Carta Costituzionale considerata correttamente come complesso di norme interpretate in riferimento alle esigenze concrete della vita associata. La Costituzione, come tutti gli altri testi normativi, in tanto ha un significato in quanto sia considerata in riferimento ai rapporti intersoggettivi, ai quali è destinata. Ogni complesso normativo non può avere significato in sé, come entità astratta avulsa dalle esigenze della società alla quale si riferisce, ma necessita, per essere correttamente inteso, di essere integrato con quella valorizzazione delle esigenze della vita associata, che è destinato a soddisfare”.

Mortati, che fu anche segretario della Corte dei Conti nonché membro prima, e vicepresidente poi, della Corte Costituzionale, ebbe sempre a cuore il problema di una Costituzione che, nel suo dinamico applicarsi alla vita quotidiana delle istituzioni concretamente operanti, risultava infine più genuina rispetto a quella scritta. Per questo motivo Catelani ritiene che la riflessione mortatiana possieda “un aspetto di forte attualità in questa fase di transizione e di radicali trasformazioni delle istituzioni. Si tratta quindi di sapere quali riforme possono essere introdotte o di verificare come la Costituzione sia già stata modificata in via di fatto”. Ecco: questo è il punto. Cruciale, e che dovrebbe apparire a politici e giuristi per quello che è: improcrastinabile, pena una deperimento repentino della credibilità delle istituzioni, che dicono di essere una cosa e ne fanno un’altra. Alla lunga, si rischia di pagare questa schizofrenia e questa ipocrisia costituzionale. Di pagarla assai salata.

Una domanda, che è insieme una proposta, sorge spontanea esaminando sine ira et studio questo “Napolitanogate” e prendendo sul serio gli argomenti a difesa del capo dello Stato, argomenti che sottolineano la necessità di un ruolo decisionale forte, che in situazioni d’emergenza, come si dice fosse quella dell’estate del 2011, possa sciogliere nodi e resistenze di parte e intervenire ad aggiornare/adeguare gli assetti di governo per il bene comune, l’interesse degli stessi cittadini. Sul “Corriere della Sera” Angelo Panebianco ha ribadito come la politica italiana sia debole, ostaggio impotente di un apparato statale burocratico-giudiziario. Osserva inoltre come da tempo i politici italiani, pur vincitori delle competizioni elettorali, si rivelino tutti, uno dopo l’altro, a prescindere dalle personalità e volontà messe in campo, come giganti dai piedi di argilla, incapaci di “gestire una società complessa”. Conseguenza: la delegittimazione progressiva della politica, e con essa delle istituzioni rappresentative. Sempre Panebianco, e sempre sul Corsera, lo aveva ben detto già in altro articolo, una decina di giorni fa (“Mediare sempre, decidere mai”): “Il problema italiano, quello che ci impedisce di porre le condizioni per il rilancio dell’economia, è l’immobilismo decisionale, il fatto che non sappiamo attuare quei radicali interventi che ci permetterebbero di affrontare con più ottimismo il futuro. Ma quell’immobilismo non è effetto del caso né, come vuole la vulgata anti-politica, dell’inadeguatezza dei nostri uomini di governo”. E allora, in conclusione, domanda e proposta: ma perché non istituzionalizziamo, non rendiamo de iure ciò che è già de facto, ossia il presidenzialismo? Forse sarebbe opportuno tornare a sintonizzare la costituzione formale (repubblica parlamentare) con quella materiale (repubblica presidenziale). Per il bene della democrazia in Italia.

 

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