di Francesco Forlin

renziMatteo Renzi mi piace. Mi piace il suo decisionismo, quanto mai adatto a liquidare le vetuste ossessioni della sinistra italiana per tutto ciò che è condiviso, mediato, deliberato dopo estenuanti discussioni assembleari che coinvolgono consessi che vanno dalla direzione nazionale alle riunioni di corrente dei singoli circoli. Mi piace il suo porre in stato d’accusa i sindacati, rei di avere dettato la linea su politiche del lavoro che fotografano un’Italia vecchia di almeno trent’anni. Mi piace la sua polemica sul precariato come flagello generazionale, volta a smascherare l’ipocrita menzogna – utile a conservare il forziere elettorale di coloro che una pensione già ce l’hanno o la stanno maturando e, al tempo stesso, ad incanalare la rabbia dei giovani – per la quale ‘non si può dare ai figli togliendo ai padri’. Mi piace il suo insistere sulla necessità di allargare il bacino di consenso del Partito Democratico, scegliendo di andare e prendersi i voti degli elettori assetati di rivoluzione liberale rimasti delusi da Berlusconi, convalidando implicitamente ed esplicitamente l’idea che costoro non siano italiani di serie B né una genìa subumana di minus-habentes. Sì, Matteo Renzi mi piace.

Proprio per questo, osservo con dispiacere la via che Renzi ha scelto di percorrere per diventare Presidente del Consiglio. La venefica tradizione italiana di vedere governi formarsi e sfasciarsi ai congressi della Democrazia Cristiana ha improvvisamente ripreso vita, trovando nuova manifestazione nella scena grottesca di un Presidente del Consiglio dimissionario e di uno candidato a succedergli senza che il Parlamento sia stato chiamato a pronunziarsi su nessuno dei due passaggi. Naturalmente, chi scrive è tutt’altro che amante delle ingessate liturgie repubblicane che in Italia regolano tali fasi di transizione. Oggi stesso dovrebbe avere inizio il deprimente rito delle consultazioni, condotte stancamente da un Presidente della Repubblica oramai ben più che ottuagenario. Non si tratta, pertanto, di difendere le lungaggini parlamentari. Si tratta di chiedersi quale tasso riformatore potrà mai avere un governo che, piaccia o meno, nasce nel più democristiano dei modi, vale a dire con una sfiducia figlia di un riposizionamento correntizio avvenuto all’interno del principale partito nazionale. Come Cesare Martinetti ricordava oggi su La Stampa, l’anomalia italiana è più evidente che mai: Matteo Renzi, una volta Presidente del Consiglio, in questa legislatura Ue sarà il quarto premier italiano ad aver fatto parte del Consiglio europeo. Di più: dei quattro, ben tre non sono usciti vincitori dalle urne, ma sono arrivati ad occupare lo scranno più alto di Palazzo Chigi in condizioni che, all’estero, verrebbero senz’altro definite eccezionali. Ed eccezionali lo erano senz’altro, come dimostra la gravissima crisi di credibilità nella quale l’ultimo governo Berlusconi aveva fatto precipitare il nostro Paese, ma non quanto avrebbero dovuto. Perché, a ben guardare, in Italia la norma è sempre stata quella di evitare il più possibile il ricorso alle elezioni. I Parlamenti usciti dalle consultazioni popolari vengono imbalsamati e tenuti in vita, spesso a forza, così che su di essi possa esercitarsi l’azione delle abilissime mani dei sarti che, di volta in volta, si incaricano di cucire nuove alleanze e rammendarne di vecchie.

Il PD di Renzi non smentisce questa lettura. Spaventato, forse, dai sondaggi che con la nuova legge elettorale danno la vittoria sul filo di lana, il Sindaco di Firenze ha scelto di giocarsi l’osso del collo prendendo tutto e subito. Si avvia, in questo modo, ad essere appeso ad una maggioranza composta da parlamentari che, in buon numero, non vedono con simpatia né lui né le sue posizioni riformatrici, figli della segreteria Bersani ed abituati a guardare alla realtà politica ed economica con le categorie tipiche degli ex-DS, ex-PDS, ex-PCI. In aggiunta a ciò, risulta proterva al punto da essere fastidiosa l’insistenza sui due milioni di elettori che hanno scelto Matteo Renzi alle primarie celebrate alcune settimane fa. Quelle primarie eleggevano il Segretario del Partito Democratico, non il candidato alla Presidenza del Consiglio. E nessuno, all’interno della Direzione del Partito Democratico, dovrebbe dare anche solo lontanamente l’impressione di credere che il PD possa, in qualche modo, rappresentare il Paese nella sua interezza. Così, il voto della Direzione che ha di fatto sfiduciato Enrico Letta non può in alcun modo essere gabellato per una sfiducia effettiva, per la quale c’è e deve esserci il Parlamento.

Di fronte a tutto questo, il centro-destra deve ancora battere un colpo. Scelta Civica non riesce a venire a capo delle frizioni laceranti che la straziano fra la volontà di essere “l’ala destra” di uno schieramento riformista che abbia il suo perno nel PD renziano e quella di sondare la via del dialogo con il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano. Se la prima via ha il merito di consentire da subito una qualche possibilità di incidere sull’azione di governo, così da sterilizzare le spinte verso un nuovo aumento della spesa pubblica che certamente verranno tentate dall’ala ‘cuperliana’ del PD, la seconda presenta ampie possibilità di manovra sulla distanza medio-lunga. Il vero problema italiano è infatti legato all’assenza di un partito liberal-conservatore saldamente ancorato ai princìpi della destra europea. La perdurante capacità di attrazione del consenso dimostrata da Silvio Berlusconi continua tuttora ad impedire, in Italia, la nascita di qualcosa di simile al Partido Popular spagnolo o alla CSU bavarese. Un partito, cioè, liberista in economia e, in particolare, sulle politiche sul lavoro, atlantista in politica estera, cattolico e conservatore sul piano dei valori: una formazione capace di spingere sull’acceleratore per quel che concerne l’edificazione di una più forte Unione Europea ma anche, al tempo stesso, di spendere parole chiaramente di destra circa argomenti come immigrazione, sicurezza, temi legati a questioni etiche.

Un progetto siffatto andrebbe preso alla lontana. Richiederebbe ai vertici di Scelta Civica lo sforzo di coniugare la bontà delle proposte ‘tecniche’ con un’anima conservatrice, ed a quelli di Nuovo Centro Destra il coraggio di tagliare una volta per sempre il nodo gordiano rappresentato dal legame con Forza Italia e con il suo sempre più ingombrante fondatore, principale artefice e garante dell’efficacia pari allo zero dei milioni di consensi ripetutamente accordati dalla maggioranza degli italiani allo schieramento di centro-destra. Sopratutto, un progetto siffatto richiederebbe la preliminare rinuncia a rincorrere le alchimie democristiane di Pierferdinando Casini e di quelli come lui: il terzo polo non esiste e, si spera, non tornerà mai più. Una riforma elettorale proporzionale significherebbe la rovina per un Paese che più di ogni altro ha pagato il prezzo altissimo del consociativismo. Il bipolarismo può essere l’unico retaggio positivo e duraturo della cosiddetta Seconda Repubblica. Per far nascere la Terza, è necessario dotarsi di un partito di sinistra riformista e di uno di destra liberale. Dalle parti del PD, molto si sta muovendo. Non è ancora possibile fare previsioni sull’esito dei movimenti, ma sarebbe del pari impossibile sottovalutare la portata dei cambiamenti in corso d’opera. A destra, invece, il cantiere non è stato ancora nemmeno aperto.

 

Commenti (2)

  • rebecca trabalza
    rebecca trabalza
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    Letto l’articolo, un dubbio mi assale e mi tormenta das Gewissen. Sarà stata la tyche della commedia greca o l’ananche tragico ad aver sollecitato, spinto e incoraggiato il Doktor a scrivere l’articolo sul Rottamatore fiorentino il giorno di San Valentino? Nel giorno degli innamorati, il filosofo ha deciso di abbandonarsi a profusioni di lode a colui che ha fatto del verschrotten il suo slogan politico, il suo motto esistenziale e la sua filosofia, appunto. Abbandonato il lessico filosofeggiante, mistico e astruso, caratteristico dei primi scritti, von Vorlin ha volto la sua penna, o meglio il tasto della sua tastiera verso un lessico più giovanile e gioviale, testimoniato dall’anafora “mi piace”. D’altro canto, se Renzi vuole rottamare e non riciclare lo Schrott, quell’abominevole vecchiume che troneggia sulle comode sedie di Montecitorio, coerentemente der Philosoph è obbligato e costretto ad optare per uno slang teen, un gergo non lambiccato, non sofisticato per intercettare, alla Renzi, i gusti e le mode della classe media.
    Sorvolando sul fatto che non sempre cambiamento è sinonimo di miglioramento, ma può significare anche peggioramento, il lettore rimane, da una parte, sorpreso dal numero di volte (6) in cui von Vorlin ribadisce il suo piacere ( non d’annunziano) per il controverso astro nascente della sinistra italiana, dall’altra, ammaliato dall’espressione goliardica, di facebookiana memoria, con cui l’idealista esprime la sua infatuazione politica per l’ultimo ramo dell’albero genealogico PC, DS, PD, per l’erede della stirpe rossa che, a ben vedere, non è poi così scarlatto, vermiglio o porpora, ma neppure ricorda il corallo. Si può ammettere che è alquanto sbiadito, anzi scolorito. Probabilmente, quando Manzoni risciacquò i “Promessi Sposi” nell’Arno, Matteo Renzi stava sguazzando nei dintorni. Matteo occhio lungo Renzi ha capito una cosa: poiché gli Italiani sono arcistufi dell’educata spocchia d’alemiana e dell’infinito letargo lettiano, quale ingrediente migliore per la sua campagna di sbertucciare D’Alema, accontentare Cuperlo, intortare Letta e accaparrarsi i voti di B., dell’anomalia politica, votata non da untermenschen, ma da nobili e cortesi amanti della libertà e della vita dionisiaca e che, per questo, sono continuamente derisi da quei malriusciti, risentiti moralisti che non riescono o non vogliono godere dei favori di Dioniso e che per loro il perché qualcuno voti ancora B. rimane un mistero della fede? Se non sono una genia subumana, perché votano B.? Perché leccarsi le labbra di fronte a questi voti se su “Vanity Fair” il fu vecchio Matteo disse che nessuno capisce il successo del Cav, e che l’esperienza di Silvio è chiusa? Perché se pecunia non olet, non olezzano neanche i voti?
    Politicheggiare con lui se poi aveva ammesso che se non è condannato, B. è innocente. Quando è condannato, è condannato. Stop? Si lamenta se lo chiamano “Berlusconi di sinistra” e poi con lui complotta nel modo più sgomentevole. Matteo è nuovo, giovane. Come deve dirvelo? Non c’è persona da cui si senta più diverso da Silvio Berlusconi. Ovvio: il Cavaliere è vecchio! Ci tiene a sottolineare, però, che non giudica chi lo vota. Puoi essere onesto anche se voti e ti fai rappresentare da un disonesto. Perché no? Il protagonista del romanzo pirandelliano loda, elogia, encomia Frau Angela e tiene in altissima considerazione la Germania per poi fornicare nel modo più raccapricciante, rivoltante, ributtante e repellente con colui che ha insultato die Kanzlerin con un epiteto da postribolo.
    Ma, lasciatemi percorrere le tappe dell’ entrata di Renzi nel calderone della politica italiana.
    C’era una volta un adolescente paffuto, burroso e guanciuto che scoppiava non di ciccia, ma di salute, chierichetto, che sfoggiava un prorompente doppio mento, girovita in perenne lievitazione e occhialoni stile ispettore della più longeva fiction alemanna (già infatuato di Angela?) che aveva velleità da politico.
    Frequenta il ” liceo Dante ” , roccaforte borghese e destrorsa, ed è qui che mette in campo e manda avanti il nuovo, il prossimo, Matteo Renzi. Propone la “cantera”, ossia Matteo Renzi perché la non-rossa Democrazia Cristiana è il partito in cui crede. La sorte, però, gli gioca un butto scherzo: infatti viene battuto da un cero Bieber non pretino, non nerd. Traumatizzato, il fu vecchio Matteo si vendicherà qualche anno dopo quando il pirandelliano siederà sul trono da sindaco, Bieber sulla panca da Consigliere comunale. Già comincia ad alimentare il mito del genio incompreso: i fessi e mangiapreti fiorentini hanno preferito Bieber, che ha lo stesso cognome dello strimpellatore adolescente canadese. Non sanno che nomen omen? Iscrittosi all’università, il nerd liceale si tramuta in uno studente universitario ma non alla “Big bang theory”. Ti pare che il fu vecchio Matteo possa mettersi quegli orripilanti e fuori moda maglioni di lana ruvida e giocare ai videogames? Dalla DC passa a Romano Prodi ed è portaborse dell’effervescente e non statico Lapo Pistelli. Ormai è Matteo Renzi il Giovane. Scrive la tersi di laurea su Giorgio la Pira, sindaco di Firenze, democristiano e predicatore domenicano, un Renzi ante litteram.
    Caro Matteo, nessuno Le ha mai detto che il mondo non gira intorno a Lei? Non è un gran successo, ma neppure un fiasco. Ed è qui che Renzi il Giovane sfodera le sue abilità, la sua gran capacità di comunicazione e il suo marketing. Continua a proporre la sua immagine da genio incompreso: la commissione, infastidita da La Pira, dà a Matteo 109, invece che 110 e lode. Lui è Niccolò Machiavelli redivivo. Il genio della politica che fu amato dai dittatori e dai loro avversari, il filosofo che scrisse il manuale che ogni politico dovrebbe avere sul comodino ma che, tuttavia, de Medici non capì dicendo che al “Principe”, avrebbe preferito due cagnolini. Si può essere più fessi?
    Renzi il Giovane è sostituito da Renzi il Maturo che ha dovuto rottamare il secondo stadio, l’antitesi, dinamicamente: l’essere è statico. Va nei salotti di bellezza, rottama i nei, sfoggia una silhuette da far schiattare dall’invidia qualsiasi starletta, così imbellettato e truccato non viene riconosciuto neanche dalla madre. Il look non è più da nerd, da secchione: fa shopping da Scervino, da Ferragamo. Frequenta più l’estetista che la Chiesa, il che è tutto dire. Alle elezioni per il nuovo segretario del PD viene battuto (nuovamente) dal non giovane e alquanto statico Bersani. Tuttavia, Renzi il Maturo non molla. Lui è il genio incompreso. Aspetta pazientemente il passo falso di Bersani grazie al quale potrà insediarsi e politicheggiare. Succede un imprevisto quando re Giorgio II lo Stagionato nomina Enrico Letta il Nipote. Questo è uno shock per Renzi il Maturo che, al nome Enrico Letta, salta sulla sedia domandandosi:”Enrico Letta chi?” Il Maturo non riesce a capacitarsi di come questo essere così poco carismatico abbia potuto superarlo. Tuttavia, non demorde: sa quello che gli Italiani vogliono. Sfoggia un giubbotto alla Marlon Brando durante la trasmissione “Amici” amata dai giovani e non rossa, sfoderando il suo fascino piacione ma non piacente. Viene sommerso una valanga di critiche alle quali ribatte che lui è così, è puro, onesto, piacione, Cosa volete di più? Lui, onestamente, passa dalla DC senza inoltrarsi nella sinistra, senza incappare nella destra e alquanto rocambolescamente, si regge in piedi ponendosi nella roccaforte chiamata “Centro”, una posizione che gli permette di volgersi alla fuga ogniqualvolta debba scegliere una decisione colorata. Ma, sguizzando e sgusciando via come un’anguilla, non è un codardo, anzi dimostra la sua dinamicità, non è un voltagabbana cinico e opportunista: non è statico, ma elastico. E questo piace.
    Aspetta, aspetta, aspetta Renzi il Maturo non fa altro che questo da quando Enrico Letta il Nipote gli ha soffiato la poltroncina per cui tanto il Maturo sbavava. Renzi è forte come un leone e astuto come una volpe. Lui sa quali sono glia stratagemmi per prendere e mantenere il princip… ehm il governo. Lui è la reincarnazione di Niccolò; Infatti lancia una bambola voodoo Letta giù dall’Arno augurandogli la morte (politica).
    Lo stratagemma ha funzionato. Matteo Renzi Maturo viene finalmente incoronato Presidente del Consiglio e, da gran gentiluomo che è, fa una pernacchia a Letta il Nipote. Ormai tutti riconoscono il potere incontrastato di uno, nessuno, centomila Renzi: il Kaiser Georg II si inchina affidandogli il Governo, l’esercito prussiano e un potere illimitato. Il Parlamento è composto da tanti fantocci fannulloni di franca memoria. Renzi è unto dal Papa con l’olio e diventa Renzi il Machiavellico. Ora può finalmente avverare il suo sogno: allearsi con la Germania della Kanzlerin, di cui ha sempre ammirato il look post- grunge, strizzando l’occhio a qualche rosso sbiadito e non ai puri rossi con cresta e beigigli che volano nel pollaio. E questa dinamicità anguillesca piace. Quindi, quale giorno migliore si San Valentino per esprimere il Liebe per Matteo il Machiavellico dato che non è vero che San Valentino è il giorno di ogni cretino che pensa di essere amato ma invece è solo fregato?

    Con affetto e con la speranza che mi risponda

  • rebecca trabalza
    rebecca trabalza
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    Sottolineo che ho sbagliato: L’essere non è statico. Lo so perfettamente.
    Alla fine, intendevo “bargigli”.

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