di Riccardo Cavallo

untitledQuando le parole non corrispondono alla realtà delle cose. Questa in estrema sintesi è stata la sostanza del discorso programmatico, con cui Renzi ha chiesto, con modi da imbonitore televisivo che molto probabilmente riusciranno a convincere l’ignaro cittadino, il voto di fiducia al Senato. Un discorso pieno di retorica e privo di qualsiasi spessore politico, il cui punto più alto è stata la citazione di Gigliola Cinquetti: “non ho l’età”. Addirittura in alcuni passaggi sembra quasi che il premier voglia emulare Obama senza averne né la stoffa, né lo spessore politico-intellettuale. Tutt’al più gli si addicono i panni di un piccolo Berlusconi, privo però della sua pungente ironia. In altri ancora, si spinge quasi a scimmiottare Papa Francesco sbandierando delle “accorate” telefonate, in cui associa i protagonisti di uno spinoso caso diplomatico-giudiziario a livello internazionale come i marò all’immane tragedia personale di una donna sfigurata dall’acido dal suo ex compagno. E non mancano dei ridicoli tentativi atti a sottolineare “l’orgoglio dell’italianità”, tirando in ballo i soliti luoghi comuni della grandezza del nostro paese, nonché l’impegno eroico dei nostri insegnanti, a cui non vanno assegnate però maggiori risorse economiche ma semplicemente rispetto. Una virtù che evocata, accanto alla fiducia e alla capacità di saper ascoltare l’altro, sembra possa magicamente risolvere tutti i problemi che da tempo immemore affliggono la nostra penisola. Insomma, tutto fa gioco nel teatrino pseudo-sentimentalista renziano. Dietro le parole dunque il vuoto assoluto. Il resto un insieme di slogan, costruiti a tavolino, o mere dichiarazioni di principio senza nessun nesso con la realtà, nonostante la sua evocazione, attraverso il ricorso continuo agli aggettivi concreto e puntuale, utilizzati per qualificare qualsiasi futuro intervento (si tratti della scuola, della giustizia, del fisco). E gli atteggiamenti irrituali e scanzonati da uomo della strada sono parte integrante di un copione, più volte sperimentato, da cui viene fuori l’immagine di chi vuole, a tutti i costi, sottolineare la sua lontananza dalla casta, la stessa alla quale si è affidato per entrare nei meandri del potere. Ciò che colpisce è altresì il suo affidarsi alla retorica dei buoni sentimenti che serve per nascondere le vere sembianze del renzismo: l’ipocrisia e l’arroganza. La prima si evince dal suo falso elogio del lavoro svolto dal governo Letta, subito dopo smentito dallo snocciolare una serie di indicatori negativi riguardanti l’andamento dell’economia italiana, che lo stesso Renzi non ha esitato a definire non solo critici ma addirittura sintomatici di un vero e proprio tracollo. La seconda si arguisce dal presentare un programma audace ed ambizioso che prevede, nel giro di pochi mesi, oltre alle riforme elettorali e istituzionali, la riforma della pubblica amministrazione e del fisco, ma al tempo stesso irrealizzabile nel breve spazio temporale da lui indicato. Un esempio paradigmatico è stato proprio il discorso sulla giustizia che non è andato al di là di un fugace e alquanto scontato riferimento alla lunga durata dei processi, senza neanche sfiorare minimante i principali guasti della giustizia italiana: solo per citarne alcuni, il sovraffollamento carcerario e l’inefficacia della pena, la corruzione e le infiltrazioni mafiose. Anzi, in maniera paradossale Renzi sottolinea che bisogna eliminare tutti i lacci e lacciuoli che, da un lato, paralizzano l’attività edilizia e, dall’altro, intralciano l’attrazione di capitali dall’estero, dimenticando che quelli che qualifica con disprezzo ostacoli che “incatenano l’Italia” potrebbe, ad esempio, servire anche ad evitare il riciclaggio di denaro sporco. Forse la sola rivoluzione renziana è la realizzazione di un fisco amico del cittadino che recapita on line ai pensionati, noti internauti e assidui frequentatori di social network, le dichiarazioni dei redditi precompilate. In definitiva, il persistente richiamo alla concretezza fa da contraltare ai grandi sogni che, a ben vedere, rimangono confinati nel microcosmo territoriale di amministratore di una città, cui Renzi in maniera autoreferenziale, fa continuamente riferimento, citando la propria esperienza di Sindaco di Firenze, elevata a metodo universale di risoluzione dei problemi del complesso e variegato macrocosmo italiano.

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