di Aresh Vedaee

untitledIn un articolo online del “Corriere della Sera” del 16 Febbraio 2014, intitolato “La battaglia dei filosofi: «Un errore cancellare lo studio del pensiero»” che parla della eliminazione della filosofia, quale materia di studio, da corsi scolastici e universitari, si riportano le proteste in merito di tre celebri filosofi italiani: Giovanni Reale, Giulio Giorello e Gianni Vattimo.

Ebbene nel presente articolo vorrei suggerire qualche riflessione sull’immagine che della filosofia viene data dai pensatori in questione, senza toccare direttamente il problema della filosofia come materia di insegnamento. Prima di procedere ritengo però necessarie un paio di premesse: la prima è che non intendo puntualmente riferire né accertare quale filosofo ha detto cosa, con quale intenzione e in quale contesto (rimando all’articolo per questo), piuttosto mi servirò delle rispettive citazioni per caratterizzare lo spirito che le accumuna – qualifichiamolo “umanistico” secondo un suggerimento dello stesso articolista del Corriere – che trovo non solo molto poco convincente ma anche molto poco “filosofico” (i chiarimenti a breve). La seconda premessa è che parlo da persona che ha studiato filosofia al liceo e si è laureata in filosofia all’università, ma che non fa di mestiere l’insegnante di filosofia né al liceo né all’università, confessione che faccio rimettendo poi ai lettori il giudizio sul credito e su ogni eventuale conflitto di interessi che mi riguarda.

Passiamo ora al punto, le accuse diffuse secondo cui “la filosofia si occupa di problemi astratti che non hanno a che fare con la vita, che appesantiscono la mente” sarebbero, secondo i nostri filosofi, le principali responsabili del discredito in cui è stato gettato l’insegnamento della filosofia. Accuse cui si sarebbe tentati di obiettare subito: “Ma perché il concetto matematico di ‘spazio vettoriale’ è forse più concreto? Ha a che fare con la vita? E calcolare un sistema di equazioni di secondo grado alleggerisce forse la mente? In che senso?”, del tutto persuasi che l’astrattezza della matematica non sia un motivo sufficiente per rimuoverla dai programmi scolastici.

Invece le repliche avanzate dai filosofi “umanisti”, animate dalla più assoluta imparzialità (“non per difendere la categoria”, ci mancherebbe), sono di ben altro tenore, tanto nel respingere le accuse quanto nell’individuare i responsabili della loro diffusione. Innanzitutto le accuse mancano il bersaglio perché, si argomenta, la filosofia sarebbe il “respiro della mente” mica roba da “canzonette”, mentre “la libertà filsofica” ci proteggerebbe dalla normalizzazione del pensiero infatti come “Hanna Arendt diceva”, come “Popper diceva”, come “Husserl diceva” eccetera eccetera. Mentre le responsabilità della diffusione di simili pregiudizi sarebbero da attribuire a quegli esponenti della “cappa burocratica” che ci vorrebbero tutti “dei mestieranti mediocri”. E negli ingenui sostenitori del pensiero tecnico-scientifico: infatti la scienza non solo non può risolvere tutti i problemi ma non può nemmeno vantare la bellezza della filosofia, capace di “contenere sistemi opposti, perché le nostre idee non sono definitive”, e che malgrado cio’ permetterebbe “una messa in ordine delle idee sulla vita e su noi stessi”; riguardo alla tecnica poi va ribadito che c’è una formazione “tanto più significativa quanto più slegata all’uso delle macchine”, soprattutto quando si tratta di valutare prestazioni umane: infatti quali benefici potrà mai portare ad esempio la docimologia, “la scienza di come si danno i voti”, rispetto allo studio del pensiero di un Giovanni Gentile?

A mio avviso, queste repliche soffrono di tre pregiudizi. Vediamoli brevemente:

Storicismo: quando si parla di “filosofia” come materia di insegnamento nei licei si parla di “storia della filosofia”. La storia di un dato settore della cultura non va confuso con questo settore: la storia dell’arte, della letteratura, della filosofia, delle scienze naturali non è né arte, né letteratura, né filosofia, né scienza naturale come la storia del nuoto non è un allenamento di nuoto. Siccome si parla di “storia della filosofia”, l’opportunità del suo insegnamento dovrebbe essere valutata in rapporto ad altri analoghi sotto-domini dell’indagine storica, come “storia della letteratura” e “storia dell’arte”. Ora anche ammesso che la storia della filosofia possa avere intuitivamente una qualche utilità in un corso universitario di filosofia la sua presenza nei programmi scolastici al posto di storia dell’economia, del diritto, della scienza e della tecnologia, o anche solo di storia della pedagogia, se si pensa a un orientamento di tipo magistrale, è tutt’altro che evidente. Non solo, sarebbe da mettere in questione nei suoi programmi, utilità ed efficacia pedagogica persino l’insegnamento della storia tout court, visto che non pare poi così improbabile imbattersi in un quiz televisivo in cui la maggioranza dei partecipanti, presumibilmente muniti di diploma di maturità, abbia difficoltà addirittura a collocare cronologicamente la nomina di Adolf Hitler al cancelleriato tedesco rispetto alla fine della Seconda Guerra Mondiale (leggersi in merito “la bustina” di Umberto Eco sull’Espresso dal titolo: “Quanto è importante la memoria per non vivere in un mondo appiattito” dell’8 Gennaio 2014).

Umanesimo: si può concedere che alla filosofia o alla storia della filosofia si possa, o persino si debba, ricorrere per emancipare l’umanità tutta dalle tenebre dell’errore, dell’ignoranza e del fanatismo, ma esaltare questa funzione, senza per altro chiarirne la natura e le condizioni di fattibilità, quale fosse una missione intrinseca alla filosofia, stride non poco con l’inquietante constatazione – che proprio la storia della filosofia dovrebbe rammentarci – di quanta filosofia e quanti filosofi abbiano nutrito idealmente e/o sostenuto attivamente ideologie teocratiche e assolutiste nel passato, nonché ideologie totalitarie di destra e di sinistra in età moderna (si pensi a Giovanni Gentile e a Karl Marx).

Anti-positivismo: le denunce appassionate sui limiti della scienza, della tecnica e della burocrazia, accompagnate da allusioni liriche ad un ordine di felicità che quelle non solo non ci aiuterebbero a conseguire ma che addirittura ostruirebbero se non fosse per l’intervento salvifico della filosofia (o della storia della filosofia?), hanno il doppio svantaggio di attirarsi tutte le antipatie di scienziati, tecnici e politici (cioè del capitale umano indispensabile allo sviluppo materiale di una società), senza per altro lasciare intendere quale altra forma di arricchimento spirituale la filosofia abbia da offrire che non sia già soddisfatta da religione, morale, arte, storia e letteratura. Sembra cioè che si voglia promuovere la filosofia esaltandone l’inutilità materiale e la superfluità culturale. Un controsenso.

A quanto detto si aggiunge poi un’aggravante. Servirsi di una dubbia auto-autocertificazione di imparzialità per una “captatio benevolentiae”, di una lista di “ipse dixit” quale gesto di ribellione alla normalizzazione del pensiero, di frasi ad effetto per contrapporre la filosofia alle “canzonette”, di annunci enfatici sulla missione emancipatrice della filosofia sorvolando sul suo impiego in chiave anti-umanistica, perpetrando l'”equivocatio” tra “filosofia” e “storia della filosofia” e fornendo poche indicazioni ma ben confuse nell’affrontare un problema goffamente formulato (o, temo, frainteso dai filosofi in questione) oltre che inefficace, rivela un abuso di strumenti retorici tipici della fascinazione letteraria o della propaganda politico-religiosa la cui azione mistificatrice dovrebbe essere decisamente prevenuta o contrastata proprio dai filosofi. Perché? Perché la tradizione filosofica occidentale, inaugurata dai “Dialoghi” di Platone, nasce proprio in funzione di contrasto alla distorsione del pensiero e del linguaggio provocato dall’uso corrente, anzi “democratico”, di argomentazioni mistificatorie tipiche di retori e professionisti della parola, quali furono i Sofisti della Gracia Classica, a cui Socrate, maestro di Platone e protagonista dei suoi “Dialoghi”, si contrappose eroicamente fino alla morte.

In conclusione, pur restando ancora in debito di una definizione soddisfacente di “filosofia” che ne chiarisca obiettivi, metodi e limiti, ribadisco che il ricorso a dei sofismi in risposta a un problema già malposto o frainteso per difendere la filosofia mi pare un tentativo vano e piuttosto maldestro. Anzi, se fatto da dei filosofi, si tratta di un clamoroso autogoal.

 

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