Igor Pellicciari*
Le azioni di Mosca nella crisi ucraina sono molto più complesse da spiegare di quanto dicano molte delle analisi stereotipate nei media ma anche negli ambiti accademici occidentali.
La narrativa predominante negli USA ed in Europa è che al Kremlino c’è un uomo solo al comando – che non può che essere uno Zar, visto che siamo in Russia – che fa e disfa a piacimento le politiche interne ed estere del paese, ostaggio dei suoi umori, delle sue ambizioni e paure, in un tratto psicologico puramente machbetiano.
Nonostante tutto, questa narrativa resiste imperterrita, in parte perchè essa è immediata e facile da assimilare per quanti non hanno tempo e dedizione per calarsi nella recente labirintica storia politica russa – ed in parte perchè essa è molto più funzionale nella nuova Guerra Fredda a perpetuare quella radicalizzazione delle posizioni nella classica retorica del “noi” contro “loro”.
Mosca ha avuto la sua dose di responsabilità nella genesi della crisi ucraina – ma nel complesso la nostra tesi è che negli ultimi mesi la sua sia stata una posizione di gioco in difesa rispetto ad uno scenario che chiaramente non aveva previsto nei suoi sviluppi e che l’ha colta di sorpresa.
Il fatto di avere riacquistato ex-post la Crimea con un percorso così simbolico ed una esposizione mediatica internazionale non può fare dimenticare che il bilancio complessivo politico è in negativo per il Kremlino. Ovvero, la Ucraina – paese strategico ed importante che fino a pochi mesi fa poteva essere considerato sotto diretta influenza di Mosca – è andata persa e questo è un colpo durissimo per la Russia, arrivato ben prima della campagna redentrice di Crimea.
Il principale errore di Mosca risiede nella incapacità – in Ucraina come in gran parte dei paesi confinanti dell’ex URSS – di stimolare nell’ultimo decennio un ricambio e un ammodernamento tra le élites (filo)russe nei paesi tradizionalmente vicini al Kremlino.
Che il presidente deposto Yanukovich ed il suo gruppo fossero incapaci, scarsamente affidabili, corrotti era noto e visto con preoccupazione a Mosca già da almeno 10 anni, da quando – in occasione della prima Rivoluzione Arancione – l’opposizione era già riuscita una prima volta a prendersi il controllo del paese, in quel caso con un percorso politico istituzionale legittimo e legale ad opera del tandem Yushenko e Timoshenko.
La resurrezione politica ed il secondo ritorno al potere di Yanukovich in Ucraina è poi avvenuto più per merito del sostegno russo e degli scandali che hanno travolto Yushenko e Timoshenko, che per le sue modeste capacità di leader dell’opposizione.
È segno di una passività politica di Mosca il fatto che nonostante ne avesse percepito da tempo i limiti – essa abbia lasciato in gioco tutto questo tempo le stesse vecchie élites (filo) russe nei paesi satellite, spesso senza nemmeno aver fatto crescere al loro interno delle decenti seconde linee pronte a prendere la guida all’occorrenza.
Questa staticità è ancora più paradossale perchè coincide con un decennio in cui invece le élites, la società, la situazione economica a Mosca si sono evolute molto più velocemente di quanto non sia avvenuto nei paesi satellite.
Se sui diritti politici in Russia resta ancora molto da fare – su quelli sociali, economici e finanche civili Mosca ha fatto passi da gigante in questi anni – con in primis una redistribuzione del reddito tra le fasce più basse.
Il paese ha intrapreso una serie di riforme liberali dello Stato di diritto e dell’economia (che, si badi, non necessariamente vogliono dire riforme democratiche partecipative) che hanno portato all’affermarsi di una classe media economica soprattutto nei centri urbani, che politicamente esprime un orientamento in gran parte filo-governativo.
Forte innalzamento dei salari minimi, aumento della efficienza della pubblica amministrazione a suon di finanziamenti e sovvenzioni statali, istituzione di un sistema tributario meno discrezionale e più regolamentato e di un sistema giudiziario più trasparente e veloce rispetto al passato (per quanto anche qui la strada da percorrere è ancora lunga) – sono un pacchetto di riforme rimaste per converso sconosciute non solo agli ucraini, ma anche alle masse georgiane, moldave, bielorusse, etc.
E non poteva essere diversamente, con le élites di questi paesi rimaste più simili ai leader post sovietici degli anni ‘90, ovvero corrotte, arroganti, politicamente incapaci ed inesperte, familistiche, arbitrarie, distaccate dai bisogni della società, noncuranti dei rapporto con un elettorato di cui non avevano bisogno per restare al potere perchè costituzionalmente irrilevante.
Chi si è recato a Kiev nelle settimane precedenti la degenerazione in senso violento della crisi ha visto una popolazione cronicamente frustrata e stremata da un sistema di governo votato alla corruzione – che è stato una caratteristica trasversale in Ucraina di tutti i governi avvicendatisi negli scorsi due decenni, senza esclusioni.
L’europeismo ideologico si è innestato come aggravante contingente delle masse in protesta al Maidan su una crisi di legittimità del ceto politico ucraino che in realtà partiva da lontano. E ha permesso loro – pur estremamente divise e senza una leadership consolidata – di trovare un minimo comune denominatore.
Pensare che a Kiev l’opposizione del 2013 sia nata solo dalla mancata firma di un accordo (peraltro debole e di routine) di libero scambio con una EU oramai ridotta a pura proiezione burocratica del disegno dei suoi padre fondatori, è semplicemente una forzatura. E il tempo lo confermerà.
In questa stanza ucraina già infiammabile di suo alcune diplomazie occidentali non hanno poi esitato questa volta a giocare con il fuoco e hanno visto la ghiotta opportunità di fare emergere uno scenario di crisi alle porte di Mosca, indebolendo un competitor come la Russia che, dalla vittoria nella “Guerra degli Aiuti” in Ucraina, alla mediazione in Siria, all’affaire Datagate con l’asilo politico a Snowden, fino alla brillante operazione dei giochi olimpici di Sochi, aveva appena passato uno degli anni di maggiori successi politico diplomatici a livello internazionale.
Un anno simboleggiato al meglio dalla lettera di Putin al NYT sulla crisi siriana del settembre 2013, in cui – fatto mai accaduto e quindi fastidiosissimo per gli USA – il presidente russo si appellava direttamente al popolo americano citando con un certo successo retorico quei valori di cui gli americani si ritengono a torto o a ragione campioni assoluti a livello internazionale.
A Ucraina persa – e questo, ripeto, è stato un colpo durissimo per il Kremlino – la leadership russa a nostro avviso ha cercato di salvare il salvabile per tranquillizzare l’opinione pubblica russa sul fatto che a) Putin non è un leader debole (un peccato che i Russi storicamente non perdonano al proprio capo) e che b) Mosca reagirà subito se altri soggetti della Federazione russa volessero staccarsi (un incubo sempre presente in un paese che soffre soprattutto ad Est di gigantismo geo-politico).
La Crimea era in questo contesto una “vittoria facile” (ottenuta peraltro senza sparare un colpo, dato che la penisola da tempo era sotto controllo russo), che permetteva di far passare questo messaggio in maniera eclatante, forzando necessariamente i toni.
Adesso che l’obiettivo è raggiunto, trovare un accordo con il Kremlino sarà paradossalmente più facile – o almeno questo è quello che cercherà di fare dietro le quinte la leadership russa con la comunità internazionale, giocando piuttosto la carta di una riforma in senso costituzionale e confederale dell’Ucraina (comunque senza la Crimea) per garantire i diritti delle regioni ucraine orientali a forte componente di popolazione russa.
La comunità internazionale dal canto suo dovrà muoversi in forma più multilaterale e meno preda delle tentazioni di alzare i toni da parte dei singoli interessi nazionali di alcuni dei suoi stati membri.
Forse così riuscirà a fare un’analisi meno retorica e più complessiva degli avvenimenti degli ultimi anni in Ucraina (e non solo di quelli delle ultime settimane in Crimea) e smettere di vestire i panni del piromane per quelli che più le competono del pompiere.
* Università del Salento
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