di Fabio Massimo Nicosia
È un luogo comune della pubblicistica libertarian e anarco-capitalista che, in una società senza Stato, l’affidamento di tutte le funzioni al mercato farebbe venir meno la dimensione politica. Più specificamente, quella pubblicistica contrappone i “mezzi economici” ai “mezzi politici”, intendendo, con quest’ultima espressione, l’esercizio della coercizione, contrapposta all’affidamento al consenso, che si esprime negli atti e nei comportamenti di mercato.
Si tratta di una lettura miope e unilaterale del concetto di “politica”, che è arbitrario associare alla sola dimensione della statualità.
Invero, “politica”, di per sé, significa anche solo discussione, tentativo di persuasione nei confronti degli altri per condurli a condividere le nostre opinioni, e non consiste necessariamente nel tentativo di esercitare la coercizione nei confronti degli altri attraverso l’adozione di “decisioni collettive”, destinate a imporsi unilateralmente sui dissenzienti, nonostante che molti politologi, specie quelli della scuola di “public choice”, considerano già oggi la politica alla stregua di un mercato concorrenziale.
È cioè immaginabile una “politica” anche in una società senza Stato, una politica di “mercato”, in senso più o meno metaforico, nella quale le minoranze sono abilitate ad agire direttamente, non essendo obbligate a obbedire a vincoli imposti dalla maggioranza, e ciò vale per ciascun singolo individuo, minoranza “sovrana” per eccellenza.
Insomma, non possiamo escludere che anche in una società senza Stato, libertaria e di “mercato”, sorgano un “partito liberale”, un “partito socialista”, etc. (o un “partito anarchico” che si opponga agli eventuali tentativi di ripristinare lo Stato), che cerchino di persuadere gli altri con riferimento alle condotte da adottare su interessi comuni, “beni pubblici”, sui quali possano sussistere opinioni diverse, o con riferimento a indicazione sugli stili di vita, o altro.
Ad esempio, un partito o una confessione religiosa potranno essere contrarie, per sé, alle nozze gay, senza che ciò possa condurre qualunque ipotetica maggioranza a imporre divieti al riguardo agli appartenenti ad altri partiti o confessioni che siano favorevoli. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito.
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