di Chiara Moroni

Non per profittoAppuntamento elettorale dopo appuntamento elettorale aumenta il numero di astenuti al voto e, contemporaneamente, diminuisce il livello generale di attenzione a questo fenomeno che è ormai tutt’altro che un dato fisiologico proprio dei sistemi democratici contemporanei.

Questa emorragia costante della partecipazione è molto più di un trascurabile dato politico contingente. Essa rappresenta un indicatore esplicito del basso livello qualitativo della nostra democrazia.

Un momento così critico è frutto non solo del recente allentamento dei cittadini dalla politica e dalle istituzioni, ma anche di una sempre più scarsa attenzione alle forme di educazione e socializzazione civile e politica. In questo quadro, deve tornare al centro dell’interesse generale come delle politiche dell’educazione, il tema della formazione intellettuale e culturale dei cittadini del futuro. La politica, le istituzione e in generale la società hanno la grande responsabilità di costruire nelle giovani generazioni una vera autonomia critica di pensiero e di valutazione della realtà politica, istituzionale e sociale. Queste capacità si riflettono in modo virtuoso sulla qualità del sistema democratico in cui eserciteranno consapevolmente i propri diritti di cittadinanza.

Alla luce di queste considerazioni andrebbe rivalutato un testo di qualche anno fa, ma ancora oggi attualissimo, che Marha C. Nussbaum ha dedicato alla valutazione dei sistemi di formazione della personalità civile dei giovani: Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, il Mulino, 2011.

La Nussbaum da anni si occupa di ricercare nelle forme educative e nei modelli di istruzione le componenti che più possono aiutare le singole democrazie al proprio interno e le questioni mondiali più generali a realizzarsi nel modo più costruttivo e positivo possibile.

Marha Nussbaum collega la tendenza generale all’impoverimento della partecipazione consapevole alla vita democratica e le oggettive difficoltà ad affrontare le complesse questioni globali – come l’incontro interculturale e interreligioso, la povertà diffusa e le difficoltà di convivenza pacifica – con il modello educativo che sempre più diffusamente viene adottato dalle democrazie occidentali e non, quello della crescita economica.

La spinta al profitto spinge molti leader politici democratici a ritenere che scienza e tecnologia siano fondamentali per il futuro del proprio Paese. Se da un lato è ovvio che una buona istruzione tecnico-scentifica sia indispensabile, è altrettanto importante non trascurare in nome di una loro inutile prevalenza, altre capacità, essenziali per la salute di qualsiasi democrazia e per la creazione di una “cultura mondiale in grado di affrontare con competenza i più urgenti problemi del pianeta” (p. 26).

Tali capacità, che a ragione la Nussbaum associa agli studi umanistici e artistici, sono: “la capacità di pensare criticamente; la capacità di trascendere i localismi e di affrontare i problemi mondiali come ‘cittadini del mondo’; e, infine, la capacità di raffigurarsi simpateticamente la categoria dell’altro” (p. 26).

Lo sviluppo negli individui di un pensiero critico, che affonda le sue radici in Socrate, è fondamentale per la preparazione di cittadini bene informati, liberi e responsabili è centrale per ogni sistema democratico nel quale i giovani devono essere abituati a partecipare ad una forma di governo in cui le persone si informano sulle questioni fondamentali che saranno oggetto del loro voto e della loro azione pubblica e in certa misura anche privata.

La base di un approccio educativo e formativo di questo genere sta nel rendere il bambino partecipe in modo attivo alla ricerca e alla “problematizzazione”. Questo modello, che la Nussbaum suggerisce come l’unico possibile nelle democrazie del futuro, è legato a una sperimentata tradizione filosofica occidentale di teoria pedagogica – che va da Jean-Jacques Rosseau nel XVIII secolo a John Dewey nel XX – e comprende, tra gli altri, eminenti pedagogisti come Maria Monetssori in Italia e Bronson Alcott negli Stati Uniti. “Secondo questa tradizione la formazione non consiste nell’assimilazione passiva di fatti e tradizioni culturali, bensì nell’abituare la mente a diventare attiva, competente e responsabilmente critica verso la complessità del mondo” (p.35).

La natura delle nostre democrazie è messa in pericolo, da un lato dalla percezione della crescita economica come unico obiettivo dei sistemi istituzionali e sociali, dall’altro, dall’avversione nei confronti del pensiero autonomo e della capacità di argomentazione che naturalmente sviluppano le democrazie viziate da retorica, conformismo e potere autoreferenziale.

Le materie umanistiche, sia per contenuto sia per modalità pedagogiche, stimolano gli studenti a pensare e ragionare autonomamente, anziché conformarsi all’autorità e alla tradizione e quindi, come cittadini di domani, a non basare il proprio consenso sulla fama o sul prestigio dell’oratore e del politico, né su ciò che la cultura dei pari impone. Il metodo socratico implica che non conti affatto lo status dell’oratore ma solo la qualità del suo ragionamento.

Quello di cui hanno bisogno le democrazie per dimostrare di essere sane e compiute, e il mondo intero per riuscire a gestire in senso positivo differenze e alterità, è la diffusione e il radicamento di quella che la Nussbaum chiama la “cultura del dissenso individuale”: “incoraggiando la presa di posizione attiva di ciascuno, promuoviamo anche la cultura della responsabilità” (p. 71). Quando le persone si sentono responsabile delle proprie idee – perché non sono state passivamente assorbite ma costituiscono il frutto di un’autonoma, libera e consapevole argomentazione – allora tenderanno a essere più responsabili anche delle proprie azioni e ad accettare e rispettare l’altrettanto libero ragionamento di coloro che vengono percepiti come diversi.

Naturalmente non si tratta di definire la supremazia degli studi umanistici su quelli scientifici, dato che il pensiero scientifico è basato per sua natura sulle capacità critiche, sull’analisi logica e sull’immaginazione. Al contrario si nega l’utilità di ridurre la formazione intellettuale e umana degli individui all’assorbimento di un sapere tecnico-pratico, troppo finalizzato al profitto a breve termine.

In definitiva, la Nussbaum ci dice che mentre in mondo si fa più complesso e differenziato, gli strumenti per comprenderlo si fanno più poveri e rudimentali; e mentre la stessa innovazione richiede menti flessibili e creative, i modelli educativi tendono a limitare la formazione su poche nozioni stereotipate.

 

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