di Danilo Breschi
Sarajevo e l’Europa. Sarajevo 1914, Sarajevo 1992. 1914: un’Europa dichiaratamente divisa; 1992: un’Europa falsamente unita, o in via di unificazione. Almeno l’intera parte centro-occidentale. A Sarajevo due volte l’Europa si è suicidata.
Nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992 iniziò il bombardamento della biblioteca di Sarajevo, città già sotto un terribile assedio iniziato il 5 aprile precedente e che si sarebbe protratto fino al 29 febbraio del 1996. Il più lungo assedio nella storia bellica moderna, ben 1495 giorni. Più lungo dell’assedio di Leningrado (8 settembre 1941-18 gennaio 1944). Si stima che a Sarajevo, dopo quasi quattro anni, le vittime siano state più di 12.000, i feriti oltre 50.000, l’85% dei quali tra i civili, moltissime donne e bambini. Per mesi e mesi e mesi, niente acqua, niente luce, niente gas, niente scuola, niente di niente. Solo paura e gelo, soprattutto nei lunghi inverni riscaldati dai piccoli fuochi alimentati dai mobili di casa e dagli alberi dei parchi cittadini, trasformati in cimiteri improvvisati, al pari dei campi di calcio. Interminabili giornate rintanati in casa o nelle cantine, con l’incubo incombente di essere colpiti dai cecchini o dalle schegge di qualche granata ogni volta che ci si azzardava a raggiungere il mercato per qualche magro approvvigionamento. Ciò che rimase di Sarajevo alla fine fu un ammasso di macerie.
La Viječnica, questo il nome della storica biblioteca, simbolo della ricchezza culturale e dell’indole pacifica e multietnica della città, fu distrutta dalle granate incendiarie dell’esercito serbo-bosniaco in quella fatidica notte di fine agosto, e migliaia di libri bruciarono nel rogo. L’attacco su quella zona durò per tre intere giornate. Furono molte le persone, dai vigili del fuoco ai bibliotecari ai comuni cittadini, che cercarono di salvare almeno in parte il patrimonio custodito nella biblioteca. Una buona parte dell’edificio andò distrutto. Alla fine soltanto un decimo dei libri riuscì a sfuggire al rogo e al crollo. Nel tentativo di salvare quei libri, una giovane bibliotecaria, Aida Buturović, perse la vita a 32 anni, colpita da una scheggia di granata.
Dopo 18 anni di lavori di ricostruzione e ristrutturazione, tra ostacoli organizzativi, burocratico-finanziari e scrupoli filologici, lo scorso 9 maggio si è avuta una prima inaugurazione della Vijećnica restaurata, a cui il 28 giugno, in occasione del centenario dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, casus belli della “Grande Guerra”, è seguita l’apertura al pubblico, con tanto di cerimonia ufficiale. Ma le ferite bruciano ancora, e sono ben visibili sui volti e negli occhi di molti abitanti di Sarajevo superstiti di quegli anni di atrocità inaudite. La riapertura di questa importante biblioteca nazionale segna il tentativo di ripristinare l’originaria identità culturale della città, in cui serbi, croati e bosniaci musulmani convivevano pacificamente senza prestare ossessiva e aggressiva attenzione alle rispettive radici etniche e alle differenti pratiche religiose.
Non entro qui nel merito delle responsabilità dell’Onu e dei gravissimi errori commessi in quegli anni dall’UNPROFOR, la forza di protezione delle Nazioni Unite attiva nei Balcani dal febbraio 1992 al marzo 1995. Anche l’Onu ha probabilmente commesso suicidio in quell’occasione, tra Sarajevo e, in particolare, Srebenica. Da allora, forse, data il suo declino, che persiste tutt’oggi. Ma ventidue anni dopo il suo rogo, l’inaugurazione della Vijećnica ci dà modo di ricordare quanto soprattutto l’Europa, intesa come Unione politica e civile, sia stata vile e inconsistente e quanto la sua identità non sia ancora sorta, ma si sia anzi smarrita drammaticamente dopo il 1992 nel lasciare che venisse assediata, stuprata e sfregiata un’altra identità, quella di Sarajevo assieme a molte altre città e alle rispettive popolazioni. A dire il vero, tutto ebbe inizio addirittura un anno prima con l’assedio della città di Vukovar e lo scoppio della guerra serbo-croata. Ma il 1992, inizio della guerra croato-musulmana in Bosnia ed Erzegovina, è una data ancor più significativa, evocativa di tristi comparazioni. 1992: esattamente quello stesso anno che si era aperto, il 7 febbraio, con la firma del Trattato di Maastricht che sanciva il passaggio all’Unione Europea fondata sui famosi “tre pilastri” (Comunità europea, Politica estera e sicurezza comune, Affari interni e giustizia… sic!).
Si comparino questi due eventi consumatisi in quello stesso anno e si capirà cosa ancora manchi all’Unione Europea, perché essa non abbia vera unità e forza nelle questioni internazionali, perché non abbia un’anima. E capirà quando, dove e come la perse.
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