di Eleonora Bacchi

imagesCA8O1LEEIl 13 luglio scorso, l’esplosione di un ordigno artigianale ha causato la morte di sette membri delle forze di sicurezza algerine. L’attacco è stato portato avanti nella regione di Sidi Bel Abbes, nell’Algeria occidentale, lungo l’asse stradale Algeri-Rabat.

L’episodio segna il secondo più cruento attacco avvenuto nel 2014 ai danni delle forze di sicurezza algerine, dopo quello del 19 Aprile in cui un distaccamento del ANP (Armata Nazionale Popolare, l’esercito algerino), di ritorno da una missione di monitoraggio del regolare svolgimento delle elezioni presidenziali, è stato attaccato da militanti radicali nei pressi della cittadina di Iboudrarène, nella provincia di Tizi Ouzou. In tale occasione erano stati undici i militari rimasti uccisi a seguito degli scontri.

Secondo l’intelligence di Algeri, entrambi gli attacchi sarebbero riconducibili alla lotta in corso tra le forze di sicurezza algerine e la militanza radicale salafita conosciuta come AQMI (al-Qaeda nel Maghreb Islamico), attiva in diverse zone del Paese.

L’origine di questo movimento risale alla decennale guerra civile algerina degli anni ’90, durante la quale sono emersi numerosi movimenti di ribellione al Governo centrale, tra i quali il Gruppo Islamico Armato (GIA), che ha ricoperto un ruolo di primaria importanza nella lotta armata.

A questo si è contrapposto nel 1998 un nuovo movimento: il Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento (GSPC). I militanti del GSPC erano precedentemente componenti del GIA che hanno deciso di distaccarsi da questo, sia a causa della contrarietà alle pratiche di eccessiva violenza del movimento originario nei confronti dei civili, sia per stabilire una propria leadership all’interno del rimunerativo panorama dei traffici clandestini di droga e armi, principale fonte di finanziamento del gruppo.

Negli anni 2000, il progressivo indebolimento della classe dirigente algerina, sotto pressione a causa di accuse di corruzione, brogli elettorali e aumento della disoccupazione, è stato accompagnato da un controllo sempre più serrato delle varie forme di dissidenza e da uno stretto giro di vite contro le varie militanze radicali e bande di criminali locali. Nel 2007, pertanto, il GSPC si è affiliato ad al-Qaeda adottando formalmente il nome al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), con lo scopo dichiarato di acquisire maggiore visibilità, attirare un maggior numero di reclute, espandere il proprio campo di azione anche al di fuori dell’Algeria e, soprattutto, per beneficiare dei sostanziosi fondi di al-Qaeda.

Nei primi mesi del 2012, Mokhtar Belmokhtar, capo di uno dei tre distretti operativi di AQMI, l’Emirato del Sahara, ha dichiarato di volersi distaccare da questo per fondare un suo proprio movimento: il Battaglione di Coloro che Firmano con il Sangue. Ad oggi, anche questo ultimo movimento è confluito assieme ad un altro distaccamento di AQMI, il Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO), nel nuovo gruppo denominato al-Mourabitoune (gli Almoravidi). Ciò che ha spinto questi miliziani alla separazione da AQMI risulta essere, come per il caso del GIA/GSPC, un contrasto interno in merito alla leadership del movimento e al controllo delle fonti di finanziamento.

Da ricordare che l’inasprimento iniziale della relazione tra il capo di AQMI, Abdelmalek Droukdel, e Belmokhtar è avvenuto in seguito ad un attacco contro gli uffici delle Nazioni Unite ad Algeri nel dicembre 2007 deciso da Droukdel e al quale Belmokhtar si era fermamente opposto, per le conseguenze dannose che ciò avrebbe causato nei confronti del movimento. Infatti, come auspicato da Belmokhtar, le ritorsioni contro il movimento radicale sono state tali da costringere la leadership di AQMI a rifugiarsi nelle montagne della Cabilia, restando isolata e più esposta alle azioni delle Forze Armate di Algeri. Al contrario, la milizia di Belmokhtar ha continuato ad accrescere il proprio potere, soprattutto grazie ai traffici illeciti di droga, sigarette e armi di cui risulta essere il gruppo con il maggiore potere di controllo di tutta l’area.

L’attacco del 19 Aprile, perciò, è stato realizzato dall’indebolita sezione di AQMI stanziata nella regione berbera della Cabilia, quale ulteriore tentativo di riaffermare una presenza che sta perdendo gradualmente il proprio potere. Analogamente, quello del 13 luglio è da considerarsi come il tentativo di rendere più difficile e rischioso per le forze di sicurezza algerine il controllo di una delle principali arterie stradali che fuoriescono dal Paese.

Ciò accade in un momento particolarmente impegnativo di transizione politica per il paese algerino. Sempre ad aprile, infatti, ha avuto luogo la rielezione per un quarto mandato del Presidente Abdelaziz Bouteflika, appartenente al partito unico del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e in carica dal 1999 senza soluzione di continuità.

L’elezione di Bouteflika a Presidente dell’Algeria nel 1999 è stata benefica per i primi anni di mandato in quanto, grazie alla sua poltica anti-terroristica e di riconciliazione tra le fazioni in lotta, ha consentito la fine della guerra civile che stava dilaniando il paese.

Nonostante questo la sua politica interna è stata segnata da corruzione, vasta limitazione della libertà di stampa e brogli elettorali, una delle accuse maggiori a Bouteflika sin dal primo mandato. L’attuale rielezione è stata anche oggetto di numerose critiche a causa della malattia – un cancro allo stomaco – che ne ha causato l’assenza da circa un anno dalla scena politica e che gli ha impedito di partecipare personalmente alla campagna elettorale. Per tali motivi ad oggi sembra incerta la stabilità della quindicennale presidenza di Bouteflika e la sua rielezione non può che apparire temporanea e usata per rimadare solo momentaneamente lo scontro tra le fazioni politiche in lotta per il controllo politico.

Nonostante queste critiche al Governo in carica, il fronte islamista non sembra essere in grado di assumere maggiore rilevanza all’interno dell’Algeria, sebbene costituisca sempre una minaccia plausibile di azioni sovversive di varia natura. Ciò che dunque desta preoccupazione è l’eventuale aumento delle problematiche interne all’Algeria, soprattutto in relazione alle conseguenti difficoltà nel garantire la continuità delle esportazioni di petrolio e gas verso l’Europa.

I proventi derivanti dalla vendita di gas e petrolio, e la relativa trasformazione in ricchezza pubblica sono di vitale importanza per l’Algeria, che, come gli altri Stati del Maghreb, non ha possibilità di auto-sostentamento a causa di un terreno non fertile e non dotato di risorse naturali per la sopravvivenza della propria popolazione.

Un legame economico e finanziario con i propri partner europei risulta, quindi, di fondamentale importanza per l’Algeria. In merito a tali rapporti con l’estero, è da notare che il sostegno statunitense al governo maghrebino è stato ribadito anche nell’ultima visita del segretario di stato John Kerry ad Algeri di inizio aprile. Gli Stati Uniti, al pari dei vari Paesi dell’Unione europea, nutrono grande fiducia nella capacità del Governo algerino di contenere la minaccia terroristica e garantire la stabilità dell’approvvigionamento energetico. I vari sconvolgimenti che hanno interessato il Maghreb a partire dal 2011, che hanno determinato la caduta del regime di Gheddafi e la forte recrudescenza del fenomeno islamista in Mali, hanno posto l’Algeria in prima linea riguardo a possibili derive radicali sul proprio territorio. La difesa della vera posta in gioco, dunque, riguardante l’approvvigionamento energetico verso i Paesi europei, dipenderà dall’effettiva tenuta del sistema politico e sociale algerino e dal superamento degli attuali problemi interni alla classe dirigente di Algeri.

 

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