di Emanuele Schibotto*
Straordinario è l’aggettivo che meglio descrive i progressi in campo economico e sociale compiuti dalla Cina nel corso degli ultimi tre decenni.
Di fronte si pone la più grande sfida mai lanciata alla povertà dall’uomo: sfida che i cinesi stanno vincendo, almeno per ora. L’ex Premier cinese Wen Jiabao, in un discorso pronunciato negli Stati Uniti, riassume efficacemente i successi cinesi:
“Dal 1978 al 2009 il Pil cinese è cresciuto ad un tasso annuo del 9,9 percento; il Pil pro-capite è aumentato di 12 volte[…]durante questo periodo il commercio estero della Cina è cresciuto da 20,6 miliardi a 2,2 triliardi di dollari[…]siamo il primo produttore mondiale di cereali, carne, cotone, acciaio, carbone, cemento e componenti per televisioni[…]La popolazione povera delle aree rurali è stata ridotta di 214 milioni e l’indice di povertà è sceso dal 30,7% al 3,8%[…]La Cina ha intrapreso nell’arco di pochi decenni un cammino storico che alcuni Paesi industrializzati hanno compiuto in due o tre secoli”.
Da 120 a 180 milioni di persone con un reddito medio annuo superiore a 10.000 dollari US: questi sono i numeri della classe media cinese. Scrive il National Geographic: “Le famiglie della classe media posseggono un appartamento ed una macchina, iniziano a mangiar fuori e a fare vacanze, e aver familiarità con brand e idee stranieri”. Il Paese conta tra i 400 e i 500 miliardari (in dollari US), il più alto numero al mondo, triplo rispetto agli Stati Uniti: erano 24 nel 2000.
I consumatori cinesi presentano dunque per l’Italia un mercato potenziale enorme: le export italiane possono infatti intercettare sia la fascia dei “superricchi” (tipicamente il settore del lusso) sia i bisogni della classe media: dai sanitari alle bici, dall’agroalimentare alla chimica.
Una seconda opportunità per le imprese italiane – beninteso, di grandi dimensioni – viene offerta dal mercato finanziario cinese: raccogliere liquidità. La Cina è una piazza finanziaria importante: le borse valori di Hong Kong e Shanghai sono, in termini di capitalizzazione di mercato, entrambi tra le prime dieci al mondo. Il settore italiano del lusso ha fiutato l’opportunità e nel 2011 vi è stata la quotazione di Prada, la prima azienda italiana a decidere di quotarsi solo sul mercato asiatico, con risultati peraltro straordinari: la società aveva anticipato che in caso di quotazione a Piazza Affari il valore della società sarebbe stato intorno ai 5,6 miliardi di euro, mentre sulla piazza di Hong Kong il valore saliva a circa 7,5 miliardi di euro.
La Cina infine offre all’intero sistema-Paese almeno due altre occasioni da sfruttare: il crescente interesse economico di Pechino per l’Europa (l’UE è oggi il primo partner commerciale di Pechino) ed il conseguente incremento di investimenti diretti esteri cinesi (6,7 miliardi di dollari investiti in Europa nel 2010), e l’aumento di turisti cinesi nel Vecchio Continente.
Fino alla metà degli anni Novanta solo circa mezzo milione di cinesi visitavano Paesi stranieri. Nel 2011 sono stati invece oltre 57 milioni secondo la China Tourism Academy, di cui il 6 percento diretto in Europa, dove i turisti cinesi spendono per gli acquisti (sono quindi esclusi vitto e alloggio) mediamente oltre un terzo in più rispetto al viaggiatore medio statunitense e giapponese.
La Cina è consapevole della propria forza e del proprio destino, ma è un dato di fatto riconoscere che Pechino è diventata la seconda economia del mondo abbracciando la globalizzazione economica (divenendone uno dei motori principali) pur ricercando una propria via, un proprio modello economico.
* Emanuele Schibotto è membro dell’Istituto di Politica, dottore di ricerca in geopolitica economica, direttore editoriale del centro studi di relazioni internazionali Equilibri.net, Director for Development per Asian Century Institute.
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