di Gabriele Gunnellini
Loretta Napoleoni è una giornalista, scrittrice e analista italiana; per la stesura di questo suo ultimo libro (ISIS. Lo stato del terrore. Chi sono e cosa vogliono le milizie islamiche che minacciano il mondo, Feltrinelli, 2014) ha lavorato come giornalista freelance in incognito tra Siria ed Iraq.
Il lavoro – che nelle sue 120 pagine si presenta più come un registro delle riflessioni e delle scoperte sul campo, che come un manuale definitivo – inizia con un’interessante introduzione sul nome di questo nuovo gruppo terroristico: il concetto di Islamic State (IS) è infatti un ideale oltre che uno stato reale e, a seconda del territorio di riferimento, l’acronimo diventa ISIS se si considerano i territori di Sira ed Iraq, o ISIL, se si considerano i territori Iracheni e di Al-Sham (antica denominazione di Damasco e dei territori circostanti). Ma in questa premessa sul nome manca il nome arabo del gruppo: Daesh. Dimenticanza curiosa da parte di una giornalista che ha lavorato sul campo e che, verosimilmente, ha sentito solo “Daesh” e mai “Isis”. Molto probabilmente questa esclusione è frutto di esigenze redazionali e di lettura, nel senso della semplificazione.
Tutto il libro è imperniato sulle tre novità assolute introdotte dall’Isis nel mondo del terrore: un gruppo politico armato che sta diventando uno stato, la ricerca del consenso nei territori occupati, l’assoluta pragmaticità e modernità dell’organizzazione.
La trasformazione da organizzazione/movimento a stato è l’aspetto più rivoluzionario: se l’Isis riuscisse a diventare uno stato dimostrerebbe «che chi lo costituisce non è un delinquente ma un nemico impegnato in una guerra asimmetrica per rovesciare regimi illegittimi, tiranni e corrotti […]».
L’organizzazione in questo modo diventerebbe una moderna URSS, ideologicamente e religiosamente diversa, che si contrappone legittimamente, al sistema capitalistico. Questa è una particolarità perché, oltre che essere la prima organizzazione terroristica a riuscirci (né al-Qaeda, né l’Olp ci riuscirono, ma forse nemmeno ci provarono), sarebbe anche la prima a percorrere la via della legalità per condurre la sua guerra asimmetrica.
Da questo punto di vista, l’Isis sta muovendo i suoi passi nella direzione giusta: conquistando i pozzi petroliferi in Iraq può infatti conseguire l’indipendenza economica dai suoi attuali sponsor politici. L’altra sua preoccupazione riguarda la potenza militare del nuovo stato, da conseguire attraverso l’equipaggiamento dei soldati con armamenti nuovi (M4 ed humvee, non kalashnikov e residuati bellici). Infine, si tratta di creare una popolazione consenziente, obiettivo perseguito attraverso la minaccia e le politiche genocide. Il risultato è la nascita (potenziale) di uno stato sul tradizionale trittico: popolo, sovranità, territorio.
Sulla violenza vale la pena aprire una parentesi. Decapitazioni e pulizia etnica sono fatti sicuramente deprecabili e condannabili, in ogni caso non sono una novità in campo internazionale: le Farc, ma più in generale tutti i cartelli della droga sudamericani eseguono esecuzioni capitali allo stesso modo dell’Isis, anche se le loro azioni hanno una portata ed una risonanza estremamente minore. L’arma del genocidio è una pratica che abbiamo conosciuto anche recentemente nei Balcani. Lo strumento della violenza quindi non si presenta come un fattore “nuovo” o mai visto prima.
Il tema della violenza si lega strettamente a quello della ricerca del consenso: con il genocidio oltre che eliminare gli sciiti, quindi la parte laica dell’opposizione, i membri dell’Isis intendono eliminare pure i sunniti non salafiti. I leader dell’organizzazione, al-Zarqawi e abu-Bakr (entrambi salafiti), stanno praticando questa guerra civile religiosa (fitna) sia per dare omogeneità al nuovo stato sia per eliminare i futuri oppositori politici. Nel mondo arabo si accusa di apostasia (takfir) non solo chi ha un credo differente, ma anche gli oppositori politici, in quanto dogmi politici e dogmi religiosi hanno la stessa origine: il Corano.
Eliminando gli avversari inoltre si entra in possesso di un “bottino” che è possibile ridividere tra i combattenti, aumentando la soddisfazione e la fedeltà di questi ultimi.
L’Isis, essendo composto per la maggior parte da guerriglieri provenienti da Siria ed Iraq, conosce perfettamente le sofferenze subite da quei popoli e applica una politica di aiuto collettivo che si manifesta in costruzione di strade, linee elettriche, distribuzioni di cibo, distribuzioni di case (precedentemente confiscate agli oppositori) e tutte quelle manovre atte a lenire le sofferenze di quelle popolazioni. L’Isis e in particolare il suo leader abu-Bakr si distinguono dunque anche per la pragmaticità e modernità del loro approccio, che va ben oltre il terrorismo puro e semplice.
Il Daesh nasce all’incirca nel 2003. Nel 2007 stava per conquistare Baghdad, dopo averla circondata, ma le forze della coalizione internazionale coadiuvate dall’esercito iracheno sono riuscite, attraverso l’operazione “Sourge”, a liberare quelle aree. All’epoca si parlò di quell’operazione come di un successo, ma evidentemente non si trattò di una vittoria definitiva.
Cinque anni dopo infatti l’Isis ricompare fino a diventare la realtà che oggi conosciamo. Come ha fatto a diventare quello che è attualmente? Secondo la Napoleoni, ha usato la guerra in Siria come incubatrice o “stato guscio” per crescere ed acquisire territorio e potere, mentre nel frattempo il mondo aveva la sua attenzione concentrata sul Protective Edge e sulla guerra civile siriana.
Inoltre, a differenza di altri movimenti integralisti tipo al-Qaeda, il Daesh si è subito modernizzato e ha usato tutte le più moderne forme di comunicazione (a partire dai social network) per farsi pubblicità e per fare proseliti in tutto il mondo. Senza contare una gestione dei propri affari anch’essa molto moderna: l’Isis tiene un dettagliato resoconto delle proprie entrate ed uscite (includendo anche gli attacchi suicidi) proprio sul modello di una grande azienda multinazionale.
Il libro della Napoleoni offre anche parallelismi storici e leggendari, come quello che assimila l’Isis al mito di Troia che rinasce in Roma, dell’araba Fenice, del leggendario stato arabo che si ribellò ai Mongoli come il Daesh si sta ribellando all’Occidente. Contiene inoltre parecchie pagine critiche nei confronti del Occidentale e degli errori commessi da quest’ultimo nei suoi rapporti con il mondo arabo-islamico.
Nel complesso quello della Napoleoni è un libro di facile e rapida lettura, con numerosi spunti di riflessione sulla nostra società e numerose nonché interessanti informazioni sull’Isis. Il problema è capire quanto queste ultime possano risultare esatte anche nel “lungo periodo”. Sembra inoltre mancare al volume, come dimostrano certe pagine troppe segnate da una certa emotività, lo sguardo freddo e lontano dell’analista. In ogni caso, si tratta pur sempre di informazioni raccolte sul campo e dunque utili per un primo inquadramento di un fenomeno politico dai contorni ancor poco definiti. Si tratta quindi di un libro da consigliare, in attesa di ricerche e analisi più dettagliate, che certo non mancheranno nel prossimo futuro.
di Gabriele Gunnellini
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