di Danilo Breschi
Meritevole di attenta riflessione è un pensiero di Emil Cioran che prende le mosse dal “dramma degli ebrei in Spagna”. Ci ricorda come la persecuzione contro gli ebrei affondi le sue radici agli albori della civilizzazione europea, ne costituisca una delle ombre più nere e gravide di sangue e sofferenze. Ci ricorda, inoltre, come in epoca moderna, dopo la nascita degli Stati-nazione ed il loro consolidamento, sia stato consumata più volte una sorta di suicidio nazionale, in Spagna nel tardo Quattrocento e nei primi decenni del Cinquecento, in Germania negli anni Trenta del secolo scorso, ma potremmo dire lo stesso per un’emorragia perpetuatasi nei secoli, ad est ed ad ovest del continente europeo. Continue migrazioni, fughe dall’Egitto reiterate. La condanna di essere l’eterno popolo dell’Esodo. Sembra che oggi si pongano cattive premesse in Francia per gli ebrei e focolai di antisemitismo si diffondono minacciosi.
La memoria non va istituzionalizzata e così svuotata e accantonata con la scusa di una “Giornata” ufficialmente dedicata con il beneplacito delle autorità. Rischia per molti, in Italia e altrove, di scivolare verso ciò che si è soliti ignorare, se non disprezzare, proprio perché si tratta di qualcosa che è “istituzionale” e dunque celebrato “d’autorità”. Il rischio è che si dica: visto che c’è il 27 gennaio di ogni anno, perché dovrei mai pensarci il resto dell’anno? Invece la memoria dell’orrore di ieri deve servire, come ogni lezione tratta dalla storia, a svegliare le coscienze sugli orrori di oggi. Non sono solo quelli ancora perpetrati nei confronti degli ebrei. Un dramma di suicidio nazionale in nome di un’ideologia di odio e sterminio per la conquista politica e territoriale sta dilaniando il mondo musulmano.
Penso a quanto sta compiendo Boko Haram nelle sue quasi quotidiane offensive nel nord della Nigeria che stanno provocando migliaia e migliaia di vittime. Interi villaggi rasi al suolo, donne e bambini sgozzati, omicidi di massa. Bambine imbottite di esplosivo e fatte saltare in aria tra la folla dei mercati. Obiettivo: costringere alla migrazione intere popolazioni verso altri stati confinanti. Qui non si trova la legittimazione alla propria azione di orrore marcando la differenza tra razze o religioni, o non è comunque il discrimine principale, anche se bianchi d’Europa e cristiani delle varie confessioni sono altrettanto perseguitati e uccisi. Dentro la stessa religione l’integralismo jihadista persegue tutti coloro che non si attengono al Corano secondo una sua lettura politicamente utilizzata da gruppi armati che cercano di rovesciare i governi esistenti e magari porre le premesse per la ricostituzione del Califfato. Che sia remota la possibilità di una sua effettiva ricostituzione sull’intero territorio che fu, in ultimo, dell’Impero ottomano, non toglie il fatto che sia ormai sorto in Iraq un embrione di questo vagheggiato Stato islamico. È indubbio che sia sorta una ideologia di conquista nuova e impastata, come sempre è accaduto, con elementi antichi. Non da oggi esiste tale ideologia, ma rispetto ai decenni scorsi è stato compiuto un indubbio salto di qualità. Un salto verso un abisso di violenze, un espansionismo militare costellato da massacri di civili. Una brutalità organizzata, ritualizzata ed amplificata tramite i mezzi offerti dalla innovazione informatica. Si pensi alle decapitazioni riprese e fatte circolare in video.
Che il Califfato sia ipotesi altamente remota è affermazione lievemente incrinata dalla presenza dell’ISIS. Continuare a discutere sulle responsabilità oggettive e soggettive della sua affermazione ed espansione in territorio iracheno non serve a nulla. C’è da prendere coscienza di una nuova minaccia alla pace mondiale, per i musulmani come per i cristiani, per gli arabi come per gli europei, per gli africani come per gli asiatici. Prima di ogni scatto di nervi inconsulto e controproducente, però, cominciamo a dire agli stessi musulmani quanto anch’essi, al pari degli ebrei di ieri, siano oggi selvaggiamente puniti da ciò che essi amano. Come lo stato nazionale da soggetto potenzialmente inclusivo fu trasformato dagli europei in un soggetto escludente e discriminatorio nei confronti dei cittadini di origine e/o fede ebraica, così la religione del Corano è stata trasformata in strumento di morte e distruzione anzitutto nei confronti dei musulmani che non si piegano agli jihadisti. Questi ultimi agiscono memori di quanto Maometto compì nella penisola arabica, ponendo le premesse per la creazione di uno stato teocratico, e soprattutto di quanto fu conquistato nei secoli seguenti ad opera dei suoi successori. Una propensione all’espansionismo e all’assoggettamento delle altre popolazioni idolatre e pagane, o comunque religiose ma non devote al Corano, la più sacra delle Scritture, pare depositata nel cuore dell’islamismo.
Una “rivoluzione”, culturale ma anche politica, urge nell’Islam; qualcosa che non può avere i tratti e i modi delle rivoluzioni che abbiamo conosciuto in Europa ma non può non configurarsi come contraltare e antagonista dialettico al fondamentalismo jihadista, perché nasca una sintesi che sia un mondo musulmano desideroso di pace. Anzitutto, all’interno dei propri confini. E l’Europa dovrà perciò tornare con decisione, e non con mere risoluzioni, a mettere le mani nel fuoco della questione israelo-palestinese per trovare finalmente un punto di convergenza tra “due popoli e due stati”. Si potrebbe partire con il ricordare che la Spagna musulmana, prima della Reconquista cattolica, era stata un porto sicuro per gli ebrei, tanto da divenire il centro della vita intellettuale ebraica. Anche in quel caso, come è molto probabile stia avvenendo oggi con l’integralismo islamico nel mondo musulmano, furono mire squisitamente o prevalentemente politiche, tese a realizzare un’egemonia territoriale, a far sì che il re Ferdinando II d’Aragona premesse papa Sisto IV, inizialmente riluttante, affinché vi fosse l’introduzione in Spagna dell’Inquisizione. L’obiettivo di costruire e consolidare una monarchia nazionale assolutistica alimentò un disegno di omogeneizzazione etnico-culturale tramite persecuzioni, uccisioni ed espulsioni di massa. La costruzione di uno Stato islamico aspirante alla restaurazione del Califfato sta mettendo in moto processi analoghi. Ecco a cosa può servire un uso vitale e critico di una corretta memoria storica.
“Una delle cose che più mi ha colpito, ad esempio, è stato ciò che accadde a Segovia quando gli ebrei stavano cominciando a partire e andavano a pregare sulle tombe dei loro genitori per l’ultimo addio. I domenicani giunsero nel cimitero ebraico con la loro croce dicendo: “Convertitevi!”. Quelle persone piangevano, perché amavano la Spagna e avevano vissuto lì uno dei periodi più belli della storia ebraica. E la scena dei sacerdoti che entrano con la loro croce per farli immediatamente convertire al cristianesimo è straziante. Inoltre è l’espulsione degli ebrei che fece cadere in rovina la Spagna. Fu un suicidio. Questo è esattamente ciò che ha fatto la Germania, lo stesso tipo di follia. Il dramma degli ebrei è quello di essere stati cacciati da paesi a cui erano particolarmente legati. Per aver considerato la Spagna, e in seguito la Germania, una patria, hanno pagato un prezzo carissimo. Essere puniti da ciò che si ama, ecco il mistero del destino ebraico“.
[da E. Cioran, L’intellettuale senza patria, intervista a cura di J. Weiss, Mimesis, 2014].
Lascia un commento