di Fabio Polese
Da qualche settimana in libreria, Storia del Marocco moderno dai protettorati all’indipendenza (Irfan Edizioni, euro 19,50) è il saggio in cui Stefano Fabei ricostruisce le vicende attraverso le quali il Paese nordafricano si è conquistato la libertà nel 1956. Rappresentate l’origine e la caratterizzazione sociale, culturale e religiosa dei movimenti di liberazione marocchini, arabi e berberi, l’autore affronta i rapporti di questi con i regimi fascisti, la sinistra francese e spagnola, i Fronti popolari e altre forze politiche europee. Il libro analizza inoltre il rapporto fra Islam, nazionalismo e lotta di liberazione, fra modernità e tradizione.
Dopo la Grande guerra, nel mondo arabo si diffuse un nazionalismo che, alla richiesta dell’autonomia o dell’indipendenza dalla colonizzazione europea, mescolò suggestioni derivanti dal panarabismo e dal riformismo islamico. Il cammino verso la libertà fu diversificato: mentre in Egitto il fallimento del liberalismo condusse al colpo di Stato degli Ufficiali liberi nel 1952, in Algeria negli anni Cinquanta fu necessaria una sanguinosa guerra di liberazione. Se in Libia si dovette aspettare il colpo di Stato di Gheddafi nel 1969, perché si potesse parlare di un’effettiva rinascita nazionale, in Marocco, come in Tunisia, le cose andarono diversamente. In entrambi i protettorati, non colonie come l’Algeria, la politica della metropoli fu in parte differente, più liberale in Tunisia che in Marocco. Retti fino all’indipendenza (1956) da dinastie di sultani esautorate dalla dominazione francese, questi Paesi videro i rispettivi sovrani differenziarsi nella lotta: in Marocco Muhammad V fu un eroe e un simbolo per il popolo e per le organizzazioni nazionaliste; in Tunisia il bey non volle o non seppe porsi alla testa del movimento rivendicativo e infatti fu subito deposto dopo l’acquisizione dell’autonomia. Il Marocco rivendicò la continuità secolare della sua monarchia dal carattere islamico; la Tunisia diventò una repubblica presidenziale. Due differenti vie per la riconquista della libertà: il movimento nazionalista tunisino fu laico, mentre quello marocchino non rinunciò mai a rivendicare le proprie radici religiose, a partire dalla rivolta del Rif dell’emiro ‘Abd al-Krim negli anni Venti che avrebbe potuto portare alla nascita di uno Stato musulmano, di una repubblica islamica ante litteram.
Il libro di Fabei, seguendo l’evoluzione del nazionalismo marocchino dall’affermazione del protettorato francese alla vittoria dei patrioti e di Muhammad V, rappresenta, come scrive Massimo Campanini nella Prefazione, «una novità nel panorama editoriale italiano, che, nel complesso, soprattutto in tempi recenti, poco si è interessato della storia moderna e contemporanea del Paese africano». Un pregio del volume è la distinzione del nazionalismo e dei suoi esponenti nei territori del Marocco francese (‘Allal al-Fasi e Muhammad al-Wazzani) da quello nei territori del Marocco spagnolo (‘Abd as-Salam Bennuna e ‘Abd al-Khaliq Torres); ciò non tanto perché si trattasse di un nazionalismo dai caratteri molto diversi, ma perché la letteratura ha spesso minimizzato il ruolo dei nazionalisti operanti nell’area sotto il controllo della Spagna. Questi ultimi ebbero infatti una parte tutt’altro che secondaria nello sviluppare e diffondere la coscienza patriottica.
L’autore rileva come la Seconda guerra mondiale abbia costituito uno spartiacque nel cammino verso la liberazione: fu il momento chiave del nazionalismo marocchino, durante il quale si realizzarono e presero corpo quegli elementi che avrebbero determinato gli sviluppi successivi e le modalità stesse dell’indipendenza: adesione del sultano alla causa patriottica, configurazione dei rapporti tra partiti e classi sociali, rivendicazione esplicita dell’autodeterminazione.
Il nazionalismo marocchino fu un movimento composito in cui si intrecciarono gli influssi dell’educazione occidentalizzata delle élite soprattutto urbane con il profondo substrato islamico che avrebbe ispirato i movimenti come l’Istiqlal. I nazionalisti ebbero come obiettivo la liberazione del Paese e questo li portò certe volte a compromessi, per esempio con Francisco Franco nella zona spagnola, o a nutrire simpatie per l’Asse in funzione anti-francese. In sintesi, l’eterogeneità e la complessità del nazionalismo marocchino evidenzia come il processo di liberazione nei Paesi del Maghreb non possa essere ridotto a poche componenti essenziali.
Il libro, corredato da un’appendice di documenti, permette al lettore interessato al mondo arabo e all’Islam di conoscere aspetti finora ignorati della storia del Marocco e di comprendere le ragioni per cui questo Paese, diversamente da altri, non sia stato investito dal fenomeno della «primavera araba», i cui effetti devastanti – si pensi alla Libia – sono sotto gli occhi di tutti. Il Marocco è governato da re Muhammad VI, che da alcuni anni ha promosso una politica di riforme politiche, economiche e sociali, assicurando una certa stabilità e riducendo le possibilità di manovra dei gruppi integralisti vicini ai salafiti. Il sovrano, figlio di Hassan II, è ritenuto dai sudditi il garante della pace, forse anche in considerazione del fatto che alla monarchia non sembrano esserci alternative praticabili, senza cadere nel fanatismo e nell’intolleranza registrati altrove. Le ragioni di questa realtà affondano nella storia stessa del Paese e del suo movimento per l’indipendenza; leggendo il libro di Fabei se ne ha la conferma e si capiscono tante cose.
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