di Alessandro Campi

imagesCAESM2QOCi si chiede con insistenza quale possa essere il futuro del centrodestra italiano, oggi alle prese con profonde divisioni personali e politiche. L’unica certezza è che per come lo inventò Berlusconi – raccogliendo tutti gli italiani che assimilavano la sinistra al comunismo – esso è finito per sempre. Viveva del suo carisma, della sua forza creativa e della sua potenza economica, fatalmente intaccati dal trascorrere del tempo e dagli accidenti giudiziari. Quel centrodestra era anche il frutto di una legge elettorale che ne aveva favorito l’aggregazione nel quadro di una divisione bipolare che l’attuale geografia parlamentare ha sconvolto. Esso inoltre più che un programma d’azione o una cultura di governo era un uomo, uno stile, un’antropologia, una mentalità, che per un paradosso della storia hanno finito per fecondare a sinistra, come dimostra l’emergere dell’astro renziano nel solco di quelle che furono le caratteristiche essenziali del berlusconismo: l’ottimismo, la baldanza giovanilistica, l’ansia di rinnovamento perpetuo, il decisionismo, la politica del corpo, l’uso di un linguaggio immediato, semplice e immaginifico, un modo irrituale e tutto personalistico di stare al potere e di gestirlo.

Il centrodestra è stato, a guardarlo in prospettiva storica, una formula brillante che non ha resistito al declino del suo inventore. Ovvero una novità nella storia dell’Italia repubblicana che si è risolta in un’occasione persa allorché è fallito, dopo lo scontro tra il Cavaliere e Fini, il progetto di un partito – il Popolo della Libertà – che avrebbe dovuto rappresentarne in modo unitario le diverse sensibilità e stabilizzarne in prospettiva l’eredità politica.

Ne è seguita una diaspora inarrestabile, una confusione di sigle e percorsi politici, che hanno gettato nella confusione tutti quegli italiani che nel corso degli anni si erano riconosciuti in quella proposta, molti dei quali hanno finito per rifugiarsi nell’astensionismo o nel voto tattico di protesta in attesa di tempi migliori.

Molti pensano che, sondaggi alla mano, quest’attesa possa essere soddisfatta dalla nuova Lega di Matteo Salvini. Diversamente da Berlusconi e Alfano quest’ultimo ha scelto la strada di una opposizione netta alla sinistra. Ha puntato tutta la sua propaganda sulla lotta all’immigrazione clandestina, che mette in discussione l’identità e lo stile di vita degli italiani, e all’Europa dei burocrati, che affama i cittadini. Ha dismesso la mitologia padanista e il sogno della secessione del Nord cari a Bossi con l’idea di trasformare la Lega in una forza politica nazionale. Applicando in modo dozzinale ma efficace le regole del marketing politico, si è trasformato nell’uomo-immagine del suo partito, sempre presente sui media con le sue felpe colorate e le sue frasi ad effetto. Su queste basi la sua ascesa sembrerebbe inarrestabile. Anche perché Salvini con il suo ricettario semplice e aggressivo intercetta paure e risentimenti che sono in effetti reali (anche se spesso enfatizzati o frutto di percezioni sociali distorte) e sui quali la politica ufficiale tende a glissare.

L’impressione tuttavia è che la forza attuale del fascio-leghismo, come è stato polemicamente definito, dipenda in buona parte dall’enfasi – largamente strumentale, a leggere certi commentatori o a guardare certi talk show – con la quale ne vengono amplificati i proclami. Si pensi anche al ruolo assegnato a Casa Pound: un movimento che raccoglie poche migliaia di adepti è stato trasformato dai media in una forza politica capace di suggestionare masse di elettori o di riempire le piazze. Viene da chiedersi maliziosamente se si teme lo spauracchio di un nuovo fascismo montante o se lo si sta creando ad arte perché diventi un comodo rivale per una sinistra che ambisce a presentarsi come forza di governo priva di alternative.

Ma ad aiutare Salvini, in questa fase, è soprattutto il vuoto progettuale dei suoi competitori, più o meno potenziali, nel campo del centrodestra, che faticano a riorganizzarsi nelle idee e negli uomini. Come meravigliarsi del suo successo mediatico e nei sondaggi se, ad esempio, quel che si annuncia, come ricetta per arrestare la caduta elettorale di Forza Italia e rinvigorirne il gruppo dirigente, è la nascita di Forza Silvio, una sigla che già si presenta come una ridotta di fedelissimi chiamati a difendere sino alla morte gli affari del capo?

Il mondo che fu di Alleanza nazionale ha chiaramente scelto, per spirito di sopravvivenza, la via della subordinazione al leghismo spacciata per alleanza strategica. Faceva una certa impressione vedere il Leone di S. Marco garrire nella stessa piazza dove la destra romana ha brandito per decenni un tricolore ritenuto sacro: appare evidente il ripudio, per stanchezza o convenienza, di una storia ideologica difesa negli anni con una passione retorica pari soltanto alla vacuità intellettuale che certi proclami e certi esponenti di quel mondo evidentemente nascondevano.

Quanto al fronte cosiddetto “moderato”, quello che più sta soffrendo l’offensiva leghista e che più si sta interrogando su come contrastarla, sembra mancare al momento di appeal e di visione. Denuncia la deriva estremistica di Salvini dicendo che non porterà mai al governo, ma la storia (Weimar, l’Italia fascista) e la cronaca (da ultimo la Grecia) dicono il contrario: nei momenti di crisi sociale ed economica acuta anche gli elettori tradizionalmente moderati, conservatori o centristi (ognuno li definisca come crede) diventano sensibili alla propaganda radicale, che li rassicura nelle loro ansie più degli appelli alla responsabilità, al bene comune, alla serietà o alla prudenza. Ancora non si è capito come l’Ncd di Alfano – alleato di Renzi al governo e già solo per questo in una posizione difficile – pensa di motivare e attrarre quei milioni di elettori (delusi, confusi e frustrati) che furono un tempo berlusconiani e che oggi sul menu come unica pietanza alternativa alla sinistra rischiano di trovare quella, magari difficile da digerire ma almeno saporita, preparata da Salvini. Forse con un cartello politico-elettorale che comprenda, accanto ad Alfano e agli spezzoni del centrismo che ancora sopravvivono, i dissidenti di Forza Italia (Fitto), quelli della Lega (Tosi) e magari l’outsider Corrado Passera, quest’ultimo seriamente convinto di potere riproporre, a scoppio ritardato, l’illusione del tecnico che entra in politica con l’idea di offrirle le giuste ricette di governo?

Se nel campo del centrodestra si intende contrastare la crescita del populismo salviniano forse ci vorrebbe uno sforzo di fantasia e di elaborazione progettuale in più.

* Editoriale apparso sui quotidiani “Il Messaggero” e “il Mattino” del 5 marzo 2015.

 

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