di Eleonora Bacchi

xcvcfdxgvcvMartedì 23 giugno avrà luogo in Turchia la prima seduta parlamentare della 25° assemblea legislativa. In seguito alle elezioni del 7 giugno scorso, il Consiglio Elettorale Supremo ha annunciato il 18 giugno i risultati definitivi confermando in linea generale le percentuali di voto comunicate all’indomani della giornata elettorale. Il partito del governo mono-colore che da tredici anni si trova alla guida del Paese, il Partito Gustizia e Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP) del Presidente Recep Tayyip Erdoğan e del Primo Ministro Ahmet Davutoğlu, sebbene si sia attestato ancora una volta quale primo partito con il 40,66% dei voti, non ha raggiunto tuttavia – per la prima volta dal suo ingresso in politica – una maggioranza che gli permetta di formare un governo senza ricorrere ad alleanze politiche. Seguono all’AKP il Partito Popolare Repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP) con il 25,13% e il Partito del Movimento Nazionalista (Milliyetçi Hareket Partisi, MHP) che ha raggiunto il 16,45% dei voti. Un quarto partito infine è stato eletto a far parte dell’assemblea legislativa di Ankara, si tratta del filo-curdo Partito Democratico Popolare (Halkların Demokratik Partisi, HDP) – che incassando il 12,96% dei voti dell’elettorato è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10% entrando per la prima volta in parlamento. La ripartizione dei 550 seggi parlamentari nella nuova assemblea sarà pertanto così determinata: 258 seggi ai deputati dell’AKP, 132 ai kemalisti del CHP, 80 ai nazionalisti MHP e 80 ai filo-curdi del HDP.

Alla luce delle precedenti elezioni legislative del 2011 si possono pertanto avanzare alcune considerazioni. L’AKP registra una perdita di circa 9 punti percentuali rispetto al 2011 quando ricevette il 49,83% dei voti. Tale differenza risulta speculare al guadagno dei due partiti che hanno visto invece aumentare i propri favori, l’HDP e l’MHP. Il partito filo-curdo, che alle elezioni del 2011 aveva presentato candidati indipendenti (ai quali non viene imposto lo sbarramento al 10%), ha visto raddoppiare il suo elettorato passando dal 6,57% dei voti nel 2011 al 12,86% delle ultime elezioni. Il partito nazionalista, l’MHP, ha registrato anch’esso un aumento dei voti rispetto alle precedenti legislative, passando dal 13,01% del 2011 al 16,45%. Resta pressoché invariata la situazione del CHP che perde meno di un punto percentuale vedendo i voti diminuire dal 25,98% nel 2011 al 25,13% attuale.

 

2011

2015

 
% voti N° seggi in parlamento % voti N° seggi in parlamento Variazione % 2011-2015
AKP 49.83 327 40.66 258 -9,17
CHP 25.98 135 25.13 132 -0,85
MHP 13.01 53 16.45 80 3,44
HDP 6.57* 35* 12.96 80 6,39

 

Fonte – Sito web del Consiglio Elettorale Supremo turco – http://www.ysk.gov.tr/

*il partito non era presente come gruppo politico bensì con candidati indipendenti

In seguito alla cerimonia di giuramento del 23 giugno, entro la fine del mese dovrà essere eletto il presidente dell’assemblea. Questa prima elezione sarà il banco di prova per una possibile coalizione di governo tra i partiti. Entro 45 giorni dall’elezione del presidente del parlamento infatti dovrà essere annunciato il nuovo governo che sarà quasi certamente un governo di coalizione, data l’assenza nei risultati di un partito con una maggioranza forte per poter formare nuovamente un governo mono-partitico.

In attesa dei successivi passi verso la formazione del nuovo governo turco riportiamo l’opinione del Prof. Ziya Öniş* in merito alle elezioni e ai possibili scenari di coalizione.

PROFESSOR ÖNIŞ, QUALI SONO LE SUE OSSERVAZIONI IN GENERALE NEL MERITO DELLE RECENTI ELEZIONI LEGISLATIVE IN TURCHIA?

Ritengo che queste elezioni rappresentino un momento propizio importante per la democrazia turca, in quanto il periodo successivo alle elezioni del 2011 – in cui l’AKP ha guadagnato il 50% dei voti – ha portato ad una situazione di eccesso di sicurezza. Soprattutto con la crescita del potere del presidente Recep Tayyip Erdoğan penso che stiamo assistendo ad una sorta di svolta in senso sempre più autoritario e ad una ricaduta indietro della democrazia. Pertanto ritengo queste elezioni una considerevole reazione principalmente all’eccessivo potere di Erdoğan dell’ultimo periodo.

Ovviamente uno dei fattori principali del risultato è il fenomeno-HDP che ritengo molto importante in quanto una delle ragioni per cui la percentuale di voti dell’AKP è diminuita è che quella parte di curdi conservatori e religiosi che in precedenza votavano per il Partito Giustizia e Sviluppo hanno votato in queste elezioni per HDP e ciò dimostra che i curdi, specialmente dopo quanto accaduto a Kobanê, hanno perso fiducia in Erdoğan in merito al rafforzamento e alla continuazione del processo di pace. Ciò che è inoltre interessante nel fenomeno-HDP è che questo partito si è presentato, con Selahattin Demirtaş (co-presidente del partito filo-curdo) non più come un partito etnico – sebbene continui a raccogliere prevalentemente i voti curdi – ma come un partito della Turchia, mettendosi al centro della scena politica turca. Questo è un passo importante per affrontare politicamente piuttosto che militarmente il principale problema della Turchia, la Questione Curda. Molti turchi poi, che normalmente avrebbero votato il partito social-democratico (il CHP), hanno votato l’HDP per due ragioni: in primo luogo per la convinzione che l’HDP sia un partito genuinamente in favore dei diritti e delle libertà politiche, che rappresenti dunque un’opportunità per la Turchia di affrontare la Questione Curda e in questo la leadership di Demirtaş è stata piuttosto attraente per i turchi e non solo per i curdi; in secondo luogo la paura di una svolta del regime di Ankara in un senso più autoritario, dato che (e questo era il grande timore) se l’HDP avesse fallito nel superare la soglia di sbarramento e l’AKP avesse guadagnato i 330 seggi, quest’ultimo avrebbe portato avanti la riforma [per il cambiamento della costituzione con lo scopo di trasformare il sistema politico della Turchia da Repubblica parlamentare a presidenziale, ndr].

Quello che io mi auguro è che questa sia un’opportunità per far sì che un governo di coalizione funzioni finalmente in Turchia, dato che le esperienze passate hanno dimostrato un continuo fallimento della politica di coalizione. […] Tuttavia questo non significa che un governo di coalizione non possa in assoluto avere vita lunga in Turchia, è necessario però un comportamento moderato e propenso al compromesso da parte degli attori politici chiave. Le difficoltà ad ogni modo non mancano. In un contesto, quale quello turco, politicamente molto polarizzato potrebbe essere molto difficile arrivare ad avere una coalizione che funzioni efficacemente.

QUALI SONO I FATTORI CHE HANNO DETERMINATO LA PERDITA DI VOTI DELL’AKP?

Una delle ragioni per cui l’AKP ha visto diminuire la percentuale dei voti è il “fattore-Erdoğan”. Il Presidente, che nelle prime fasi del governo AKP ha giocato un ruolo molto importante grazie al suo carisma, sta diventando ora un ostacolo. Va notato che il tasso di partecipazione alle elezioni è stato circa dell’86% una quota decisamente alta, ben oltre il 70% delle elezioni presdenziali dello scorso anno. Quindi credo che in molti si siano allarmati, nel periodo trascorso dall’inizio della presidenza di Erdoğan ad oggi, in merito al fatto che sempre di più stiamo andando in quella che io ritengo sia la direzione sbagliata e che specialmente anche tramite il simbolismo – il nuovo palazzo presidenziale, le spese sfarzose ecc. – egli si stia presentando come una sorta di sultano ottomano.

Uno degli sviluppi positivi di questa perdita potrebbe essere l’avere da ora in poi nell’AKP una democrazia intra-partitica genuina, che garantisca più margine di discussione e più alternative. L’AKP infatti – il quale resta comunque la forza politica dominante nella politica turca – non è esso stesso una coalizione monolitica ma è composto da opinioni differenti: elementi più liberali ed elementi curdi più nazionalistici sommati a quelli religiosi e conservatori. […] Ci sono parecchi tuttavia che nel partito supportano fermamente Erdoğan e che non ammetteranno facilmente una sconfitta. Nonchè allo stesso tempo ci sono elementi conservatori che non sono soddisfatti della maniera in cui Erdoğan stia cercando di incrementare e usare il suo potere.

COME ABDULLAH GUL AD ESEMPIO?

Si, credo che Gül rappresenti la facciata più liberale dell’AKP e ci sono molti come lui che seppure conservatori sono più propensi al pluralismo. La maniera in cui Gül ha agito durante il suo mandato presidenziale era molto di più nei limiti costituzionali, pertanto Gül ha un atteggiamento piuttosto critico ma è stato spinto ai margini della sfera decisionale. […] Credo che ad oggi la speranza delle personalità vicine a Erdoğan è quella di non formare un governo di coalizione, ritardare quindi il processo e avere un elezione anticipata sperando di ricevere più voti rispetto al 7 giugno. Tuttavia penso che nel breve periodo sarebbe impossibile per l’AKP recuperare i voti persi dei curdi e se l’HDP superasse ancora una volta il 10%, l’AKP non sarebbe comunque nella posizione di formare un governo mono-partitico. Infine una strategia alterativa per l’AKP sarebbe quella di cercare di formare una coalizione e cercare di andare alle elezioni non immediatamente ma nel giro di un anno. In tal modo l’AKP potrebbe dimostrare durante questo periodo che la coalizione non funziona efficacemente e che ha bisogno di un governo di maggioranza. Questa resta ad ogni modo una strategia rischiosa dato che nel processo potrebbe essere lo stesso AKP a perdere ulteriormente i consensi, specialmente se l’economia si evolverà verso una situazione di crisi.

Per tornare ai motivi della perdita dei voti dell’AKP, un fattore che ha inciso sul calo della percentuale è stata poi la maniera in cui Erdoğan ha presentato queste elezioni in cerca di un mandato per la trasformazione in un sistema presidenziale. Credo che questo sia stato un errore. Erdoğan vuole un’estrema concentrazione di potere e la maniera in cui ha agito durante la campagna elettorale, in violazione della costituzione sostenendo l’AKP, ne è una dimostrazione. Nel nostro sistema il presidente deve essere neutrale, mentre Erdoğan era nelle piazze. Perciò in un certo senso possiamo dire che a perdere le elezioni sia stato Erdoğan più che l’AKP. […]

Un altro motivo che ha determinato la perdita di voti per l’AKP credo sia in parte il relativo declino economico. Nel periodo più recente abbiamo assistito ad un rallentamento della crescita economica turca – che non è più così impressionante come nella prima parte del governo AKP – e ad un aumento della disoccupazione, sebbene non ci troviamo ancora in una vera situazione di crisi economica. […]

Un’ulteriore motivazione riguarda il processo di pace con i curdi. Il fallimento nel dimostrare impegno in questa causa ha alienato i curdi i cui voti erano invece in passato bilanciati tra AKP e i partiti etnici. Ora circa il 90% dei voti dei curdi sono andati al partito curdo. Inoltre la questione del processo di pace ha condotto anche ad una reazione negativa tra la popolazione turca. Pertanto possiamo dire che l’AKP è stato colpito su due fronti, dai nazionalisti curdi e dai nazionalisti turchi.

Un altro elemento che ritengo importante è lo spirito delle proteste di Gezi Park. Per la prima volta questo movimento ha avuto un impatto politico, forse non maggioritario ma si è incanalato verso l’HDP per un 2-3% di voti. […]

Un altro fattore su cui vorrei porre l’accento è infine che le maggiori riforme di democratizzazione in Turchia nei primi anni 2000 sono state condotte sotto l’impulso dell’adesione all’Unione Europea. Questa è stata un attore decisamente importante nel periodo dal 2000 al 2007, ma ora la vera sfida per la Turchia è che deve riguadagnare l’impulso verso la democratizzazione attraverso la politica interna dato che l’effetto del soft-power dell’Unione Europea è ora piuttosto limitato (nonostante i reports emanati del Parlamento Europeo). L’effetto reputazionale non ha efficacia in assenza di segnali credibili verso la possibile adesione. […] Nel contesto attuale quindi le dinamiche esterne non sono più così significative dato che sono in pochi a credere che l’adesione si possa materializzare nel prossimo futuro.

È POSSIBILE CHE L’AKP CERCHI DI FORMARE UN GOVERNO DI MINORANZA? QUALI SONO LE COALIZIONI ALTRIMENTI POSSIBILI?

Si, rimane un’opzione possibile per l’AKP quella di formare un governo di minoranza, perchè ha un numero piuttosto significativo di deputati in parlamento. Nel caso in cui poi non riusciranno a governare il Paese a causa dell’assenza di maggioranze in parlamento potranno a quel punto usare l’arma del “noi abbiamo provato ad agire in maniera costruttiva e gli altri ci hanno bloccati”. […]

Se guardiamo ai diversi scenari di coalizione, un’alleanza AKP-MHP potrebbe essere realizzabile in quanto molti voti dell’AKP sono confluiti nel MHP. Il discontento nei confronti l’AKP si è infatti canalizzato in parte verso l’HDP e in parte verso l’MHP, e in molte città anatoliche l’elettorato nazionalistico e quello conservatore si è indirizzato verso l’MHP. Tuttavia se tale coalizione avesse luogo sarebbe un considerevole ostacolo alla soluzione della Questione Curda (in quanto l’MHP è il principale oppositore ad ogni apertura in tal senso). Inoltre uno dei problemi del MHP è che ha una continuità nella leadership molto forte. Se il partito si potesse trasformare con un nuovo leader e una nuova visione forse potrebbe avere anche una percentuale maggiore di voti provenienti dall’elettorato dell’AKP, ma al momento non mi risulta che abbia questo tipo di visione. Per cui ogni volta che vede incrementare la percentuale di voti è primariamente qualora si presenti un’insoddisfazione nei confronti dell’AKP piuttosto che grazie ad un’agenda di partito positiva.

Alla luce di queste considerazioni io credo che lo scenario migliore – sempre che sia realizzabile – sarebbe una coalizione di AKP e CHP. Il problema nel caso di tale coalizione è che il partito kemalista stesso è formato da una coalizione di due elementi molto differenti: uno è un segmento di linea dura nazionalista secolare kemalista che non è disposto a scendere a compromessi in molte questioni e l’altro è il più liberale e socialdemoratico, al quale credo sia più vicino il leader CHP, Kemal Kılıçdaroğlu. Quindi nel CHP il problema è che devono cercare prima un compromesso all’interno del partito stesso che è già difficile. […]

Un’eventuale coalizione di CHP-MHP-HDP che lasci fuori l’AKP credo non sia realizzabile in nessun caso a causa dell’entità delle differenze esistenti tra questi partiti.

La Turchia si trova dunque in un momento propizio che però potrebbe essere perso. […] Il fattore positivo di queste elezioni è che la pluralità della Turchia è ora rappresentata in parlamento al 100%. Non si può dire ora che ci siano degli esclusi, nonostante la famosa soglia di sbarramento del 10% tutti sono rappresentati. Per cui in termini di rappresentanza è un risultato positivo, se questa tuttavia sarà trasformata in governance efficace è un problema che richiede la costruzione di coalizioni adeguate e attori politici che agiscano più nell’interesse pubblico che in un interesse di parte di breve periodo. […] Si tratta di una politica di compromesso in un Paese dove la politica è pluralistica e il termine compromesso significa debolezza. Tuttavia il costo del non scendere a compromessi potrebbe essere piuttosto allarmante.

QUALE SARÀ SECONDO LEI L’EFFETTO DEL RISULTATO DI QUESTE ELEZIONI SULL’ECONOMIA E SULLA POLITICA ESTERA DELLA TURCHIA?

Credo che l’economia sia uno dei settori più a rischio e che la comunità imprenditoriale abbia ragione nel chiedere la formazione rapida di un nuovo governo in quanto c’è molta incertezza e l’economia è in una situazione fragile. Quindi penso che una delle grandi sfide oggi sia quella di formare un governo di coalizione e usarlo per attuare politiche economiche efficaci. […] Più il processo viene ritardato, più l’incertezza aumenta. Inoltre dato che un declino economico andrebbe a colpire principalmente il partito di governo, ciò dovrebbe rappresentare un motivo in più per l’AKP per formare presto un governo. […]

In termini di politica estera dobbiamo notare che è già avvenuta una svolta in senso più pragmatico e credo che con un governo di coalizione tale tendenza continuerà ancora. Uno degli errori del governo AKP è stata l’incertezza, come nel caso della Siria. Tenere una ben delineata posizione anti-Assad contro una più accondiscendente posizione nei confronti dell’ISIS ha influenzato la popolarità internazionale della Turchia piuttosto significativamente e ha attirato notevoli critiche da parte sia degli Stati Uniti che dell’Europa. Quindi la mia opinione è che con un governo di coalizione la politica estera tornerà ad essere più moderata ed equilibrata. Vedo anche una connessione tra la democrazia all’interno del Paese e la politica estera. Quello che si osserva nel periodo dal 2011 al 2015 infatti è una ricaduta della democrazia all’interno e una condotta unilateralista nei rapporti con l’esterno.

* Ziya Öniş è professore di Relazioni Internazionali presso l’Università Koç di Istanbul ed ex-direttore del Centro di Ricerca sulla Globalizzazione e Governance Democratica (GLODEM). L’ultimo articolo del Prof. Öniş – Monopolising the Centre: The AKP and the Uncertain Path of Turkish Democracy – pubblicato il 19 giugno 2015 su The International Spectator: Italian Journal of International Affairs, è disponibile al link: http://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/03932729.2015.1015335#.VYW24_mqqko

La versione integrale dell’intervista si può leggere sul sito http://ovipot.hypotheses.org/

 

 

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