di Alessandro Campi

untitledCi fu un periodo, forse i lettori lo ricorderanno, nel quale quasi ogni giorno un uomo o una donna veniva azzannato da un pit bull o da un rottweiler inferocito. Sui giornali si sprecavano le cronache di queste aggressioni e si metteva in guardia sui pericoli rappresentati da queste particolari razze canine. Poi, come d’incanto, l’allarme rientrò. Divennero più mansueti i bestioni o semplicemente la stampa prese ad occuparsi d’altro?

Il sistema dell’informazione – quello odierno in particolare, nervoso e famelico, sempre alla ricerca di una novità e dell’evento clamoroso – funziona così. Trova un argomento “caldo” o di particolare presa emotiva, lo amplifica e lo rilancia, lo sfrutta sino all’inverosimile e poi lo molla quando ritiene che non sia più redditizio agli occhi dell’opinione pubblica. Ma un evento o una vicenda di cui si smette di parlare non per questo smette di esistere. Insomma, i cani feroci, per restare in metafora, continuano a mordere qualche malcapitato, anche che nessuno ne parla in pubblico o ne scrive sui giornali.

Veniamo così alla Grecia, dove il prossimo venti settembre si voterà per rinnovare il Parlamento. Dovrebbe essere un appuntamento di grande interesse, non foss’altro per l’attenzione quasi morbosa con la quale per mesi e per tutta l’estate abbiamo seguito le vicende di questo Paese: prima le trattative con l’Ue, la Bce e il Fmi per evitare un fallimento finanziario che molti consideravano inevitabile, poi i contrasti tra il premier Tsipras e il suo eccentrico ministro dell’economia Varoufakis, infine la decisione di sciogliere prima del tempo la legislatura, visti i contrasti insanabili all’interno del partito di maggioranza relativa, e di andare ad elezioni anticipate.

Ma sui giornali di questo delicato passaggio politico quasi non si parla, come se il destino della Grecia, dopo averci angosciato per mesi (chi non ricorda le foto dei greci in fila dinnanzi agli sportelli delle banche, che poi sarebbero state addirittura chiuse?), all’improvviso non rivestisse più alcun interesse per il resto degli europei, alle prese evidentemente con altre preoccupazioni, a partire dal dramma dei profughi. La Grecia è guarita, smettendo così di fare notizia, o i nostri media si sono colpevolmente distratti?

È la quarta volta che gli ellenici sono chiamati alle urne negli ultimi tre anni e mezzo, Alle ultime elezioni, gennaio 2015, trionfò l’estrema sinistra di Syriza. Esasperati dalla crisi economica e dai sacrifici imposti dai creditori internazionali, trentasei elettori su cento presero per buone le promesse di Alexis Tsipras contenute nel celebre “Programma di Salonicco” messo nero su bianco nel settembre dell’anno prima: riduzione delle tasse per il ceto medio, rilancio dell’occupazione nel settore pubblico e privato, rinegoziazione del debito, un graduale ripristino dei salari e delle pensioni dopo i tagli imposti dalla Troika, il trasferimento delle proprietà statali ad un apposito fondo previdenziale.

A Tsipras mancarono solo due seggi per ottenere la maggioranza assoluta e fu perciò costretto ad un governo di coalizione con un partitino di destra antieuropeista. Ma bastarono pochi mesi per capire che governare è cosa diversa dal fare comizi in piazza. Dopo trattative convulse e riunione drammatiche, che ci sono state raccontate quasi in presa diretta e nei minimi particolari, la Grecia alla fine ha dovuto piegarsi al volere dei suoi inflessibili creditori, guidati dalla Germania, e accettare un piano di salvataggio finanziario in cambio di un programma di riforme quanto mai drastico: aumento dell’Iva, vendita sul mercato internazionale di pezzi importanti delle proprietà statale, allungamento dell’età pensionabile, introduzione della pratica dei licenziamenti collettivi.

Di mezzo c’è stato anche un appassionante referendum che tanto ci ha fatto discutere sul futuro della democrazia in Grecia e nel mondo. Il 60% dei votanti disse NO alle proposte di accordo dei creditori, seguendo le indicazioni dello stesso premier. Ma il governo, contraddicendo la volontà popolare, alla fine disse SI. Anzi, finì per accettare condizioni più dure di quelle che erano state rifiutate dalla maggioranza dei cittadini.

Tsipras ha sempre sostenuto di avere sottoscritto il nuovo piano di salvataggio per realismo e per salvare il suo Paese da un default che l’avrebbe impoverito ancora di più. I greci hanno creduto alla sua buona fede venata persino di patriottismo e lui, con l’idea di capitalizzare il consenso intorno alla sua persona e prendendo atto della scissione nel suo partito e della defezione di molti suoi parlamentari, ha deciso l’avventura delle elezioni anticipate.

Ma i sondaggi che circolano da un paio di settimane – e che sembrano indicare un testa a testa tra Syriza e i conservatori di Nuova Democrazia – dimostrano che il suo calcolo è stato probabilmente azzardato. Passata la paura del fallimento e delle conseguenze di una traumatica uscita dall’euro molti greci probabilmente hanno cominciato a chiedersi come si possa dare ancora fiducia a chi non è riuscito a mantenere nessuno dei suoi precedenti impegni. Anche la crisi che profughi arrivati in massa sulle isole dell’Egeo non deve averlo molto aiutato: la sinistra umanitaria che maltratta i rifugiati e punta ad espellerli non segnala una grande coerenza politica.

Ciò detto, secondo gli osservatori la differenza in questo voto la faranno all’ultimo momento quel 15% di greci che al momento si dichiara indeciso e quel 40% che sembra intenzionato ad astenersi. Secondo i sondaggisti, nessun partito arriverà al 30% dei voti. Visto il sistema elettorale greco, ciò significa che, anche con il premio di maggioranza di 50 seggi, nessuno otterrà da solo la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Tranne Tsipras, che vorrebbe governare da solo o al massimo riproporre la precedente coalizione con la destra eccentrica di To Potami, in Grecia sono in molti a tifare per un governo di grande coalizione che dia applicazione concreta, secondo i tempi stabiliti, agli impegni assunti con la comunità internazionale. Ma c’è anche chi teme una frammentazione eccessiva dell’elettorato, un sua ulteriore polarizzazione ideologica (dopo la nascita a sinistra di Syriza di Unità Popolare) e una situazione di potenziale ingovernabilità, che come prospettiva dovrebbe preoccupare non poco l’Europa. Ad appena quattro giorni da un voto tanto importante chissà se i media si ricorderanno nuovamente della Grecia?

Naturalmente c’è anche chi da una spiegazione plausibile al disinteresse mediatico per il voto greco. Che vinca la destra o la sinistra, che governino da sole o insieme, alla fine non fa nessuna differenza. Il destino politico della Grecia è ormai nelle mani dei suoi creditori, che hanno già scritto il programma di governo. Si tratta dunque di elezioni inutili. Chissà, forse è questa la ragione vera per cui se ne parla così poco.

 

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