di Eleonora Bacchi

untitledIl 22 e 23 agosto scorso le manifestazioni popolari in Libano, sorte spontaneamente contro l’incapacità del governo di gestire la cosiddetta ‘crisi dei rifiuti’, si sono trasformate in aperti scontri con le forze dell’ordine, contribuendo ad acuire le tensioni esistenti tra i cittadini ed i vertici del potere politico. Le proteste di piazza sono iniziate alla fine di luglio e il motivo che ha portato i libanesi a marciare contro il governo è stato il progressivo accumulo di sacchi della spazzatura nelle strade di Beirut e nelle zone limitrofe. A generare l’ammassarsi dell’immondizia è stata la disposizione del Ministro per l’ambiente, Mohammad al Mashnuq, per la chiusura della discarica di Nameeh. Alla base della decisione di Mashnuq vi è il raggiungimento della capienza massima del sito, già da tempo ai limiti delle capacità. Ciò che dunque ha dato luogo al progressivo riversarsi dei rifiuti in città è stata l’incapacità del governo di trovare una soluzione alternativa a Nameeh. Nonostante siano stati diversi i gruppi ad organizzarsi per manifestare in strada contro la situazione venutasi a creare, uno in particolare è spiccato per la sua forza e popolarità. Si tratta del movimento non schierato politicamente e non legato ad alcuna confessione religiosa, denominato #VoiPuzzate. Il nome del movimento, sebbene sia nato in riferimento alla spazzatura, non nasconde il secondo intento dei manifestanti di rivolgersi alla stessa maniera anche nei confronti della classe politica. Le proteste infatti si sono indirizzate ben presto anche contro la corruzione, l’inefficienza e la debolezza della politica libanese più in generale.

Il malcontento dimostrato nel corso di queste settimane dai cittadini libanesi, tuttavia, non rappresenta una novità per il Paese del Cedri. In materia di rifiuti, di fatti, già nell’estate 2014 si erano verificate proteste popolari contro l’inefficenza del governo. Gli abitanti di Nameeh erano scesi in piazza per recriminare la negligenza politica nei confronti della ricerca di una soluzione alternativa alla discarica creata in maniera provvisoria nel 1997 e che nel corso dei 17 anni successivi non ha visto porre fine a tale transitorietà. L’accordo che fu raggiunto in seguito alle proteste prevedeva quindi la creazione di un progetto di smaltimento rifiuti in un luogo differente e maggiormente ecosostenibile, da realizzare nell’arco temporale di un anno. Eppure, al sopraggiungere dell’estate 2015 è stato chiaro ai cittadini libanesi che l’accordo non era stato rispettato, dando luogo alle manifestazioni.

Le proteste si collocano non di meno in un contesto interno e regionale di cui va resa nota per comprendere la forza delle contestazioni.

A livello di politica interna le difficoltà sono innanzitutto imputabili alla peculiartà del sistema politico libanese. In seguito all’indipendenza – raggiunta nel 1943 dopo la fine del mandato francese – il “Patto Nazionale” riprese in buona parte la Costituzione del 1926. Quest’ultima in particolare prevedeva una divisione su base confessionale sia delle cariche istituzionali, sia del parlamento, da ripartire tra cristiani e musulmani, nelle rispettive ulteriori suddivisioni. Specificatamente la carica di Presidente dello Stato sarebbe dovuta essere ricoperta da un cristiano maronita, quella di Primo ministro da un musulmano sunnita e quella di Presidente del Parlamento da uno sciita. Scopo ultimo di tale sistema ancora oggi in vigore è quello di mantenere un equilibrio tra le religioni presenti in Libano. Nel corso del Novecento, ciò nonostante, a più riprese è stata avanzata la critica che la composizione religiosa della popolazione libanese fosse cambiata e che pertanto si rendeva necessaria l’indizione di un nuovo censimento che attestasse tale modifica. Risale infatti al 1932 l’ultimo censimento effettuato nel Paese del Cedri. Le richieste per un cambiamento o rinnovamento del sistema politico libanese sono ad ogni modo rimaste fin ad ora inascoltate, con la conseguenza di un crescente inasprirsi, nel corso dei decenni, delle tensioni tra le diverse confessioni.

L’esplosione della guerra civile siriana inoltre non ha fatto che contribuire alla contrapposizione religiosa esistente nelle istituzioni libanesi, e porta l’attenzione dell’analisi sul piano regionale e l’influenza della crisi del medio-oriente sul piano domestico dei singoli stati. In prima battuta va sottolineato che le forze politiche che si oppongono nell’attuale legislatura libanese sono principalmente due: la coalizione 8 Marzo e la coalizione 14 Marzo. La prima, a maggioranza sciita e cristiana maronita, di cui fa parte il movimento Hezbollah, sostiene fin dallo scoppio della guerra in Siria, il governo di Damasco e Bashar al-Assad. La seconda coalizione – 14 Marzo – è guidata dell’ex premier Saad Hariri e si caratterizza per la sua identità religiosa sunnita, motivo per cui nello scenario siriano parteggia per i gruppi ribelli in lotta contro Assad. In secondo luogo, risulta chiaro come essendo le due principali fazioni politiche libanesi affiliate a posizioni contrapposte nella vicina Siria, risulti inevitabile un’influenza di tale scontro anche a livello interno.

Riportando perciò il focus sulle dinamiche interne, le conseguenze di tale rivalità, esacerbata dalla durezza della guerra e dalla prossimità di Damasco, hanno contrassegnato il mancato raggiungimento di accordi rilevanti per la vita istituzionale del Paese e quindi una paralisi nelle capacità esecutive del governo. Tra i principali problemi sorti recentemente va menzionata innanzitutto la mancanza di consenso per la nomina di un nuovo Presidente dello Stato. Il vacuum di potere si è venuto a creare con la scadenza del mandato di Michel Suleiman il 25 Maggio 2014 ed il successivo fallimento degli oltre 20 round di negoziati tra i partiti politici per eleggere un successore. In aggiunta a questo elemento di criticità vi è un disaccordo sulle modalità per l’indizione di nuove elezioni parlamentari. L’ultima tornata elettorale si è avuta infatti nel 2009. Da allora le elezioni successive, che si sarebbero dovute tenere nel 2013, sono state rimandate al 2017 con la conseguente decisione dell’assemblea di estendere il proprio mandato. Infine il governo sembra ancora non riuscire a far fronte a due grandi problemi per la vita dei cittadini libanesi: le frequenti interruzioni programmate della corrente elettrica su base giornaliera e la malgestione delle risorse idriche del Paese. Le prime – che arrivano a toccare picchi di 12 ore di assenza di corrente al giorno – sono dovute alle difficoltà nell’approvvigionamento dell’energia elettrica e da una politica energetica evidentemente inadeguata. La seconda è invece causata dal massiccio sfruttamento delle falde acquifere da parte di compagnie private, nonché dalla carenza di un efficiente apparato di condutture pubbliche che consenta la diminuzione della perdita delle risorse idriche disponibili.

Sembra ragionevole affermare quindi che le proteste in Libano non siano circoscritte alla mera crisi dei rifiuti e all’incapacità della classe politica di farvi fronte. Le recriminazioni dei cittadini affondano le proprie radici in un più ampio scenario politico caratterizzato da una crescente insoddisfazione nei confronti del sistema politico di tipo confessionale, nonché verso una malgestione della cosa pubblica da parte del governo di Tamman Salam, accusato di corruzione e debolezza politica. Accuse queste ultime alimentate dalla riluttanza nella decisione di tornare alle urne. In aggiunta a tali fattori un’instabilità regionale medio-orientale che influenza in maniera decisiva le dinamiche interne, non contribuisce a smorzare i toni dello scontro.

In conclusione, l’accordo che è stato raggiunto in seno al governo il 9 settembre – e che prevede la creazione di due nuove discariche e il decentramento della gestione dei rifiuti ai singoli comuni – appare una concessione ancora insufficiente per placare la rivolta cittadina. I manifestanti, con alta probabilità continueranno a scendere per le strade di Beirut fino a quando non riceveranno la possibilità di esprimere la propria opinione attraverso una tornata elettorale e di vedersi garantito l’impegno da parte dei governanti per un rinnovamento del sistema politico libanese.

 

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