di Danilo Breschi

132420004-9db35487-a417-4f28-9997-849606a680f1Nella sera del 13 novembre, a partire dalle 21:20 circa, tre squadre di terroristi islamici, tra cui pare anche una donna, al grido di “Allah è grande” hanno compiuto una mattanza fra le strade, nei pressi dello stadio e in altri luoghi pubblici di una Parigi bollata dall’Isis come “capitale dell’abominio e della perversione”. Tra esplosioni, raffiche di mitra e azioni kamikaze di questi fanatici religiosi che, con una serie di attacchi coordinati e simultanei, si sono tramutati in bombe umane in nome di Allah, si contano oggi almeno 130 vittime, 352 feriti, di cui quasi un centinaio in gravi condizioni. Già si parla di questo attacco omicida come del più cruento in territorio francese dai tempi della seconda guerra mondiale, e del secondo più grave attentato terroristico nell’Unione europea dopo quello dell’11 marzo 2004 a Madrid. Peraltro, è ancora vivo il ricordo dell’attentato alla sede di “Charlie Hebdo” e al minimarket kosher nel gennaio scorso, così come della sventata strage su un treno ad alta velocità diretto sempre a Parigi. Papa Francesco parla di “una terza guerra mondiale a pezzi”, di cui il 13 novembre costituisce solo l’ultimo episodio. Ultimo in quanto più recente, e temo abbia ragione.

Nei prossimi decenni dovremo convivere, fors’anche con-morire, cioè morire assieme, e per causa, di questi atti di guerra dichiarata unilateralmente da un terrorismo jihadista che dal giugno dell’anno scorso può vantare persino uno Stato sovrano territoriale. Il 29 giugno 2014, il gruppo di jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) – più noto come Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) – ha annunciato la creazione di un califfato islamico nei territori controllati tra Siria e Iraq, nominando come proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi, “il califfo dei musulmani”. Dopo di allora, le parole “Iraq” e “Levante” sono state rimosse dai documenti ufficiali, perché l’obiettivo è riconquistare l’intero dār al-Islām, i territori che sarebbero sottoposti all’imperio politico e giuridico dell’Islam. Al di fuori è terra di “infedeli”.

Nessuno dovrebbe sentirsi escluso. Siamo tutti coinvolti. Ci piaccia o meno. Possiamo pure girare lo sguardo altrove, far finta di niente, voltare le spalle. Vorrà solo dire che saremo ancor più facilmente freddati alle spalle, mentre meno ce lo aspettiamo. Perché è questione di odio, allo stato puro. Alzate pure le mani in alto, vi crivelleranno di proiettili comunque. Forse vi, ci sgozzeranno e decapiteranno persino, se servirà a incutere ancora più terrore, a diffondere l’orrore tra gli umani e a esaltare ulteriormente gli invasati da un Allah spiegato e piegato come patrocinatore dell’odio e della guerra. Siamo tutti potenziali, appetibili bersagli. E non sarà facile debellare il fanatismo jihadista perché si tratta di un’idea inzuppata costantemente dentro le ambiguità di una religione monoteista e divenuta da tempo una virale ideologia di morte e distruzione. Da idea a virus, che contagia, che si fa epidemia. L’esistenza di un sedicente (ma già questo potersi dire e proclamare e insistere su un territorio conquistato lo rende effettivo ed efficace, riconoscibile e riconosciuto) Stato islamico non fa che rinfocolare il virus, lo catalizza per un verso, lo irradia per l’altro. Esempio incarnato che insegna agli islamisti fanatici di tutto il pianeta che può e si deve praticare ovunque la Jihad. Fonte di finanziamento e/o di istigazione ad azioni terroristiche sempre più eclatanti e devastanti in Europa e nell’Occidente intero, perché fuori dai territori sacri tutto è “abominio e perversione”.

Sempre a Parigi, quattro sere prima di quest’ultima strage, nella notte fra il 9 e il 10 novembre moriva André Glucksmann, filosofo, saggista, attivista per i diritti umani. Lo si è ricordato per essere stato con Bernard-Henri Lévy, l’esponente di spicco della generazione detta dei “nouveaux philosophes”, che da sinistra criticavano duramente il totalitarismo e il comunismo, all’epoca cultura dominante. Quindi il suo impegno a favore dei profughi vietnamiti, i cosiddetti “boat people“, in fuga dal regime comunista, per cui riunì i due vecchi compagni di scuola, avversari di una vita sul piano politico-ideologico: Jean-Paul Sartre e Raymond Aron. Poco si è sottolineato l’impegno intellettuale profuso nel tentare di descrivere e spiegare ai suoi concittadini, e agli europei tutti, cosa era, cosa è in atto nel mondo islamico e quali minacce provengano dal terrorismo jihadista.

Viene da chiedersi cosa avrebbe scritto Glucksmann di questa ennesima prova di odio ideologico. Appunto di questo avrebbe parlato. Avrebbe cioè ribadito quel che dopo l’11 settembre aveva scritto a ripetizione in più libri, usciti uno dopo l’altro. Anche in Italia si sarebbero potuti leggere di più e meglio, ossia dando loro più spazio, prestando ad essi maggiore attenzione. Traducendo saggi suggerimenti in sagge politiche di governo, per quanto queste possano arginare un fiume di fuoco ideologico ormai in piena. Assolutamente straripante. Ma avremmo potuto, potremmo avere, qualche argine in più. Nell’Europa di oggi pare ancora lontana un’assunzione piena e attiva di consapevolezza della quantità di odio che quotidianamente si rovescia su di noi, fuori e dentro i confini del nostro vecchio e stanco continente. Arriverà un giorno in cui vecchiaia e stanchezza dovranno essere scrollate di dosso. Ho il timore che ciò avverrà solo dopo che tanto, troppo sangue di vittime ignare e innocenti sarà stato versato su suolo europeo.

Ma vediamo cosa scriveva Glucksmann nel 2004. Tra i suoi tanti libri, traggo alcuni brani da “Il discorso dell’odio”, edito in Italia l’anno successivo, da Piemme. Quanto scritto allora, a ridosso della strage terroristica di Madrid, resta valido parola per parola oggi, e varrà anche fra un anno, fra cinque, fra dieci…:

“Tesi maggioritaria e politicamente corretta: l’odio con la “O” maiuscola non esiste, chi vi punta il dito trascura i veri problemi, chi crede di “averlo” e lo rivendica è prigioniero di un miraggio. L’odio, che prova e che manifesta, deve essere ricondotto a cause esterne e anteriori: disgrazie, frustrazioni, miseria, offese e umiliazioni. È così che la pensano i Diarroicus [personaggio de “Il malato immaginario”, commedia di Molière, ndr.] dell’anima. L’odio non è che il frutto bacato della mancanza di istruzione. Istruzione che si vanta di abolire ciò che non esiste. Assolutamente generale, vogliamoci bene generalizzato.

La tesi proposta in questa sede è invece ben altra: l’odio esiste, l’abbiamo sperimentato tutti, a livello microscopico dei singoli individui e a quello macroscopico delle grandi collettività. […] L’odio esiste: lo dimostra La Fontaine in una favola che un tempo gli scolari dovevano imparare a memoria, fatica che attualmente viene loro risparmiata alla luce della modernità, […]. L’odio accusa senza sapere, giudica senza capire, condanna in base al proprio piacere; non rispetta nulla, è convinto di dover far fronte a un complotto universale. […] Odio, dunque sono.

[…] Il terrorista senza frontiere colpisce là dove nessuno se lo aspetta. […]. A chi toccherà adesso? Quando? A ciascuno di noi non resta che aspettare la prossima esplosione, rannicchiati in un guscio sempre più surreale. […] Scopo del terrorista è incutere terrore, afferma Lenin, che sull’argomento può certamente essere considerato un maestro incontestabile. […] Una guerra tradizionale, per quanto sanguinosa, prima o poi termina. La guerra terroristica, al contrario, con la sua furia senza limiti non conosce alcun cessate il fuoco. Alla dimostrazione di forza sostituisce la dimostrazione di odio che, alimentato dal suo stesso abominio, diventa inestinguibile. […] Una bomba umana si nutre di odio. Questa formidabile energia distruttrice strappa l’aspirante suicida alle norme della vita quotidiana per innescare la dinamica della demolizione dell’altro spinta fino al sacrificio di sé.

[…] l’essere fanatici della morte non è una novità dell’ultima ora. […]

Poiché la bomba umana esiste, per la prima volta dopo il 1648 il monopolio dei grandi mezzi di distruzione è sfuggito di mano agli stati, che sono diventati attori tra attori, certamente ancora molto importanti, ma in mezzo ad altri che dispongono di un potere di devastazione imprevisto e anch’esso molto rilevante.

Pertanto, è ormai necessario accompagnare la lettura di Karl von Clausewitz, sempre utile dal momento che nulla è interamente da buttare e tutto si introduce come aggiunta, a quella di Michel de Montaigne. […] tra le guerre di religione che devastavano la Francia della sua epoca e quelle che attualmente minacciano la sicurezza planetaria, le somiglianze sono lampanti. Ieri come oggi, i massacri compiuti in nome di Dio non sono religiosi ma terroristici. Invocano l’Altissimo per fini bassissimi. […] Ieri come oggi, i deliri teologico-politici, le nostre follie “formali” inaspriscono i conflitti. […] Il problema di Montaigne, quello che assilla la sua opera, è lo stato di odio cui ci troviamo di fronte attualmente, l’alleanza tra un crudeltà senza limiti e le teorie che la legittimano.

[…] Il succo dei tre libri degli Essais è tutto lì: separare l’odio dal discorso complice che gli apre le coscienze, lo rende presentabile, ammissibile, gradevole, desiderabile. Rivelare la crudeltà delle parole che lo camuffano, far apparire l’inumano nella sua sordida nudità”.

Aggiungo, e auspico: un soffio di Montaigne fra i musulmani, in mezzo alle prediche degli imam. Mi fermo qui. È valso citare a lungo pagine di Glucksmann. Viene da chiedersi perché questa consapevolezza non sia divenuta patrimonio dei più, quanto meno degli opinion-makers e dei governi. Perché tanta sottovalutazione, minimizzazione, fraintendimento del problema. Si è continuato a vedere la pagliuzza nei nostri occhi di occidentali e non la trave in quelli altrui, di islamisti jihadisti. Una trave su cui ci vogliono crocifiggere. Uno ad uno.

Il mio è un invito a continuare a leggere queste pagine, come tante altre di altri illuminanti libri di Glucksmann. Il ricordo di un intellettuale inteso nella migliore accezione del termine, all’altezza della massima che egli stesso ebbe una volta a pronunciare: “Saper temere significa pensare. Tenere duro significa fronteggiare”. Un invito alla lettura, il mio, che è un invito a riflettere su quanto già sapevamo, dovevamo sapere da almeno quattordici anni, da quell’11 settembre del 2001, data che si conferma uno spartiacque epocale. Dovevamo sapere, e dai più è stato ignorato, talora volutamente, dunque colpevolmente. Tacere o minimizzare è farsi complici del più letale virus del ventunesimo secolo. Mai come in questo caso, leggere e rileggere è un invito a resistere al male, a fronteggiarlo, a contrastarlo. Idee buone e giuste contro idee malefiche e sbagliate.

 

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