di Alessandro Campi

untitledC’era una volta la destra, divenuta oggi un nulla cosmico, dopo essersi disintegrata in mille pezzi. Ma forse c’era una volta semplicemente la politica, con le sue passioni ora ingenue ora pericolose, i suoi riti iniziatici, le sue parole d’ordine, le sue complesse formule organizzative, le sue vitali contraddizioni, le sue per nulla disprezzabili speranze. Ed è quest’ultima, la politica nella sua interezza, non le singole appartenenze che la definivano, ciò che oggi si tende sempre più a rimpiangere, visto chi e cosa ne ha preso il posto: demagoghi senza idee, tecnocrati senza cuore, affaristi senza morale.

Si entrava nei partiti, quando ancora esistevano, sin da giovani seguendo strane pratiche iniziatiche. E lo si faceva con lo stesso spirito con cui si aderiva ad una tribù dalla quale, fatto il primo giuramento di fede, sarebbe stato impossibile staccarsi. All’interno di quei mondi separati e confliggenti col resto dell’universo, tanto erano chiusi e settari, si stringevano amicizie, si accendevano passioni amorose, si litigava e litigando si cresceva come uomini, si costruivano futuri immaginari. Si coltivavano passioni e ideali che la vita reale, con passare degli anni, si incaricava fatalmente di frustrare. Ma chi è passato per quella stagione, per quante delusioni abbia potuto maturare, ha comunque mantenuto un ricordo tenero e grato di certe lontane ma formative esperienze.

Angelo Mellone, scrittore e dirigente di Rai Uno, con un lungo passato di militante nelle fila della destra giovanile italiana, ha scritto un romanzo – Nessuna croce manca (Baldini & Castoldi, pp. 326, 16 euro) – che non a caso sta avendo tanto successo (è alla terza edizione dopo poco più di un mese dall’uscita). È un’autobiografia politica, ma è anche il racconto di come l’Italia – di destra, di sinistra e di centro – è malamente cambiata nel corso dei decenni. Quelli durante i quali i quattro protagonisti del racconto (Claudio, Dindo, Gorgo e Chiodo) sono passati dalla giovinezza trascorsa nelle sezioni del partito a coltivare improbabili sogni di gloria (nella Taranto dell’acciaio) ad una maturità che prima li ha divisi, anche sul piano ideale, ma che alla fine li ha visti ritrovarsi. Diversi da come erano, ma forse anche migliori grazie alle ferite della vita, senza nostalgie, anche se con qualche rimpianto, cittadini di una nazione che non è quella che avevamo immaginato ma che è l’unica nella quale ci sia capitato di vivere e che dunque dobbiamo tenerci ben stretta.

C’è molta disillusione in questo romanzo, scritto in modo nervoso e fluente, con un ritmo che avvince sino all’ultima pagina. Le occasioni mancate sono più che gli obiettivi raggiunti. C’è il racconto di come la destra italiana ha smarrito gran parte del suo patrimonio ideale, rivelando alla prova del potere le debolezze che erano rimaste nascoste da decenni di emarginazione politica. C’è dunque molta cronaca (o molta storia) che ci riporta alla nascita di Alleanza nazionale dopo lo scioglimento a Fiuggi del Msi, all’entrata in campo di Berlusconi, alle vittorie (e sconfitte) politiche del centrodestra dal 1994 al 2008, al contrasto mortale tra il Cavaliere e Fini. Ma sarebbe sbagliato ridurre queste pagine a un racconto politico di parte. Se l’autobiografia è, oltre quella dell’Autore, anche quella della nazione, così l’amarezza per la politica perduta riguarda oggi +non solo la destra, ma tutte le altre componenti o culture politiche che hanno contato qualcosa nella storia della Repubblica italiana.

Il libro di Mellone cerca di rielaborare un lutto che è di tutti gli italiani. E riguarda la loro capacità, che sembra essersi persa per sempre, di sentirsi, grazie alle loro differenti fedi politiche, parti di una stessa comunità: magari divisa sul piano delle aspirazioni ideali, ma comunque unita nel desiderio di realizzarli a vantaggio di tutti.

Non ci mancano la destra e la sinistra, o la giovinezza perduta. Ci manca la capacità di essere qualcosa di diverso da una massa rabbiosa e incanaglita. Ed è bello, e lascia qualche speranza, il modo come finisce il romanzo, allorché i quattro amici si incontrano dopo molti anni per compiere finalmente quel viaggio che avevano sognato da ragazzi senza mai farlo: con una risata collettiva che scaccia le incomprensioni personali e “scioglie le incrostazioni del tempo”.

Recensione a Angelo Mellone, Nessuna croce manca, Baldini & Castoldi, Milano, 2015, pp. 326, euro 16.

 

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