di Montesquieu*

310x0_1450204747412_medium_151215_192815_to151215pol_0508Sarà presto istituita in Parlamento una commissione di inchiesta, probabilmente bicamerale, sul tema del rapporto tra cittadini ed istituti di credito. Lo chiedono tutte, o quasi, le forze politiche, senza distinzione tra maggioranza e opposizione: e l’apparenza è quindi quella di una buona notizia. Lo è? Teoricamente lo è, una buona notizia, tanto da configurare una repentina ed inopinata reviviscenza di un comune senso delle istituzioni, addirittura dello Stato. Ma con una cautela: in nessuna funzione del parlamento si giustifica il ricorso alla categoria del “processo alle intenzioni” come in quella inquirente. Se le intenzioni delle forze politiche, oltre che sull’iniziativa in sé, convergessero nell’interesse dei cittadini anche sugli obiettivi da raggiungere, sarebbe un segnale positivo.

C’è un misuratore delle intenzioni e della correttezza istituzionale – o della strumentalità – delle stesse? Più d’uno, anche se si tratta sempre di parametri empirici, tendenziali. A partire dalla durata dei lavori della commissione, che deve essere indicata dalla legge istitutiva: un termine troppo ravvicinato, o troppo ampio, può rispettivamente rappresentare un sintomo della volontà di togliersi un dente dolorante in fretta, per archiviare rapidamente la questione. Ovvero, il secondo, il segnale di una volontà dilatoria, che diluisca la tensione a causa della debole memoria istituzionale (e politica) collettiva. Tentazioni, entrambe, alle quali normalmente inclineranno le maggioranze di governo, per togliersi di torno la spada di Damocle di una campagna elettorale sotto processo; o le stesse opposizioni, per ragioni simmetricamente opposte. Si tenga presente che la materia della fiducia negli istituti di credito tocca da vicino tutti i cittadini elettori e possessori di un reddito e di un connesso conto corrente: e che ad essi, a tutti essi, è estraneo il minimo interesse per una resa dei conti politica tra i partiti.

Un altro misuratore delle intenzioni, che può incrociarsi con il precedente, è rappresentato dalla maggiore o minore ampiezza dell’ambito dell’inchiesta: nel caso in esame, se questa dovesse estendersi all’intero sistema bancario e guardare all’indietro, come sembra proporre la prima proposta depositata, nessuno si aspetti di capire qualcosa della questione, del motivo da cui origina l’inchiesta: il tema del danno subìto da migliaia di risparmiatori, delle quattro banche oggetto del decreto governativo, delle responsabilità. Se l’ambito previsto nell’atto istitutivo della commissione inquirente fosse invece puntuale e delimitato, meglio se accompagnato ad un termine contenuto, la prospettiva di equi risarcimenti ed individuate responsabilità sarebbe più concreta.

Questa rappresentazione risente dell’influenza di una lunga esperienza in tema di inchieste delle camere, che illumina la crescente patologia dell’istituto, piuttosto che la sua originaria fisiologia: patologia che ha diluito con il passare del tempo la natura istituzionale della funzione, sostituendovi quella, più appetita ed appetibile, della convenienza politica, del rapporto di forza. In sostanza snaturandola, quella funzione: al punto da deformare l’originaria destinazione dell’istituto a tutela della funzione di minoranza – con consolidata prassi di attribuzione della presidenza ad esponenti di minoranza – per sostituirvi la tentazione di smembramento delle minoranze da parte di maggioranze spregiudicate ed istituzionalmente selvagge. Non occorre una lunga memoria di cose parlamentari per ricordare, con due nomi – le inchieste dette “Telekom Serbia” e “Mitrokhin”, nei primi anni di questo secolo – il punto più spregiudicato ed impunito dell’uso di questa funzione come una clava della maggioranza contro le minoranze.

Conviene, a questo punto, una sintetica descrizione delle differenze tra due istituti parlamentari all’apparenza simili se non fungibili, spesso confusi anche nella trattazione giornalistica non specializzata: la commissione di indagine e la commissione di inchiesta. Diversi sono i poteri dei due organismi: a condurre l’indagine conoscitiva sono le stesse commissioni permanenti, con decisione autonoma e autosufficiente, e con finalità, di regola, di approfondimento di una tematica in vista ed in relazione ad un intervento legislativo sulla stessa. Si tratta di una funzione politicamente “fredda” , non caratterizzata ordinariamente da scontri politici, da accesa dialettica tra schieramenti, da “colpi bassi”.

L’inchiesta parlamentare ha invece, in coerenza con il proprio nome, una funzione inquirente, del tutto simile a quella giurisdizionale, dalla quale ripete l’incisività dei poteri – fino alla escussione di testi ed alla eccezionale restrizione della libertà personale – e la forma delle procedure, salvo l’esito finale: che non è il giudizio, o il giudicato, quanto relazioni e documenti di non minore abrasività.

L’inchiesta sul rapporto tra istituti bancari e cittadini clienti è attesa con preoccupazione e aspettative, e non solo dalle vittime incolpevoli di errori e disfunzioni. A fugare le preoccupazioni ed a soddisfare le aspettative deve puntare la politica con l’iniziativa inquirente: non a mettere in difficoltà “pregiudizialmente” un avversario politico, come suggerisce il mediocre dibattito che precede l’istituzione della commissione. La quale dovrà (dovrebbe) darsi un mandato chiaro ed inequivoco; individuare senza calcoli di parte tutte le responsabilità, che siano di istituzioni o di singoli; operare, per una volta, tutta insieme nell’interesse presente e futuro della collettività nazionale.

Allo stato delle cose, l’unico strumento di cui si dispone è quello del processo alle intenzioni della politica. Strumento empirico, quindi fallibile: non tale, comunque, da indurre all’ottimismo sulla qualità istituzionale dell’atteggiamento delle forze politiche in questo delicato frangente. Qualità che comporta la terzietà del parlamentare in veste giurisdizionale, unendo al divieto di vincolo di mandato di deputati e senatori (art. 67 Costituzione) quello dell’indipendenza e terzietà richiesta al giudice (art. 107 Cost.). La magistratura ordinaria sta indagando sui fatti, con più di un fascicolo: sarebbe un grave errore se la politica, anziché contribuire a fare chiarezza, si ponesse come un intralcio.

montesquieu.tn@gmail.com

*Montesquieu è il “nom de plume” di un alto funzionario dello Stato italiano.

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