di Montesquieu*
Grazie alla collaudata, non comune abilità politica e comunicativa al capo del governo riesce normalmente di farsi seguire dai propri interlocutori ed avversari politici sul terreno da lui stesso prescelto, e dagli altri avversato. Anticipando la sceneggiatura politica e istituzionale del 2016, ad esempio, ha puntato tutti i riflettori sul referendum costituzionale di autunno come banco di sopravvivenza dell’esecutivo, ombreggiando e tenendo al buio le elezioni amministrative di primavera; e ha così mandato all’aria il copione che tutti, informazione e politica, stavano recitando dai giorni dell’uscita di scena del sindaco di Roma e di altre traballanti vicende metropolitane o regionali.
Una decisa e urlata contrarietà generale a questa impostazione da parte di tutte le opposizioni – rimaste attaccate all’amo cui hanno prontamente abboccato – nonché della quota di maggioranza non strettamente renziana, ha fatto il resto: il referendum sarà un plebiscito pro o contro il governo e il suo saldissimo presidente, per chi lo voglia e per chi lo osteggi. Il partito democratico potrà perdere il governo delle città più importanti del paese, e allora sarà la sconfitta dei candidati sindaci, che siano stati scelti dal capo dal governo o attraverso elezioni primarie: lui, il capo del governo medesimo, si porrà dalla parte di chi giudica i risultati, non di chi compete e viene giudicato sulla base dei risultati. Il giudizio sul primo ministro sarà possibile – anzi dovuto – esclusivamente in occasione del referendum indetto per confermare o abrogare la vasta riforma costituzionale: che gli elettori affronteranno condizionati, volenti o nolenti, dalle conseguenze che sulla vita del governo potrà avere quel voto.
Appare lontano, irrimediabilmente, il tempo nel quale il capo del governo del momento, Massimo D’Alema, rimetteva il mandato per un esito deludente delle elezioni regionali di inizio secolo, non richiesto e non tenuto. Diversa sensibilità democratica o diverse capacità ed intuizione politica? Forse entrambe, ma sicuramente la seconda: anche se quella dei superstiti della Prima repubblica, quale era il premier di allora, era considerata, come si suo dire, politica fine a se stessa, quasi virtuosistica. Ma anche questa rappresentazione, forse, fa parte della capacità comunicativa che impregna la politica della cosiddetta Seconda repubblica.
Se questa ne è la lettura politica, la mossa del governo è, oltre che esempio di consumata abilità, del tutto legittima sotto il profilo della dialettica tra i partiti. Ma è possibile darne una lettura in termini di correttezza istituzionale? Siamo in presenza di una consultazione costituzionalmente ineluttabile, conseguente alla esiguità della maggioranza che ha approvato la riforma: quindi, una consultazione senza padri, o promotori. Tali non vanno considerati né il governo, né i promotori dei vari comitati già in campo: nessuno può vantare un merito particolare verso i cittadini, se si chiede agli stessi di decidere sulla forma istituzionale del paese. Semmai, l’impostazione del governo ricorda gli innumerevoli casi di sottrazione alle camere del merito legislativo che i governi perpetrano da anni, ponendo la questione di fiducia, in unico voto, sui testi legislativi.
Che la formula renziana del voto referendario come voto sul governo e sul suo capo non fosse esemplare in termini di ortodossia istituzionale, lo ha subito afferrato e specificato il governo con i suoi massimi esponenti, quasi a correggere l’interpretazione ostile al voto plebiscitario: gli elettori dovranno concentrarsi sui contenuti della riforma, purtroppo non disaggregabili. Tanto, a tenere in piedi il fantasma del plebiscito, ci pensano gli altri. Oramai nessuno si recherà alle urne ignorando le conseguenze politiche di quel voto. Ci penseranno le forze politiche e gli appositi comitati del “no” a ricordarlo.
L’impostazione impressa da Presidente del consiglio rischia di travolgere ogni argomento avverso di costituzionalisti, politologi, istituzionalisti e forze politiche. Ovvero, di produrre, come si dice, un “dialogo tra sordi”, tra i fautori del sì e quelli del no. Perché unirà alla inedita responsabilità degli elettori, sconosciuta nell’ordinamento italiano, di decidere della vita di un governo, il facile giudizio secondo cui una riforma incompleta o mediocre è migliore di nessuna riforma ad un sistema che da decenni tutti propongono di superare.
Lo scenario sembra prefigurare un via libera al nuovo assetto costituzionale e, sullo slancio, ad una cavalcata trionfale dell’attuale capo del governo alle successive elezioni politiche? Se succederà, buona parte del merito si collegherà alla spregiudicata e geniale sceneggiatura di cui sui parla all’inizio: oscurare le elezioni amministrative di primavera e illuminare il referendum autunnale. E si confermerà il grande istinto politico del presidente del consiglio. A meno che…
Dove il capo del governo può sbagliare il proprio calcolo è nella sottovalutazione, nell’oscuramento delle elezioni locali, se le stesse andassero davvero male al partito democratico, di cui lo stesso Renzi è solidissimo e, nelle intenzioni, non transeunte segretario. L’elezione del proprio sindaco è, per i membri di una comunità cittadina, tradizionalmente la più sentita: e in primavera si voterà per dare un sindaco alle principali città italiane. L’effetto potrebbe essere quello della sensazione di progressivo declino del protagonista unico di questa legislatura, che porterebbe alla tenuta di un referendum comunque decisivo per la tenuta dell’esecutivo, ma in uno stato d’animo collettivo opposto a quello immaginato con il lancio del referendum plebiscitario nella conferenza di fine d’anno. E trasformerebbe in un azzardo le prossime elezioni e il probabile ballottaggio di secondo turno, con una legge elettorale che rimuove ogni spinta ad allearsi tra le forze politiche. Un patto tra gentiluomini, per cui nella campagna referendaria si usino solo ed esclusivamente argomenti di merito, sarebbe auspicabile e rispettoso dei cittadini elettori: ma è probabile che sia tardivo.
* Montesquieu è il “nom de plume” di alto funzionario dello Stato italiano, le cui analisi appaiono regolarmente sul “Sole 24ore”. Quest’intervento è stato scritto appositamente per il sito dell’Istituto di Politica.
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