di Marino Freschi
Nel 1816, esattamente 200 anni fa, usciva il primo volume del Viaggio in Italia di Goethe. Un’opera che incontrò e incontra ancora oggi un notevole successo di critica e di pubblico. Il testo si riferisce al viaggio del massimo poeta tedesco in Italia dal 1786 al 1788. È strano che questo racconto autobiografico sia stato composto e pubblicato a trent’anni di distanza. È strano inoltre che Goethe distrusse numerose carte su cui aveva costruito il suo tardivo racconto come se non volesse che si curiosasse su quei documenti. Perché questo occultamento delle prove e perché questa stesura così tardiva? Il viaggio avvenne a ridosso della Rivoluzione Francese in una Europa ancora molto tradizionalista in cui Goethe poteva progettare un’estetica e un’antropologia sostanzialmente aristocratiche, mentre nel 1816 era tutto cambiato.
L’Europa tentava di superare lo choc delle guerre napoleoniche con il Congresso di Vienna, appena terminato. Una forte esaltazione dell’ideologia romantica favoriva le conversioni al cattolicesimo in consonanza con la Restaurazione, ostile all’illuminismo. Il nuovo secolo propendeva per l’ estetica romantica, avversa al classicismo, quello weimariano, concepito e realizzato da Goethe e Schiller.
E i commenti al libro non si fecero attendere. Proprio da Roma, dagli ambienti particolarmente sensibili e autorevoli del romanticismo partirono le critiche più vigorose. I Nazareni, i celebri pittori tedeschi trapiantati a Roma alla ricerca dell’arte sacra cristiana, rimasero sbalorditi dal “paganesimo” del libro e dall’unilateralità delle scelte italiane di Goethe. Niebuhr, uomo politico e storico insigne, da Roma elencava a Savigny, il caposcuola del pensiero giuridico tedesco, le volute stranezze del viaggio italiano del massimo poeta tedesco. La più vistosa fu la permanenza di solo TRE ore a Firenze, nonché l’omissione della visita alle Cascate delle Marmore. A ciò si deve aggiungere l’ostinata e ingiusta polemica contro “il triste duomo di San Francesco” ad Assisi, volutamente trascurato per esaltare il tempietto classico di Minerva, oggi Santa Maria sopra Miverva. Niebuhr conclude: Dico tutto ciò solo per confermare il mio giudizio che Goethe ha visto senza amore. E proprio lui che da giovane aveva entusiasmato i tedeschi per l’arte medievale! Come era potuto avvenire un simile radicale cambiamento? Ma certo, colpa della vita alla corte di Weimar, per cui per Niebuhr Sansone aveva perso la chioma. Ma Goethe, accusato di paganesimo, proprio questo voleva: scrivere un significativo capitolo della sua autobiografia e insieme attaccare l’estetica romantica. Vi era in Goethe la volontà di una resa dei conti con quegli ambienti intellettuali e artistici che proclamavano con un ritorno al misticismo estetico medievaleggiante anche un inquietante patriottismo germanico che il cosmopolita Goethe non poteva accettare. Le Globe da Parigi difendeva il poeta per il suo “oggettivismo impolitico”, assai malvisto dai giovani romantici. Insomma, il Viaggio in Italia è anche una contro-estetica e una disperata, quanto ormai inattuale professione di fede antiromantica in nome del classicismo e della concezione illuminista come dimostrano gli ingenti interventi scientifici che in realtà già si allontanano dal materialismo razionalista per alludere a una interpretazione originalissima della natura, che forse solo Rudolf Steiner ha finora veramente preso in seria considerazione.
Insomma dietro l’apparenza di un racconto di viaggio, alquanto innocente, affiora uno spessore assai complesso e problematico, che incontriamo già con la faticosa stesura del libro. Al fedele Eckermann, il leale segretario, Goethe confida nell’aprile del 1829, di aver solo parzialmente usato le lettere del periodo, in parte distrutte, nonché un diario, pensato per l’adorata Charlotte von Stein, che non gradì. Tutto il viaggio è un mistero. Comincia alle tre di notte del tre settembre: Goethe parte senza avvertire nessuno, né il sovrano di cui era ministro e amico, né l’amata Charlotte, che pianta in asso senza nemmeno un bigliettino. Si fa vivo da Roma dopo circa due mesi. Il duca capì e invece di licenziarlo in tronco, acconsentì a un congedo (retribuito) di quasi due anni. Anzi al ritorno gli aumentò lo stipendio e gli ridusse notevolmente il carico di lavoro, legandolo per sempre a Weimar, da allora icona della Germania migliore, mentre il generoso sovrano divenne il simbolo del principe illuminato, un’ottima mossa politica a favore dell’ancient régime in tempi burrascosi per il legittimismo monarchico.
Goethe a Roma è in incognito spacciandosi per il pittore Philipp Möller per evitare guai con l’Inquisizione che non avrebbe visto di buon occhio in città l’autore del “Werther”, all’indice in quanto apologia al suicidio; inoltre il poeta era un noto membro della massoneria e dell’Ordine degli Illuminati, proprio allora sotto processo. Il discorso cambia quanto si trasferisce a Napoli, regno assai più indulgente, dove frequenta Gaetano Filangeri, illuminista e massone, mentre a Palermo visita una povera famiglia, i Balsamo, i parenti del più famoso mago del secolo, il Conte di Cagliostro, alias Giuseppe Balsamo, su cui scrisse una commedia (mediocre).
In Italia ricomincia, dopo il decennio di lavoro amministrativo a Weimar, a scrivere, a dipingere e ad amare la bella Faustina, immortalata nelle audaci “Elegie Romane”, capolavoro della lirica classicheggiante ed erotica. Tornato a casa, a Weimar, cambia tutto: niente più affari di stato e niente Charlotte, sostituita con una giovane donna del popolo, Christiane Vulpius, che sposa nel 1806. L’Italia fu veramente liberatoria. Anni fa uno storico italiano, Roberto Zapperi, scoprì a Weimar un faldone, trascurato dagli studiosi tedeschi, con i conti degli acquisti effettuati da Goethe in Italia e con due lettere di amore, tra cui una sgrammaticata ma assai sentimentale di Faustina. Chissà se altre epistole sentimentali furono bruciate, come sicuramente lo furono tutti i documenti riguardanti i contatti massonici del poeta, vivacissimo e insieme prudente: era pur sempre ministro di un Ducato protestante. Ma il vero falò fu quello che circa un anno dopo il suo ritorno, il 18 giugno 1788, scoppiò a Parigi con la rivoluzione. Goethe tentò con Schiller di salvare il salvabile della cultura estetica del classicismo finché non venne travolto dall’irreversibile avanzata della modernità. Nel suo libro di viaggio affiora l’estrema nostalgia per un’Italia e per una Europa, entrambe scomparse. Intanto proseguiva a comporre il suo capolavoro assoluto, il “Faust”, la grandiosa replica alla crisi del mondo della Tradizione con l’apertura critica e creativa alla modernità al di là del suo classicismo, ma anche del romanticismo, nobili segmenti ormai superati.
E l’Italia, e Roma? Nell’aprile del 1788 lascia in una struggente notte di plenilunio la città, dove aveva sperimentato una autentica rinascita, comprendendo che l’arte era la missione della sua vita e non la politica, l’amministrazione ducale,il potere statale. E abbandona l’urbe con uno strano sentimento di identificazione con Ovidio scacciato da Augusto in esilio nella lontanissima Tomi sul Mar Nero. Soltanto che per lui non si tratta certo di esilio, ma di ritorno in patria, richiamato dal suo Duca Carl August, che lo ricopre di onori e lo solleva da molti oneri.
Tuttavia Roma continua a vivergli dentro sulla scia dell’esperienza del padre che aveva vissuto in Italia il suo tempo felice tanto da rievocarlo in un commovente libro di memorie scritto in un improbabile italiano. Nel 1830 lo raggiunge la ferale notizia che August, il suo unico figlio, era morto a Roma, dove è sepolto nel Cimitero acattolico alla Piramide, con un elegante medaglione di Thorvaldsen e una stupefacente iscrizione: Goethe filius patri antevertens obiit, senza nemmeno nominare il suo nome.
Pochi mesi prima di morire nel 1832 a un amico confidava che gli unici momenti felici della sua vita li aveva vissuti a Roma. Amaro bilancio per una vita così lunga e ricca. Il suo “Viaggio in Italia” è dunque un capolavoro, molto “partigiano” della letteratura odeporica, un manifesto antiromantico, ma anche e soprattutto un monumento all’amore dei tedeschi per Roma e per l’Italia. Il bicentenario sarà ricordato da numerosi libri e convegni internazionali in Germania e in Italia. Il principale avrà luogo il 10 marzo a Napoli all’Università Suor Orsola Benincasa con l’esposizione di una lettera autentica di Goethe, fortunatamente ritrovata nel ricco archivio dell’ateneo.
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